IO CREDO ?
Ferruccio Parazzoli


Come e in chi credere
L’immagine del "mandala"
La dinamica dello Spirito
Il sì di Maria allo Spirito


Come e in chi credere

Voglio esprimere il mio non lieve imbarazzo nel parlare di temi su cui ho scritto. Uno scrittore è lecito che scriva — è il suo mestiere, è quello che più o meno sa fare — ma non parla o non dovrebbe parlare, perché la parola detta ha un’altra velocità, un’altra forza, anche destabilizzante, che non quella scritta. La parola scritta è protetta dai segni grafici della pagina; quella detta parte e arriva come una pallottola. Inoltre, l’argomento che affronterò questa sera insieme con voi non è quello di «credere o non credere», ma se mai, «come e in chi credere». Infatti il problema non è affatto quello di credere o di non credere.
Ho partecipato ad una puntata della serie di trasmissioni di Sergio Zavoli che aveva per tema "Credere o non credere. Perché credo? Perché non credo?". In quella serata, oltre a me, c’erano la sig.ra Pivetti, il card. Tonini, Flores d'Arcais, il filosofo Severino, lo studioso di religioni Di Nola. Io ero evidentemente invitato per la parte cattolica. Dall’altra parte c’erano studiosi e filosofi che decisamente e pubblicamente proclamano il loro ateismo.
Credere o non credere ... non è questo il problema che mi pongo e mi sono posto anche scrivendo il libro "Io credo?" pur con il punto interrogativo. Noi, tutti noi, conviviamo già con Dio, ne siamo dentro, non ci poniamo più la questione se si possa non credere. Noi siamo come il lessico, il vocabolario dell’ebraico antico dove non esiste la parola «ateismo». Non si può non essere dentro «il disegno di Dio». Noi abbiamo già fatto questa scelta.
Fare la scelta: questo basta? Ma abbiamo scelto che cosa? Siamo veramente convinti, fino in fondo, di capire chi o che cosa abbiamo scelto? Non «se abbiamo scelto», ma «chi e che cosa abbiamo scelto»?
Perché questa convivenza con Dio abbia una dignità — come tutte le convivenze basate su un reciproco rapporto — bisogna che sia basata sull’onestà. Questa chiarezza non è necessaria soltanto per noi, ma per essere onesti verso quel Dio nel quale diciamo di credere.
Ecco perché la domenica, dopo tutti questi anni che vado in chiesa, ecco che, come per una illuminazione (non so se positiva o negativa), ho sentito questa «paralisi» nel recitare il Credo. Non perché mi ponessi il problema se io credessi in quel Dio che professavo, ma perché il Credo è la professione stessa della nostra fede.
Voi sapete che le formule del Credo sono due: il Simbolo apostolico, il più antico, e il Credo di Nicea che nasce più tardi dal Concilio di Nicea ed è più dettagliato, particolareggiato.
Proprio in vista di quella onestà di cui parlavo prima, ho cominciato a studiare punto per punto le affermazioni del Credo anche se sono tutte affermazioni che tutti noi crediamo di conoscere assai bene.
E’ qualcosa che noi prendiamo in blocco. Non possiamo dire: "Io credo in questa cosa, in quest’altra così così, e quest’altra ... beh! non fa niente se non ci credo". No, «tutto si tiene» come dicono i francesi ... E si tiene talmente che questa tenuta saldissima della nostra fede attraverso le parole del Credo ci diventa — come mi è diventata un giorno alzandomi per recitarlo — ostacolo. Che tipo di ostacolo? L'ostacolo che nel libro indico con l'immagine del «mandala».
 

L’immagine del "mandala"

