RIPARTIAMO DA DIO

Luigi Accattoli


Il primato di Dio nella vita della persona
Il primato di Dio nella vita di coppia
Il primato di Dio nella famiglia
Il primato di Dio nella chiesa
Il primato di Dio nel mondo


E’ stata un’ingenuità la mia, di accettare di parlare stasera a voi sul tema «Ripartiamo da Dio» in un luogo, in una diocesi dove l’arcivescovo ha pubblicato una lettera pastorale con questo titolo. Come se uno potesse dire qualche cosa ancora, di più o meglio! Il mio compito, naturalmente, non è di trattare l’argomento in modo analogo o di commento rispetto a quello che ha tenuto nella sua trattazione il cardinale Carlo Maria Martini da maestro. Sarà, semmai, di trasmettere la voglia di leggere la lettera pastorale a quelli che ancora non l’hanno letta.
Io farò una conversazione da giornalista e, siccome il giornalista cerca i fatti, farò riferimento a dei fatti. Cercherò di indicare che cosa si intende, che cosa può essere, che cosa debba essere, concretamente, il «primato di Dio», il «ripartire da Dio» nella nostra vita quotidiana di cristiani comuni. Cercherò di indicare con degli esempi, tratti da storie vere dei nostri giorni, che cosa comporti affermare il «primato di Dio» nella vita personale, nella vita di coppia, nella vita di famiglia, nella vita della comunità ecclesiale e nella vita sociale, con una rapida carrellata su tutti questi aspetti della vita del cristiano. Mi riferirò a testimonianze del «primato di Dio» date da tanti cristiani nell’Italia dei nostri giorni.
Il Cardinale scrive: «In prossimità del nuovo millennio dobbiamo ripartire dall’essenziale, da ciò che unicamente conta, da ciò che dà a tutto essere e senso». Dall’essenziale, da ciò che "unicamente conta", non dunque da ciò che conta più di tutto, ma da ciò che "solo" conta, come nel Vangelo di Luca (Lc 10,42) Gesù dice a Marta: "Una sola è la cosa di cui c’è bisogno". Ciò che unicamente conta in quella "parabola" è ascoltare Gesù.
Ecco una prima luce per la nostra ricerca: ripartire dall’essenziale e da ciò che unicamente conta vuol dire innanzitutto cercare e ascoltare il Signore. Ma come si può realizzare, come si può manifestare questa ricerca e questo ascolto nella vita di ciascuno di noi, nella vita di coppia, nella vita della famiglia? Ecco lo specifico della mia riflessione di questa sera.
Mai come oggi l’umanità si è trovata dispersa, confusa e questo non per dire che il mondo decade, che era meglio ieri, ma semplicemente per prendere atto della complessità del mondo moderno, dell’epoca che ci è dato di vivere che ha tanti pregi rispetto al passato, ma ha certamente una complessità che il singolo non può dominare e rischia di restarne spaesato. E pare che nessuno sappia più se vi sia qualche cosa che unicamente conti. Lo stesso criterio di valutazione culturale, in tutti i campi del sapere, è oggi la relativizzazione fino a rispettare ogni opinione, ogni scelta come se si fosse costretti - di fronte alla molteplicità inesauribile delle manifestazioni della vita dell’uomo sulla terra - a rinunciare a una gerarchia di valori, all’individuazione del punto da cui partire, di ciò appunto che unicamente conta.
Il cristiano non dovrebbe compiere quella rinuncia. Pur apprezzando tutto ciò che di positivo ha l’atteggiamento moderno di tolleranza di ogni scelta, il cristiano dovrebbe conservare ben calda, al centro della sua vita, dentro il suo cuore, la sicurezza di aver visto, di aver toccato ciò che veramente conta: colui che conta.
Il cardinale ci dice che ciò che unicamente conta è l’affermazione del primato di Dio: ma come si manifesta il primato di Dio nella persona, nell’avventura esistenziale dell’individuo?


