RIPARTIAMO DA DIO
Luigi Accattoli
Il
primato di Dio nella vita della persona
Il primato di Dio nella vita di coppia
Il primato di Dio nella famiglia
Il primato di Dio nella chiesa
Il primato di Dio nel mondo
E’ stata un’ingenuità la mia, di
accettare di parlare stasera a voi sul tema «Ripartiamo da
Dio» in un luogo, in una diocesi dove l’arcivescovo
ha pubblicato una lettera pastorale con questo titolo. Come se
uno potesse dire qualche cosa ancora, di più o meglio! Il
mio compito, naturalmente, non è di trattare
l’argomento in modo analogo o di commento rispetto a quello
che ha tenuto nella sua trattazione il cardinale Carlo Maria
Martini da maestro. Sarà, semmai, di trasmettere la voglia
di leggere la lettera pastorale a quelli che ancora non
l’hanno letta.
Io farò una conversazione da giornalista e, siccome il
giornalista cerca i fatti, farò riferimento a dei fatti.
Cercherò di indicare che cosa si intende, che cosa
può essere, che cosa debba essere, concretamente, il
«primato di Dio», il «ripartire da Dio»
nella nostra vita quotidiana di cristiani comuni. Cercherò
di indicare con degli esempi, tratti da storie vere dei nostri
giorni, che cosa comporti affermare il «primato di
Dio» nella vita personale, nella vita di coppia, nella vita
di famiglia, nella vita della comunità ecclesiale e nella
vita sociale, con una rapida carrellata su tutti questi aspetti
della vita del cristiano. Mi riferirò a testimonianze del
«primato di Dio» date da tanti cristiani
nell’Italia dei nostri giorni.
Il Cardinale scrive: «In prossimità del nuovo
millennio dobbiamo ripartire dall’essenziale, da ciò
che unicamente conta, da ciò che dà a tutto essere
e senso». Dall’essenziale, da ciò che
"unicamente conta", non dunque da ciò che conta più
di tutto, ma da ciò che "solo" conta, come nel Vangelo di
Luca (Lc 10,42) Gesù dice a Marta: "Una sola è
la cosa di cui c’è bisogno". Ciò che
unicamente conta in quella "parabola" è ascoltare
Gesù.
Ecco una prima luce per la nostra ricerca: ripartire
dall’essenziale e da ciò che unicamente conta vuol
dire innanzitutto cercare e ascoltare il Signore. Ma come si
può realizzare, come si può manifestare questa
ricerca e questo ascolto nella vita di ciascuno di noi, nella
vita di coppia, nella vita della famiglia? Ecco lo specifico
della mia riflessione di questa sera.
Mai come oggi l’umanità si è trovata
dispersa, confusa e questo non per dire che il mondo decade, che
era meglio ieri, ma semplicemente per prendere atto della
complessità del mondo moderno, dell’epoca che ci
è dato di vivere che ha tanti pregi rispetto al passato,
ma ha certamente una complessità che il singolo non
può dominare e rischia di restarne spaesato. E pare che
nessuno sappia più se vi sia qualche cosa che unicamente
conti. Lo stesso criterio di valutazione culturale, in tutti i
campi del sapere, è oggi la relativizzazione fino a
rispettare ogni opinione, ogni scelta come se si fosse costretti
- di fronte alla molteplicità inesauribile delle
manifestazioni della vita dell’uomo sulla terra - a
rinunciare a una gerarchia di valori, all’individuazione
del punto da cui partire, di ciò appunto che unicamente
conta.
Il cristiano non dovrebbe compiere quella rinuncia. Pur
apprezzando tutto ciò che di positivo ha
l’atteggiamento moderno di tolleranza di ogni scelta, il
cristiano dovrebbe conservare ben calda, al centro della sua
vita, dentro il suo cuore, la sicurezza di aver visto, di aver
toccato ciò che veramente conta: colui che conta.
Il cardinale ci dice che ciò che unicamente conta è
l’affermazione del primato di Dio: ma come si manifesta il
primato di Dio nella persona, nell’avventura esistenziale
dell’individuo?
Il primato di Dio nella vita della persona
Cito un personaggio conosciuto da molti in questa
parrocchia: Sabatino Jefuniello. Un uomo che emigra da Salerno a
Milano in cerca di lavoro come tanti e che muore in questa
città nel 1982, a 32 anni. Viene dal Sud in cerca di
lavoro. Lo trova come fattorino in un’azienda. Ma viene il
momento in cui rinuncia al lavoro per mettersi al servizio dei
più poveri e aiuta fratel Ettore nell’assistenza ai
barboni della Stazione Centrale. Muore perché non cura una
broncopolmonite. Tutto dedito al servizio dei più
miserabili, non bada a sé.