Il «mandala» (in sanscrito "cerchio") è quella immagine che nelle dottrine orientali — tibetane in particolare — racchiude il senso dell’universo.
A cosa serve il «mandala» ? Un po’ quello che serve a noi la recita del Credo: rassicurare, possedere, essere padroni completamente di quello in cui crediamo, di quello in cui ci muoviamo, di questo universo religioso, di esserne così padroni da riceverne una grande tranquillità, una tale tranquillità da non pensarci più, convinti di avere in mano la realtà.
Noi andiamo per il mondo parlando di Dio, della nostra fede, come se veramente la fede, ormai, ce l’avessimo in tasca e come se di Dio noi sapessimo tutto, esattamente tutto.
Questo non è soltanto un problema nostro, di noi contemporanei, è un problema antico come l’uomo. La lettura della Bibbia ci conferma in questa impressione di essere in grado di raccontare o di raccontarci la storia di Dio. E’ una cosa assolutamente abnorme. Però se uno ci dice: "Raccontaci un po’ del tuo Dio", noi, senza nemmeno un sussulto, partiremmo dalla Genesi: Dio creò la terra, l’uomo ... poi Adamo ed Eva ... poi il Paradiso Terrestre chiuso ... l’angelo ... la promessa che verrà il Salvatore ... Dio che manda suo Figlio ... Maria partorisce il Figlio di Dio che poi muore in croce ... che poi risorge ... Senza batter ciglio raccontiamo questa cosa in cui fermamente crediamo e giustamente crediamo. Quando la raccontiamo, però, vediamo che immediatamente succede quello che è successo a San Paolo quando è arrivato ad Atene: tutti sono stati ad ascoltarlo fino alla Risurrezione, ma qui gli ateniesi — che la sapevano lunga — se ne sono andati prendendo Paolo per pazzo.
Questa illusione che noi abbiamo di sapere tutto di Dio improvvisamente ci porta a dire: "Forse di Dio non so niente. Che cos’è che mi ha dato l'illusione di una così abnorme conoscenza?".
L’unico modo che noi uomini abbiamo per comunicare le nostre conoscenze è il linguaggio: quello che io sto esercitando in questo momento e di cui ho estremo sospetto.
Perchè? Perchè mentre diciamo, affermiamo, descriviamo quello che pensiamo, ecco che scambiamo il nostro pensiero per la realtà; cioè sostituiamo la verità, o la realtà, anche se non maliziosamente, con il nostro pensiero. Come in questo esempio: un geografo sostituisce una mappa con un territorio e fa una mappa 1:1 di tutta la Lombardia ... ma questa mappa non è la Lombardia, è un segno grafico della Lombardia ... la Lombardia è un’altra cosa, è una terra con le sue piante, case, ecc.
Quindi dietro questo velo del linguaggio che copre anche il nostro Credo c’è una realtà molto più grande, sempre da scoprire. E’ il percorso che io ho fatto di volta in volta, punto per punto, per vedere se riuscivo a sfondare il velo del linguaggio e capire, arrivare a capire, arrivare alla verità che sicuramente sta dietro.
Mi sono chiesto, cioè, se io so che cosa dico, io che quando recito il Credo dico: "Credo lo Spirito santo, la Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna". So che cosa dico? Dico delle parole. Cosa c’è dietro queste parole? Cosa c’è quando dico: Credo la Chiesa santa, cattolica e apostolica, credo la comunione dei santi? Non mi faccio il problema di che cos'è la «comunione dei santi»? Cosa posso credere quando dico: "Credo la comunione dei santi"? Niente? Ho la testa vuota? Ho l’animo vuoto?
Anche quando dico: "Credo nello Spirito Santo", ancora una volta penso ad una raffigurazione, ad una colomba che scende, alla luce. Che cosa mi raffigura? Sono sempre immagini ... non riusciamo mai a sfondare per andare a vedere di là.
Ma non con la forza della ragione perchè la ragione, che è un bellissimo strumento, come è un bellissimo strumento il nostro corpo, è limitata. E’ opportunamente limitata, è bene che lo sia, proprio per poter arrivare fino al nostro limite estremo che riusciamo eroicamente a portare sempre più avanti. C’è sempre e ancora dello spazio!
 