Il primato di Dio nella vita della persona

Cito un personaggio conosciuto da molti in questa parrocchia: Sabatino Jefuniello. Un uomo che emigra da Salerno a Milano in cerca di lavoro come tanti e che muore in questa città nel 1982, a 32 anni. Viene dal Sud in cerca di lavoro. Lo trova come fattorino in un’azienda. Ma viene il momento in cui rinuncia al lavoro per mettersi al servizio dei più poveri e aiuta fratel Ettore nell’assistenza ai barboni della Stazione Centrale. Muore perché non cura una broncopolmonite. Tutto dedito al servizio dei più miserabili, non bada a sé.
Cito questa straordinaria figura cristiana, semplice ma seria, dei nostri giorni anche perché rovescia tutti i luoghi comuni : è un meridionale che viene a Milano per cercare lavoro, è uno che non ha nulla e dà più di quanto riceva, è semplice e insegna ai sapienti. In genere non cerchiamo questi esempi: il meridionale che viene a Milano a cercare lavoro è piuttosto considerato un invasore, un appesantimento. Il lavoro non si trova neanche qui ormai, per tutti quelli di qui. Non si guarda in positivo all’avventura dell’immigrato: si sa che è costretto a cercare un lavoro e certamente Milano è un luogo ospitale, ma non siamo portati a pensare che possa venire un insegnamento da una vicenda così e, per di più, un insegnamento forte ed unico. Ma avviene proprio questo.
E qual è l’insegnamento che ci viene da questa persona, da questo Sabatino Jefuniello che non ha lasciato niente, non ha costruito, non ha scritto, neanche una frase ci ha lasciato? Il cardinale ha mandato una lettera per la sua morte in cui lo definisce "profeta minore" della nostra Chiesa, che "è stato mandato nella nostra città per essere segno umile, discreto della presenza del Signore". È una delle cose belle che il cardinale Carlo Maria Martini ha regalato a tutti: l’individuazione dell’esemplarità di questa figura modesta, illetterata. L’esempio forte che ha lasciato è questo : ha dato il primato a Dio, gliel’ha ridato rispetto al lavoro, ha saputo ripartire da Dio nel momento della sua conversione. il primato nella sua vita l’aveva il lavoro, per cercarlo aveva lasciato la sua regione, la sua città, aveva bussato ovunque, ma quando è arrivata la vocazione alla radicalità cristiana ha lasciato quel lavoro che per lui era tutto ed ha seguito la voce che lo chiamava.
Il primato di Dio nella vita di Sabatino si rivela con questa scelta radicale: abbandona tutto per mettersi, come i grandi santi del passato, al servizio dei più poveri. È un esempio, nella sua umiltà, eccezionale.
Ma nella vita di ciascuno di noi — se riflettiamo bene — c’è sempre un primato e spesso il primato è del lavoro, della carriera, del «posto», per il quale abbiamo sacrificato tanto, abbiamo lavorato notte e giorno.
Chi ha il primato nella nostra vita? Compiamo mai delle scelte in cui si rivela il primato di Dio? La nostra vita è tumultuosa — anche la più placida — e succedono tante cose, cambia la nostra situazione esistenziale e a ogni tappa dovremmo chiederci chi o che cosa stia assumendo il primato su di noi e come potremmo ristabilire il primato di Dio, che sempre dovrebbe essere sopra a tutto.
Faccio un altro esempio: la terza età, la vecchiaia, la pensione. Sabatino Jefuniello lascia il lavoro per vocazione radicale cristiana, ma ad un certo punto tutti lasciamo il lavoro per raggiunti limiti di età, oppure, in certi casi, dobbiamo interrompere il lavoro perché non abbiamo più le forze. Tutti abbiamo un appuntamento, una scadenza in cui il lavoro e la carriera perderanno il primato. In quel momento che succederà nella nostra vita? Intristiamo, non abbiamo più un centro? La verifica viene chiara: se noi abbiamo realizzato un primato di Dio tutti gli altri mutamenti saranno secondari, anche quello grande dell’abbandono dell’attività lavorativa, quando sarà il momento.