Cito questa straordinaria figura cristiana, semplice ma seria,
dei nostri giorni anche perché rovescia tutti i luoghi
comuni : è un meridionale che viene a Milano per cercare
lavoro, è uno che non ha nulla e dà più di
quanto riceva, è semplice e insegna ai sapienti. In genere
non cerchiamo questi esempi: il meridionale che viene a Milano a
cercare lavoro è piuttosto considerato un invasore, un
appesantimento. Il lavoro non si trova neanche qui ormai, per
tutti quelli di qui. Non si guarda in positivo
all’avventura dell’immigrato: si sa che è
costretto a cercare un lavoro e certamente Milano è un
luogo ospitale, ma non siamo portati a pensare che possa venire
un insegnamento da una vicenda così e, per di più,
un insegnamento forte ed unico. Ma avviene proprio questo.
E qual è l’insegnamento che ci viene da questa
persona, da questo Sabatino Jefuniello che non ha lasciato
niente, non ha costruito, non ha scritto, neanche una frase ci ha
lasciato? Il cardinale ha mandato una lettera per la sua morte in
cui lo definisce "profeta minore" della nostra Chiesa, che
"è stato mandato nella nostra città per essere
segno umile, discreto della presenza del Signore". È una
delle cose belle che il cardinale Carlo Maria Martini ha regalato
a tutti: l’individuazione dell’esemplarità di
questa figura modesta, illetterata. L’esempio forte che ha
lasciato è questo : ha dato il primato a Dio,
gliel’ha ridato rispetto al lavoro, ha saputo ripartire da
Dio nel momento della sua conversione. il primato nella sua vita
l’aveva il lavoro, per cercarlo aveva lasciato la sua
regione, la sua città, aveva bussato ovunque, ma quando
è arrivata la vocazione alla radicalità cristiana
ha lasciato quel lavoro che per lui era tutto ed ha seguito la
voce che lo chiamava.
Il primato di Dio nella vita di Sabatino si rivela con questa
scelta radicale: abbandona tutto per mettersi, come i grandi
santi del passato, al servizio dei più poveri. È un
esempio, nella sua umiltà, eccezionale.
Ma nella vita di ciascuno di noi — se riflettiamo bene
— c’è sempre un primato e spesso il primato
è del lavoro, della carriera, del «posto», per
il quale abbiamo sacrificato tanto, abbiamo lavorato notte e
giorno.
Chi ha il primato nella nostra vita? Compiamo mai delle scelte in
cui si rivela il primato di Dio? La nostra vita è
tumultuosa — anche la più placida — e
succedono tante cose, cambia la nostra situazione esistenziale e
a ogni tappa dovremmo chiederci chi o che cosa stia assumendo il
primato su di noi e come potremmo ristabilire il primato di Dio,
che sempre dovrebbe essere sopra a tutto.
Faccio un altro esempio: la terza età, la vecchiaia, la
pensione. Sabatino Jefuniello lascia il lavoro per vocazione
radicale cristiana, ma ad un certo punto tutti lasciamo il lavoro
per raggiunti limiti di età, oppure, in certi casi,
dobbiamo interrompere il lavoro perché non abbiamo
più le forze. Tutti abbiamo un appuntamento, una scadenza
in cui il lavoro e la carriera perderanno il primato. In quel
momento che succederà nella nostra vita? Intristiamo, non
abbiamo più un centro? La verifica viene chiara: se noi
abbiamo realizzato un primato di Dio tutti gli altri mutamenti
saranno secondari, anche quello grande dell’abbandono
dell’attività lavorativa, quando sarà il
momento.
Il primato di Dio nella vita di coppia
Nella vita di coppia il primo posto l’ha il
partner, se è una vita di coppia intensa, piena. La sfida
qui è di come rispettare questo primo posto senza
pregiudicare il primato di Dio. Può avvenire, deve
avvenire. Avviene nella vita di tanti nostri contemporanei. Cito
il caso della vedova Gardini, Idina.