La dinamica dello Spirito

Ma per che cosa c’è dello spazio? Per un’altra cosa completamente diversa e che è, poi, la conclusione a cui arriva il mio libro. Una conclusione provvisoria, sofferta, non personale - perchè non credo che lo sia - che mi piacerebbe discutere e condividere, una conclusione che mi dice: "Questo spazio che rimane è lo spazio dello Spirito!". E allora mi chiedo che cosa è lo Spirito, quello che noi chiamiamo Spirito Santo, «ruah» in ebraico, il vento, appunto, il dinamismo.
La dinamicità dello Spirito, la non staticità dello Spirito è quella chiave che, all’inverso, mi fa scardinare ogni serratura e fa cadere ogni « mandala », fa cadere ogni velo e mi proietta al di là dell’immagine - «maya» direbbero gli orientali: tutto è maya, tutto è illusione - mi proietta al di là dell'illusione verso la verità e la realtà. Solo così possiamo affrontare, per esempio, il problema ultimo, il problema di cui parlavo prima, che non diventa più quello - fondamentale per un cristiano - della risurrezione: e non soltanto della risurrezione di Cristo, ma anche quella affermazione che è stata durissima ad essere accolta nei primi secoli cristiani e che suona così: la risurrezione della carne.
E’ stata durissima e lo è ancora per noi. Non so quanti di noi si sono soffermati a pensare a questo "indovinello" della risurrezione della carne ... Spesso è stato messo anche in burla: ma come, ma no, risorgeremo con questo corpo, ma a me non piace, a che età ... Una scrittrice mi diceva proprio l’altro giorno che secondo lei risorgeremo tutti all’età di 33 anni (è evidente che è l’età della morte di Cristo) ... ma io ho risposto che a me quell’età non piaceva perchè a 33 anni io stavo malissimo e mi sento molto meglio ora a 60 anni.
Ma tutto si schiarisce se noi, nella luce dello Spirito, cominciamo a capire che non esistono contrapposizioni: la morte non è contrapposta alla vita, non c’è più «sotto e sopra», «destra e sinistra» ...
Possiamo persino cominciare a intuire che sbagliamo, e nello stesso tempo diciamo il giusto, quando parliamo, ad esempio, di Inferno, quando parliamo di Purgatorio, quando parliamo di Paradiso. Di che parliamo? Se ci mettessimo ora a dire a cosa pensiamo quando pensiamo al Paradiso, al Purgatorio, all’Inferno, ci verrebbero in mente quelle immagini - vedete, ancora immagini - che ci vengono, ad esempio, da Dante che è stato un grande poeta ed anche un grande studioso del mondo arabo e del mondo latino, ma che ha contribuito troppo largamente (ognuno di noi ha passato almeno qualche anno di scuola sulla Divina Commedia) a darci un’immagine strampalata - sopra, sotto, più in alto, più in basso - del paradiso, del purgatorio e dell’inferno.
Il grande pittore Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto dipinge la risurrezione dei corpi e fa del suo meglio: ne fa risorgere forse una dozzina, mentre un'altra dozzina rimane sotto. Quelli che risorgono vanno "in su" e sono belli, atletici; mentre quelli che rimangono sotto vanno "in giù" e sono così così. Ma io mi dico: dove sono, per esempio, i bambini mai nati, tutti quei poveri aborti? Dove li ha messi Luca Signorelli? Non vanno né su, né giù e che cosa fanno? Li abbiamo persi?
No, queste sono soltanto immagini meravigliose, ma umane.
La dinamica dello Spirito è tale che non conosce contrapposizioni, che non conosce «sopra e sotto», «vita e morte». E non conoscendo né vita né morte come contrapposizioni, ecco che noi possiamo intuire questo fatto, che va al di là di ogni nostra esperienza, che è la risurrezione di Cristo e la nostra stessa risurrezione.
Anche san Paolo ci fa intuire, supporre una possibile soluzione del mistero di resurrezione quando ci lancia l’idea del seme che marcisce: il seme non è la pianta, eppure questa pianta è quel seme anche se, nello stesso tempo non lo è più. Così, quando parliamo di «corpo glorioso» di Cristo risorto, ci andiamo vicino, ci sembra quasi di « toccare » la soluzione della nostra ansia di capire, ma non la tocchiamo. Il «corpo glorioso» è lo stesso corpo, ma non è lo stesso corpo: Maria di Magdala va al sepolcro - lo conosceva bene Gesù - e non lo trova, si dispera e vede — dice lei — l’ortolano, il guardiano di quel giardino e chiede se ha visto qualcuno portare via il corpo del suo Signore. Ma appena il Risorto la chiama per nome «Maria!» lei lo riconosce ed esclama «Rabbonì!» e crolla ai suoi piedi. Ad Emmaus la stessa cosa. E i suoi apostoli tornati dal largo stanchi, delusi, depressi senza aver pescato nulla, quando vedono uno sulla spiaggia che chiede loro dei pesci e che dice loro di buttare le reti sul lato destro ... Alla fine Giovanni lo riconosce, esclama: "E’ il Signore!"
Cosa vuol dire? Vuol dire che c’è qualcosa che va più in là delle nostre assicurazioni e delle nostre parole; che c’è una forza, una dinamica — ed è la dinamica dello Spirito — che scavalca tutti questi ostacoli che ci siamo messi da soli perchè non sappiamo fare altro e non per colpa, ma proprio perchè non sappiamo fare altro. Questa forza, invece, questa dinamica scavalca tutto e dice che c’è veramente una dimensione diversa.
Come c’è una diversa dimensione del tempo: noi crediamo di vivere il tempo, ma è ridicolo, perchè sappiamo benissimo che il tempo — la misura del tempo — è una convenzione. Il tempo non ha inizio e non ha fine. Quando parliamo di eternità ("Credo nella vita eterna") è lo stesso termine che rimanda ad un concetto che non solo non ha fine, ma non ha neanche inizio, perchè altrimenti non sarebbe eterno. Quindi noi ci muoviamo in questa dimensione — che è la dimensione dello Spirito — che non ha né inizio né fine, che non solo non ha fine ma nemmeno inizio, una dinamica che c’è da sempre e di cui facciamo parte e che non ci lascerà mai, che ci piaccia o no!
Cristo dice ai suoi apostoli: "Vi lascio perchè se non vi lascio non posso mandarvi il mio Spirito". E' essenziale questa venuta dello Spirito, questa Pentecoste. Cristo dice: "Vi mando lo Spirito" come l'eredità più grande che ci lascia.
E dunque, ecco che noi facciamo parte, tutti insieme, di questa dimensione dello Spirito nella quale, per esempio, i nostri cosiddetti peccati sono una barzelletta, nel senso che nessuno si perde. Soltanto il peccato contro lo Spirito non è perdonato. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che tutto il resto sono soltanto «distrazioni» cioè andare per una strada divergente da quella diritta. Questo sono i nostri poveri peccati per quanto grandi possano essere: solo delle «distrazioni», delle «divergenze», da questa grande strada su cui passiamo tutti e dove i «tralci» se restano attaccati non seccano. So di dire una cosa non tanto gradita né troppo ortodossa: non è che non ci sarà l'inferno, l'inferno c'è perchè ipoteticamente ci deve essere ma noi non ci andremo, non ci andrà praticamente nessuno ... proprio perchè saremo già tutti salvati dalla croce di Cristo. Bonhoeffer diceva: "A salvarmi c’è la croce di Cristo". E dietro la croce di Cristo c’è lo Spirito: questa forza grandiosa e meravigliosa che ci trascina tutti. Certo, ci saranno delle schegge cadenti come nel firmamento, ma complessivamente noi arriveremo in porto.
 