Il primato di Dio nella vita di coppia

Nella vita di coppia il primo posto l’ha il partner, se è una vita di coppia intensa, piena. La sfida qui è di come rispettare questo primo posto senza pregiudicare il primato di Dio. Può avvenire, deve avvenire. Avviene nella vita di tanti nostri contemporanei. Cito il caso della vedova Gardini, Idina.
Nel Luglio del 1993 il marito Raul si uccide. Pensate alla situazione di questa donna che non solo perde il marito, ma lo perde in questo modo, che è come perderlo due volte. E lei è credente. In questo momento la verità si fa giorno: se Dio ha davvero il primato nella vita di una persona, allora quel primato non si perde quando si perde il partner. Ma se il primato l’ha il partner - non solo il primo posto, ma il primato che tutto fonda e riassume - la perdita del partner può comportare la perdita della fede. Dopo il suicidio di Raul, Idina si è consacrata ed ha scelto di diventare terziaria carmelitana, ma questo è secondario. La cosa che a me interessa è che ha mantenuto la fede nella prova e l’ha affermato pubblicamente. Intervistata in televisione da Enzo Biagi sul suicidio del marito, ha detto: «Quel gesto che distrugge il bene più grande che è la vita umana, non è ammissibile. Ma io lo rispetto, come ho sempre rispettato tutto di lui, fin dal 1959, amandolo nella preghiera».
Questa è la testimonianza del primato di Dio nella vita a due, che resta confermato nella rottura violenta della vita di coppia. E si potrebbero citare molti altri casi. Idina realizza insieme il primo posto dello sposo ("ho sempre rispettato tutto di lui fin dal 1959" : che è la data del matrimonio) e il primato di Dio. Mantiene il primo posto a Raul dopo il suicidio ("ma io lo rispetto") riaffermando il primato di Dio ("quel gesto non è ammissibile"). E compone nel suo cuore di sposa cristiana quel primo posto e quel primato : "amandolo nella preghiera".
Ho condotto un'inchiesta e ho pubblicato un libro intitolato "Cerco fatti di Vangelo" (SEI editore), in cui c’è un capitolo intitolato "La voce dello sposo e la voce della sposa" nel quale ho racconto storie di cristiani dei nostri giorni, in cui uno sposo o una sposa affermano il primato di Dio nella vita di coppia. Senza, cioè, fare mai del partner, del destinatario del proprio amore, un idolo, ma compiendo un cammino a due verso il Signore e testimoniando che l’amore per il Signore è più grande di quello per il partner, come chiede il Vangelo, Sono parole impressionanti, ma sono parole di Gesù: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me» (Mt 10,37). Questo è il primato di Dio nella vita di coppia.
Quando la coppia non è spezzata dalla morte, dal suicidio, dalla separazione colpevole; quando dura l’unione felice dei due, come si manifesta, come si può cogliere il primato di Dio in questa vita normale della coppia?
Provo a dire la mia idea. Mi sono detto: non posso citare solo il fatto drammatico di chi ha perso il partner senza perdere la fede. Secondo me, per la mia esperienza di vita di coppia, il primato di Dio si attesta nella preghiera dei due, si esprime nell’invocazione perché il Signore mostri alla coppia - alla coppia felice, realizzata, amante - il modo, la strada per riuscire nell’impresa difficile che ambedue amino Dio più del partner. Che riescano a dare all’amato il primo posto tra le creature, senza intaccare il primato che va riconosciuto al creatore.
Se sono consapevoli di questo e cioè che nell’appagamento, nell’intimità felice, nella reciprocità dell’amore c’è pur sempre un'insidia: quella di dimenticare il Signore; se chiedono a Dio, insieme, di indicare loro la via per significare il loro attaccamento a Lui nell’attaccamento dell’uno all’altro, allora il primato di Dio è confermato e sarà manifestato.
 