Nel Luglio del 1993 il marito Raul si uccide. Pensate alla
situazione di questa donna che non solo perde il marito, ma lo
perde in questo modo, che è come perderlo due volte. E lei
è credente. In questo momento la verità si fa
giorno: se Dio ha davvero il primato nella vita di una persona,
allora quel primato non si perde quando si perde il partner. Ma
se il primato l’ha il partner - non solo il primo posto, ma
il primato che tutto fonda e riassume - la perdita del partner
può comportare la perdita della fede. Dopo il suicidio di
Raul, Idina si è consacrata ed ha scelto di diventare
terziaria carmelitana, ma questo è secondario. La cosa che
a me interessa è che ha mantenuto la fede nella prova e
l’ha affermato pubblicamente. Intervistata in televisione
da Enzo Biagi sul suicidio del marito, ha detto: «Quel
gesto che distrugge il bene più grande che è la
vita umana, non è ammissibile. Ma io lo rispetto, come ho
sempre rispettato tutto di lui, fin dal 1959, amandolo nella
preghiera».
Questa è la testimonianza del primato di Dio nella vita a
due, che resta confermato nella rottura violenta della vita di
coppia. E si potrebbero citare molti altri casi. Idina realizza
insieme il primo posto dello sposo ("ho sempre rispettato tutto
di lui fin dal 1959" : che è la data del matrimonio) e il
primato di Dio. Mantiene il primo posto a Raul dopo il suicidio
("ma io lo rispetto") riaffermando il primato di Dio ("quel gesto
non è ammissibile"). E compone nel suo cuore di sposa
cristiana quel primo posto e quel primato : "amandolo nella
preghiera".
Ho condotto un'inchiesta e ho pubblicato un libro intitolato
"Cerco fatti di Vangelo" (SEI editore), in cui c’è
un capitolo intitolato "La voce dello sposo e la voce della
sposa" nel quale ho racconto storie di cristiani dei nostri
giorni, in cui uno sposo o una sposa affermano il primato di Dio
nella vita di coppia. Senza, cioè, fare mai del partner,
del destinatario del proprio amore, un idolo, ma compiendo un
cammino a due verso il Signore e testimoniando che l’amore
per il Signore è più grande di quello per il
partner, come chiede il Vangelo, Sono parole impressionanti, ma
sono parole di Gesù: «Chi ama il padre o la madre
più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la
figlia più di me non è degno di me» (Mt
10,37). Questo è il primato di Dio nella vita di
coppia.
Quando la coppia non è spezzata dalla morte, dal suicidio,
dalla separazione colpevole; quando dura l’unione felice
dei due, come si manifesta, come si può cogliere il
primato di Dio in questa vita normale della coppia?
Provo a dire la mia idea. Mi sono detto: non posso citare solo il
fatto drammatico di chi ha perso il partner senza perdere la
fede. Secondo me, per la mia esperienza di vita di coppia, il
primato di Dio si attesta nella preghiera dei due, si esprime
nell’invocazione perché il Signore mostri alla
coppia - alla coppia felice, realizzata, amante - il modo, la
strada per riuscire nell’impresa difficile che ambedue
amino Dio più del partner. Che riescano a dare
all’amato il primo posto tra le creature, senza intaccare
il primato che va riconosciuto al creatore.
Se sono consapevoli di questo e cioè che
nell’appagamento, nell’intimità felice, nella
reciprocità dell’amore c’è pur sempre
un'insidia: quella di dimenticare il Signore; se chiedono a Dio,
insieme, di indicare loro la via per significare il loro
attaccamento a Lui nell’attaccamento dell’uno
all’altro, allora il primato di Dio è confermato e
sarà manifestato.
Il primato di Dio nella famiglia
Cito il caso di una coppia torinese con figli:
Liborio e Michelina Palumèri. Perdono un figlio, Luca, che
muore d’infarto a 22 anni, misteriosamente, mentre loro non
sono in casa, nell’agosto del 1993. Durante la Messa di
commiato pronunciano una preghiera che termina così:
«Abbiamo offerto in ginocchio, fra le lacrime, la sua
vita a Dio». Ecco il primato di Dio nella coppia che ha
figli.
In una coppia legata da piena comunione sponsale e realizzata
dalla presenza dei figli quale cosa è più facile?
Che il primato l’abbiano i figli. Direi umanamente
inevitabile, ma il Vangelo ci chiede qualcosa in più
dell’umano perché ci chiede di fare qualcosa che
valga più dell’amore per i figli. Potremmo usare il
linguaggio che abbiamo sperimentato per il matrimonio : il primo
posto ai figli, il primato a Dio. E il momento della sfida
è questo: quando una coppia che inevitabilmente vive il
primato dei figli nella propria vita, si trova privata di essi.