Il sì di Maria allo Spirito

Voglio lasciarvi da ultimo ancora una chiave di comprensione che va al di là dei linguaggi, perchè è quella chiave che mi ha fatto giungere all' «altra chiave» di salvezza — importantissima — che è Maria.
Non è solo una giaculatoria dire: «Maria ianua coeli», ma a forza di ripeterlo non sappiamo più cosa diciamo. Diciamo: «Maria porta del cielo, ingresso del cielo» (e lasciamo perdere il cielo con il sopra e sotto, l'azzurro, il rosso, l'inferno ... ), diciamo: «Maria porta e ingresso per la nostra salvezza». Pensiamoci un momento e capiremo il perchè.
Perchè Maria ha risposto "Sì" alla chiamata dello Spirito. Noi non ci chiediamo mai se Maria avesse potuto rispondere di "no". Diciamo "Non poteva, perchè Dio aveva già pensato a tutto e per predestinazione divina Maria non poteva dire di no". Ma chi l’ha detto che Maria non potesse dire di no? Io non ne sono così sicuro ... Maria ha detto di sì, ma forse poteva dire di no.
E Maria era una come noi ... va bene, mettiamoci anche "nata senza peccato", ma è la cosa non mi meraviglia affatto: solo perchè noi siamo nati con il peccato, Maria non avrebbe potuto nascere senza? E perchè non avrebbe potuto partorire vergine? Perchè in genere non si partorisce vergini! E allora? Noi abbiamo un’esperienza che dice che le vergini non partoriscono, ma la nostra esperienza è limitata ad una infinità di casi. Al di là della nostra logica c'è il « deragliamento » che ci dà la logica dello Spirito.
E così, come abbiamo fin qui fatto, si potrebbe continuare a recitare il Credo ma, finalmente, con un brivido di meraviglia: non perchè lo stiamo comprendendo, ma perchè lo stiamo vivendo.
Arriveremo all'Amen che significa "Così sia": è un istante che chiude tutto il mistero - non dobbiamo avere paura a usare la parola "mistero" - che ci rimanda a casa non tanto più soddisfatti nella nostra ragione, ma senz’altro più convinti che la nostra fede può essere veramente una fede libera e meravigliosa.

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