Il primato di Dio nella famiglia

Cito il caso di una coppia torinese con figli: Liborio e Michelina Palumèri. Perdono un figlio, Luca, che muore d’infarto a 22 anni, misteriosamente, mentre loro non sono in casa, nell’agosto del 1993. Durante la Messa di commiato pronunciano una preghiera che termina così: «Abbiamo offerto in ginocchio, fra le lacrime, la sua vita a Dio». Ecco il primato di Dio nella coppia che ha figli.
In una coppia legata da piena comunione sponsale e realizzata dalla presenza dei figli quale cosa è più facile? Che il primato l’abbiano i figli. Direi umanamente inevitabile, ma il Vangelo ci chiede qualcosa in più dell’umano perché ci chiede di fare qualcosa che valga più dell’amore per i figli. Potremmo usare il linguaggio che abbiamo sperimentato per il matrimonio : il primo posto ai figli, il primato a Dio. E il momento della sfida è questo: quando una coppia che inevitabilmente vive il primato dei figli nella propria vita, si trova privata di essi. È la prova più grande che un uomo possa incontrare sulla terra. Pensiamo ad Abramo quando deve sacrificare il figlio: tutta la rivelazione ebraico-cristiana è appesa a questa storia!
Se il primo posto dei figli diviene un primato, se il nostro amore per loro si fa idolatrico, quando un figlio muore, quando è perso, specie se è l’unico figlio, i genitori perdono la fede o la smarriscono. Se invece affermano, come questa coppia, il primato di Dio anche in quella terribile circostanza, allora è testimonianza piena.
Domandiamoci anche qui: come si manifesterà il primato di Dio nella coppia realizzata e con figli, alla quale i figli non sono stati sottratti e, grazie a Dio, vivono e sono sani, studiano, lavorano, si sposano? Abbozzo questa risposta. Se i due sono in grado — giorno per giorno e non una volta per tutte — "di mettere la propria anima" per i figli (è un’espressione un po' impegnativa dei Padri della Chiesa, che bisognerebbe recuperare); se questi genitori sono disposti ad accettare tutto piuttosto che lo smarrimento spirituale dei figli (questo significa "mettere la propria anima"), allora attestano e costruiscono il primato di Dio nella famiglia di contro al primato idolatrico dei figli, per il quale sarebbe naturale sacrificare tutto per loro, compreso l’amore di Dio.
 