È la prova più grande che un uomo possa incontrare
sulla terra. Pensiamo ad Abramo quando deve sacrificare il
figlio: tutta la rivelazione ebraico-cristiana è appesa a
questa storia!
Se il primo posto dei figli diviene un primato, se il nostro
amore per loro si fa idolatrico, quando un figlio muore, quando
è perso, specie se è l’unico figlio, i
genitori perdono la fede o la smarriscono. Se invece affermano,
come questa coppia, il primato di Dio anche in quella terribile
circostanza, allora è testimonianza piena.
Domandiamoci anche qui: come si manifesterà il primato di
Dio nella coppia realizzata e con figli, alla quale i figli non
sono stati sottratti e, grazie a Dio, vivono e sono sani,
studiano, lavorano, si sposano? Abbozzo questa risposta. Se i due
sono in grado — giorno per giorno e non una volta per tutte
— "di mettere la propria anima" per i figli (è
un’espressione un po' impegnativa dei Padri della Chiesa,
che bisognerebbe recuperare); se questi genitori sono disposti ad
accettare tutto piuttosto che lo smarrimento spirituale dei figli
(questo significa "mettere la propria anima"), allora attestano e
costruiscono il primato di Dio nella famiglia di contro al
primato idolatrico dei figli, per il quale sarebbe naturale
sacrificare tutto per loro, compreso l’amore di Dio.
Il primato di Dio nella Chiesa
Anche nella comunità ecclesiale facilmente
ciascuno di noi persegue un primato che non è
necessariamente quello di Dio. Sarà il piano pastorale,
l’oratorio da rinnovare, la scuola da costruire, la lettera
pastorale da scrivere. Sarà di far meglio del
predecessore, o del vicino... Per carità, con
generosità, dediti alla causa, con sana emulazione!
Indicherò dei casi recentissimi, questa volta famosi, di
persone che hanno mostrato il primato di Dio nel momento in cui
tutto ciò che facevano perdeva importanza perché
colpiti da malattia.
Prima ho citato casi in cui si rinuncia al lavoro, di
accettazione della rottura violenta della vita di coppia, della
morte di un figlio. Casi in cui la verità della fede e
della vita si palesa per intero, perché non ci sono
più "stampelle" e ci si deve muovere da soli, casi in cui
il cristiano comune deve mostrare che cosa ha maturato. Ora,
invece, sono dei vescovi che vogliamo interrogare: Franceschi,
Agresti, Corecco e Bello.
Sono vescovi della nostra Chiesa, morti negli ultimi 5 anni,
vescovi dei nostri tempi. Li ho conosciuti tutti e non per
merito, ma perché essendo un giornalista addetto a fatti
religiosi conosco i vescovi come un giornalista dello sport
conosce i calciatori.
Quando questi vescovi scoprono di essere malati e di avere pochi
giorni o mesi di vita, i primati vari che ci potevano essere
nella loro vita (anche il più alto: la dedizione totale
alla vita della Chiesa, paragonabile alla dedizione di uno sposo
alla sposa) rischiano di non avere più nessuna importanza,
o di costituire addirittura un ostacolo per il primato di Dio. Il
primato di Dio si vede nell’eclissi degli altri primati. E
tutti hanno compiuto dei gesti straordinari di distacco,
convocando la comunità e informandola della loro malattia,
chiedendo di essere accompagnati al passo decisivo.
Anche un Vescovo può perdere la fede! Non è
garantito di niente solo perché è Vescovo. Siamo
tutti uguali di fronte alla morte. La sua sfida è
radicale, totale e se il primato di Dio è maturato nella
vita si vede in questo momento.
Ci sono anche dei sacerdoti che hanno vissuto in modo esemplare
questo momento del distacco: don Moioli, don Serenthà (per
citare due sacerdoti milanesi) che hanno dovuto affrontare la
prova della malattia grave, mortale e lo hanno potuto fare
consapevolmente, informati della gravità della
situazione.