Il primato di Dio nella Chiesa

Anche nella comunità ecclesiale facilmente ciascuno di noi persegue un primato che non è necessariamente quello di Dio. Sarà il piano pastorale, l’oratorio da rinnovare, la scuola da costruire, la lettera pastorale da scrivere. Sarà di far meglio del predecessore, o del vicino... Per carità, con generosità, dediti alla causa, con sana emulazione!
Indicherò dei casi recentissimi, questa volta famosi, di persone che hanno mostrato il primato di Dio nel momento in cui tutto ciò che facevano perdeva importanza perché colpiti da malattia.
Prima ho citato casi in cui si rinuncia al lavoro, di accettazione della rottura violenta della vita di coppia, della morte di un figlio. Casi in cui la verità della fede e della vita si palesa per intero, perché non ci sono più "stampelle" e ci si deve muovere da soli, casi in cui il cristiano comune deve mostrare che cosa ha maturato. Ora, invece, sono dei vescovi che vogliamo interrogare: Franceschi, Agresti, Corecco e Bello.
Sono vescovi della nostra Chiesa, morti negli ultimi 5 anni, vescovi dei nostri tempi. Li ho conosciuti tutti e non per merito, ma perché essendo un giornalista addetto a fatti religiosi conosco i vescovi come un giornalista dello sport conosce i calciatori.
Quando questi vescovi scoprono di essere malati e di avere pochi giorni o mesi di vita, i primati vari che ci potevano essere nella loro vita (anche il più alto: la dedizione totale alla vita della Chiesa, paragonabile alla dedizione di uno sposo alla sposa) rischiano di non avere più nessuna importanza, o di costituire addirittura un ostacolo per il primato di Dio. Il primato di Dio si vede nell’eclissi degli altri primati. E tutti hanno compiuto dei gesti straordinari di distacco, convocando la comunità e informandola della loro malattia, chiedendo di essere accompagnati al passo decisivo.
Anche un Vescovo può perdere la fede! Non è garantito di niente solo perché è Vescovo. Siamo tutti uguali di fronte alla morte. La sua sfida è radicale, totale e se il primato di Dio è maturato nella vita si vede in questo momento.
Ci sono anche dei sacerdoti che hanno vissuto in modo esemplare questo momento del distacco: don Moioli, don Serenthà (per citare due sacerdoti milanesi) che hanno dovuto affrontare la prova della malattia grave, mortale e lo hanno potuto fare consapevolmente, informati della gravità della situazione.
Queste persone hanno accantonato tutto il resto, si sono concentrate su questo problema della loro morte. Hanno parlato di questo (pensate a padre Turoldo!). Hanno dato testimonianza del primato di Dio, sono morti serenamente lasciando un grande esempio alla comunità. Hanno celebrato la loro morte nella comunità. Questa affermazione del primato di Dio nell’ambito della comunità ecclesiale, attestata quando l’azione della persona non può avere nessuna giustificazione umana e nessun pretesto, è particolarmente preziosa e feconda. Perché uno può avere molti motivi umani per agire coraggiosamente, per essere profondo nello studio teologico, per essere audace nel governo della comunità ecclesiale, ma non ci sono motivi solo umani per affrontare ad occhi aperti la morte testimoniando la speranza. Questo si può fare solo se il primato di Dio è maturato nell’insieme dell’esistenza.
E cito un caso ulteriore che mi pare più significativo di tutti: il modo in cui scelse di morire, ad occhi aperti, il cardinale Giovanni Benelli (muore da arcivescovo di Firenze nell’ottobre del 1982).
Il cardinale Benelli quando è colpito da infarto (questo è davvero un caso straordinario) non se ne cura e si lascia morire. Non vuole essere portato in una clinica dove, dicono, poteva essere salvato. Non entro nel merito della legittimità della scelta e non voglio dire che uno colpito da infarto non si debba curare, perché ora interessa l’altra scelta che compie: fa giurare alle suore che lo servono di non dire a nessuno della sua malattia, di non fare entrare in casa nessuno e anche al medico fa giurare di non farlo ricoverare in clinica.
Resta lì e si fa portare soltanto l’Eucarestia. Sopravvive tre giorni. La Comunione al mattino e poi resta in silenzio e solo tutto il giorno e la notte, solo con il suo Signore.
C’era stato, dieci anni prima, un altro caso altrettanto eccezionale: il patriarca Athenagora di Costantinopoli (quello che abbracciò Paolo VI a Gerusalemme nel 1964) quando ebbe un incidente e si spezzò una gamba — aveva 85 anni — non aveva voluto andare in Austria a curarsi - a Costantinopoli non potevano curarlo - e aveva voluto, invece, essere lasciato solo nella sua stanza (era un monaco di formazione) con l’Eucarestia (aveva chiesto che gli mettessero il pane e il calice sul comodino). Aveva voluto che lo lasciassero solo la sera e il mattino seguente era morto. Ha voluto morire solo con il Signore.
Sono esempi straordinari che sembrano appartenere alla storia antica, ma che sono di oggi e danno un insegnamento per la vita ordinaria. Come applico a noi distratti questa parabola di uomini che scelgono con tanta forza, con tremenda radicalità, di restare soli con Dio?
Il cardinale Martini dice nella sua lettera: «Il primato di Dio si manifesta nel deserto, nella solitudine. Ecco, il deserto è questo momento in cui Benelli o Athenagora scelgono di stare soli con Dio nella loro camera, come l’anacoreta tra le dune di sabbia.
Ma, se riflettiamo bene, troveremo che anche nella nostra vita ci sono questi momenti : ci sono benché non li cerchiamo. C’è il momento della solitudine, c’è il momento in cui crediamo di essere abbandonati da tutti, e alle volte lo siamo davvero! E quando siamo soli nella nostra camera, in questi momenti in cui crediamo di essere stati abbandonati, quando facciamo l’esperienza del tradimento del partner, del collega, dell’amico, come reagiamo? Abbandoniamo tutto, ci disperiamo, bestemmiamo? C’è in noi, nel momento della prova e del deserto, l’invocazione a tu per tu con il Signore come hanno fatto questi uomini nelle circostanze eccezionali che ho raccontato? Sono circostanze eccezionali che ci permettono di visualizzare ciò che è nell’esperienza di tutti gli altri che ho citato: Agresti, Franceschi, Bello, Corecco ... tutti hanno fatto questa esperienza. Nei due casi in cui si sono chiusi in camera, è straordinario il modo, la scelta della solitudine, ma nella sostanza quella solitudine c’è sempre. Essa viene a noi e non manca mai, nella grande prova. Si muore sempre soli, è stato detto.
 

Il primato di Dio nel mondo

Cito rapidamente alcuni personaggi:

Rosario Livatino, giudice di Agrigento ucciso dalla mafia;
Fabio Moreni, imprenditore di Cremona morto in Bosnia dove era andato a portare aiuti con un TIR della Caritas;
Chiara Amirante, una ragazza di 30 anni che alla periferia di Roma apre una casa di accoglienza per prostitute e drogati ;
Alpidio Balbo, dirigente d’azienda che da Merano organizza spedizioni in Africa di aiuto ai missionari.

Cito quattro personaggi che agiscono; che hanno doti di carriera (giudice, imprenditore, ecc.); e che attestano nelle attività più varie, in mezzo al mondo, con una grande forza ed efficacia, il primato di Dio.
Mi fermo un attimo su Rosario Livatino: un cristiano talmente forte che se fossimo nei primi secoli della Chiesa sarebbe già ora venerato come martire e dottore. Ha lasciato una conferenza sul rapporto tra fede e giustizia in cui dice che il giudice è come un sacerdote perché è tra Dio e l’uomo nel momento della giustizia. E afferma che «il rendere giustizia è preghiera e dedizione di sé a Dio».
Questo giudice si fa assegnare un grosso processo di mafia. Si offre volontario tra i Sostituti Procuratori di Agrigento perché è senza famiglia. Interrompe il fidanzamento con una donna perché non ne vuole farne una vedova.
Nella sua agenda lascia tracce di preghiera. È sicuro che lo uccideranno, ma non vuole la «scorta» perché non muoiano altri uomini. Sapendo che per combattere la mafia ci vogliono veramente dei martiri, va incontro al suo destino. Viene ucciso a 38 anni nel novembre del 1980 e forse si farà la causa di beatificazione.Cito questi fatti anche per scuotere un po’ dalla tendenza ad interpretare negativamente tutto ciò che succede nei nostri tempi: questi siciliani che non sanno che fare di fronte alla mafia, questi immigrati che aggravano la situazione di altri luoghi, questi cristiani che non sanno più guardare in faccia la morte ... No, fra gli immigrati c’è un Sabatino Jefuniello , "profeta minore" della Chiesa di Milano; e tra i siciliani c’è un Rosario Livatino che è un gigante nella storia contemporanea di questo paese. E tra noi, tra i battezzati di questo paese, ci sono anche quelli che sanno entrare nella morte a occhi aperti. Dobbiamo avere il cuore puro e lo sguardo limpido per vedere! Termino con il caso di Enrica Plebani, una ragazza-bene milanese che finisce in una storia di droga. Si riscatta dalla droga, ma contrae l’AIDS. Ha una conversione religiosa, scopre di essere sieropositiva e deve affrontare il calvario della malattia. Muore nel 1990 a 28 anni lasciando testi di preghiera e lettere tali che potrebbero farne la patrona dei sieropositivi.
Termino con questa figura per dire che ogni svolta della vita ci offre l’opportunità, la possibilità e la sfida di affermare il primato di Dio.
Questa ragazza quando emerge dalla droga, liberata dall'inferno, potrebbe dedicarsi a se stessa e, invece, nel nome del Vangelo sceglie di dedicarsi al ricupero di altri drogati perché ha avuto una conversione religiosa. Quando scopre di essere sieropositiva potrebbe avere una ribellione — sembra che capitino tutte a lei — e, invece, vive un’ulteriore conversione quasi di tipo mistico.
 

*****

La nostra vita è piena di svolte, di esiti inaspettati. Dio ci riempie di improvvisate e ogni giorno, ad ogni improvvisata di Dio, noi dobbiamo riaffermare il Suo primato nella nostra vita, nella nuova circostanza della nostra vita.
Quando siamo soli, nelle forme in cui si addice al «solo».
Quando siamo sposati, nelle circostanze della vita di coppia, perché non sia il partner ad avere il primato, ma l’amore per il partner attesti , esprima, convogli l’amore per Dio.
Quando ci sono i figli perché non ne facciamo degli idoli, ma ci consideriamo — noi e i figli — mano nella mano di fronte al Signore.
E se dovessimo perdere i figli, se la nostra vita dovesse avere un tracollo (la salute, la prova della morte) il primato di Dio dovrebbe rifulgere nel tracollo, così come dovremmo saperlo affermare quando il pieno delle energie ci permette di agire nel mondo.
Dobbiamo trovare in ogni circostanza il gesto, la scelta o la parola che attesti il primato di Dio nella nostra vita. Lasciargli spazio perché egli ogni momento affermi il suo primato d’amore nella nostra esistenza.

riga

Homepage Torna all'inizio PARAZZOLI CATTANA