Queste persone hanno accantonato tutto il resto, si sono
concentrate su questo problema della loro morte. Hanno parlato di
questo (pensate a padre Turoldo!). Hanno dato testimonianza del
primato di Dio, sono morti serenamente lasciando un grande
esempio alla comunità. Hanno celebrato la loro morte nella
comunità. Questa affermazione del primato di Dio
nell’ambito della comunità ecclesiale, attestata
quando l’azione della persona non può avere nessuna
giustificazione umana e nessun pretesto, è particolarmente
preziosa e feconda. Perché uno può avere molti
motivi umani per agire coraggiosamente, per essere profondo nello
studio teologico, per essere audace nel governo della
comunità ecclesiale, ma non ci sono motivi solo umani per
affrontare ad occhi aperti la morte testimoniando la speranza.
Questo si può fare solo se il primato di Dio è
maturato nell’insieme dell’esistenza.
E cito un caso ulteriore che mi pare più significativo di
tutti: il modo in cui scelse di morire, ad occhi aperti, il
cardinale Giovanni Benelli (muore da arcivescovo di Firenze
nell’ottobre del 1982).
Il cardinale Benelli quando è colpito da infarto (questo
è davvero un caso straordinario) non se ne cura e si
lascia morire. Non vuole essere portato in una clinica dove,
dicono, poteva essere salvato. Non entro nel merito della
legittimità della scelta e non voglio dire che uno colpito
da infarto non si debba curare, perché ora interessa
l’altra scelta che compie: fa giurare alle suore che lo
servono di non dire a nessuno della sua malattia, di non fare
entrare in casa nessuno e anche al medico fa giurare di non farlo
ricoverare in clinica.
Resta lì e si fa portare soltanto l’Eucarestia.
Sopravvive tre giorni. La Comunione al mattino e poi resta in
silenzio e solo tutto il giorno e la notte, solo con il suo
Signore.
C’era stato, dieci anni prima, un altro caso altrettanto
eccezionale: il patriarca Athenagora di Costantinopoli (quello
che abbracciò Paolo VI a Gerusalemme nel 1964) quando ebbe
un incidente e si spezzò una gamba — aveva 85 anni
— non aveva voluto andare in Austria a curarsi - a
Costantinopoli non potevano curarlo - e aveva voluto, invece,
essere lasciato solo nella sua stanza (era un monaco di
formazione) con l’Eucarestia (aveva chiesto che gli
mettessero il pane e il calice sul comodino). Aveva voluto che lo
lasciassero solo la sera e il mattino seguente era morto. Ha
voluto morire solo con il Signore.
Sono esempi straordinari che sembrano appartenere alla storia
antica, ma che sono di oggi e danno un insegnamento per la vita
ordinaria. Come applico a noi distratti questa parabola di uomini
che scelgono con tanta forza, con tremenda radicalità, di
restare soli con Dio?
Il cardinale Martini dice nella sua lettera: «Il primato di
Dio si manifesta nel deserto, nella solitudine. Ecco, il deserto
è questo momento in cui Benelli o Athenagora scelgono di
stare soli con Dio nella loro camera, come l’anacoreta tra
le dune di sabbia.
Ma, se riflettiamo bene, troveremo che anche nella nostra vita ci
sono questi momenti : ci sono benché non li cerchiamo.
C’è il momento della solitudine, c’è il
momento in cui crediamo di essere abbandonati da tutti, e alle
volte lo siamo davvero! E quando siamo soli nella nostra camera,
in questi momenti in cui crediamo di essere stati abbandonati,
quando facciamo l’esperienza del tradimento del partner,
del collega, dell’amico, come reagiamo? Abbandoniamo tutto,
ci disperiamo, bestemmiamo? C’è in noi, nel momento
della prova e del deserto, l’invocazione a tu per tu con il
Signore come hanno fatto questi uomini nelle circostanze
eccezionali che ho raccontato? Sono circostanze eccezionali che
ci permettono di visualizzare ciò che è
nell’esperienza di tutti gli altri che ho citato: Agresti,
Franceschi, Bello, Corecco ... tutti hanno fatto questa
esperienza. Nei due casi in cui si sono chiusi in camera,
è straordinario il modo, la scelta della solitudine, ma
nella sostanza quella solitudine c’è sempre. Essa
viene a noi e non manca mai, nella grande prova. Si muore sempre
soli, è stato detto.
Il primato di Dio nel mondo
Cito rapidamente alcuni personaggi:
Rosario Livatino, giudice di Agrigento ucciso dalla
mafia;
Fabio Moreni, imprenditore di Cremona morto in Bosnia dove era
andato a portare aiuti con un TIR della Caritas;
Chiara Amirante, una ragazza di 30 anni che alla periferia di
Roma apre una casa di accoglienza per prostitute e drogati ;
Alpidio Balbo, dirigente d’azienda che da Merano organizza
spedizioni in Africa di aiuto ai missionari.
Cito quattro personaggi che agiscono; che hanno doti
di carriera (giudice, imprenditore, ecc.); e che attestano nelle
attività più varie, in mezzo al mondo, con una
grande forza ed efficacia, il primato di Dio.
Mi fermo un attimo su Rosario Livatino: un cristiano talmente
forte che se fossimo nei primi secoli della Chiesa sarebbe
già ora venerato come martire e dottore. Ha lasciato una
conferenza sul rapporto tra fede e giustizia in cui dice che il
giudice è come un sacerdote perché è tra Dio
e l’uomo nel momento della giustizia. E afferma che
«il rendere giustizia è preghiera e dedizione di
sé a Dio».
Questo giudice si fa assegnare un grosso processo di mafia. Si
offre volontario tra i Sostituti Procuratori di Agrigento
perché è senza famiglia. Interrompe il fidanzamento
con una donna perché non ne vuole farne una vedova.
Nella sua agenda lascia tracce di preghiera. È sicuro che
lo uccideranno, ma non vuole la «scorta»
perché non muoiano altri uomini. Sapendo che per
combattere la mafia ci vogliono veramente dei martiri, va
incontro al suo destino. Viene ucciso a 38 anni nel novembre del
1980 e forse si farà la causa di beatificazione.Cito
questi fatti anche per scuotere un po’ dalla tendenza ad
interpretare negativamente tutto ciò che succede nei
nostri tempi: questi siciliani che non sanno che fare di fronte
alla mafia, questi immigrati che aggravano la situazione di altri
luoghi, questi cristiani che non sanno più guardare in
faccia la morte ... No, fra gli immigrati c’è un
Sabatino Jefuniello , "profeta minore" della Chiesa di Milano; e
tra i siciliani c’è un Rosario Livatino che è
un gigante nella storia contemporanea di questo paese. E tra noi,
tra i battezzati di questo paese, ci sono anche quelli che sanno
entrare nella morte a occhi aperti. Dobbiamo avere il cuore puro
e lo sguardo limpido per vedere! Termino con il caso di Enrica
Plebani, una ragazza-bene milanese che finisce in una storia di
droga. Si riscatta dalla droga, ma contrae l’AIDS. Ha una
conversione religiosa, scopre di essere sieropositiva e deve
affrontare il calvario della malattia. Muore nel 1990 a 28 anni
lasciando testi di preghiera e lettere tali che potrebbero farne
la patrona dei sieropositivi.
Termino con questa figura per dire che ogni svolta della vita ci
offre l’opportunità, la possibilità e la
sfida di affermare il primato di Dio.
Questa ragazza quando emerge dalla droga, liberata dall'inferno,
potrebbe dedicarsi a se stessa e, invece, nel nome del Vangelo
sceglie di dedicarsi al ricupero di altri drogati perché
ha avuto una conversione religiosa. Quando scopre di essere
sieropositiva potrebbe avere una ribellione — sembra che
capitino tutte a lei — e, invece, vive un’ulteriore
conversione quasi di tipo mistico.
*****
La nostra vita è piena di svolte, di esiti
inaspettati. Dio ci riempie di improvvisate e ogni giorno, ad
ogni improvvisata di Dio, noi dobbiamo riaffermare il Suo primato
nella nostra vita, nella nuova circostanza della nostra vita.
Quando siamo soli, nelle forme in cui si addice al
«solo».
Quando siamo sposati, nelle circostanze della vita di coppia,
perché non sia il partner ad avere il primato, ma
l’amore per il partner attesti , esprima, convogli
l’amore per Dio.
Quando ci sono i figli perché non ne facciamo degli idoli,
ma ci consideriamo — noi e i figli — mano nella mano
di fronte al Signore.
E se dovessimo perdere i figli, se la nostra vita dovesse avere
un tracollo (la salute, la prova della morte) il primato di Dio
dovrebbe rifulgere nel tracollo, così come dovremmo
saperlo affermare quando il pieno delle energie ci permette di
agire nel mondo.
Dobbiamo trovare in ogni circostanza il gesto, la scelta o la
parola che attesti il primato di Dio nella nostra vita.
Lasciargli spazio perché egli ogni momento affermi il suo
primato d’amore nella nostra esistenza.

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