DALL’INFORMATORE PARROCCHIALE
DI S. MARIA DEL SUFFRAGIO
Mirko Bellora
Gli corse incontro
Il silenzio del padre
Il ritorno del figlio
Gli corse incontro
La religiosità del capretto
Nelle braccia del padre
Ecco il Padre... diventare il Padre
Gli si gettò al collo
Il più giovane disse
Allora rientrò in se stesso
L'abbraccio
Un credente "ateo"
Ho pregato il Padre Nostro. In ginocchio.
In queste mattine e in queste sere.
Da soli, in ginocchio, non è la stessa cosa
di quando sei con tutti …
Non ti senti neppure all’altezza di essere lì,
eppure ti senti in un abbraccio.
E chiedi perdono per quando
l’ingiustizia della morte
o la paura del futuro
diventano grumi inestricabili.
E la speranza ti investe.
E’ proprio vero che dire "Padre"
spalanca il cuore.
E’ proprio vero che "in ginocchio"
è l’unica posizione per lasciarsi amare,
per amare, per lasciarsi perdonare.
In ginocchio, dicendo Padre, si fa strada
la luce, la forza, la danza della Pasqua.
(Y.D.)
GLI CORSE INCONTRO
maggio 79
Non finisco mai di "gustare", pezzo dopo pezzo, la
nostra Chiesa ... ogni "pietra" mi parla.
Vi ho già raccontato di Davide e della sua cetra, nascosta
nelle vele del presbiterio e sulla porta dell’altare che porta in S. Proto;
dei due grandi affreschi sull’altare di Aldo Carpi raffiguranti la
Crocifissione e la Resurrezione; della piccola vetrata sopra la statua di S.
Monica che con una barca nella tempesta allude al "cuore inquieto
finché non riposa in Dio"; del fatto che tutta la nostra chiesa è un
canto a Maria: dalla lunetta della facciata, alla Madonna della Misericordia
appena entrati, ad alcune vetrate, alle splendide stazioni della Via Crucis di
Aldo Carpi, al trittico dell’Addolorata sull’altare, al nuovo portale della
tenerezza e della misericordia; delle nuove vetrate dell’amore trinitario nell’abside;
dei nostri grandi archi con le loro chiavi di volta; infine del pellicano
nascosto nella piccola vetrata del transetto di destra e sulla tavola dell’altare.
Questa volta mi voglio fermare con voi, grato e stupito,
davanti al grande affresco del transetto destro, opera dell’artista L.
Filocamo, che raffigura la famosissima parabola narrata da Luca (15,11-32), nota
come "Il figliol prodigo".
E’ una delle parabole più note, una delle più belle, un
vangelo nel vangelo.
Dice il biblista P. Grelot: "è un racconto di rara
bellezza letteraria e di ancor più rara densità teologica" ... non c’è
particolare che non comunichi un significato importante.
Il silenzio del padre
Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre:
Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra
loro le sostanze (Lc 15,11-12)
... non una parola, non un rimprovero, non un tentativo di
fermare quel figlio che ritiene di poter trovare maggiore libertà e maggiore
felicità lontano dal padre, lontano dalla casa paterna, che crede nella propria
autosufficienza, che ritiene di possedere le chiavi della felicità, che vede il
padre come un padrone a lui ostile. E’ un silenzio, quello del padre, carico d’amore
e sicuramente di qualche lacrima ...
E’ il dramma di un padre che, in nome della libertà del
figlio, è pronto persino a perderlo ...
Il ritorno del figlio
Ma il figlio non trova la libertà, la felicità sognate:
sperperate le ricchezze, finisce col pascolare i porci e a sognare di saziarsi
con le loro carrube.
Finita la pretesa di autosufficienza, forse per bisogno
rientrò in se stesso e disse: ... Mi leverò e andrò da
mio padre e gli dirò: Padre ho peccato contro il cielo e contro di te; non
sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi
garzoni (15,17-19)
E’ il suo mutamento interiore, è l’ammissione del
proprio sbaglio così descritto da Paul Claudel:
Il grande peccato, l’unico peccato dell’uomo è di
credere alla propria sufficienza.
E c’è il cammino di ritorno verso il padre.
Gli corse incontro
Ma ecco il vero protagonista della parabola apparire con
tutta la sua luce, la sua potenza, la sua commozione:
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli
corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò (15,20)
Se il padre vede arrivare il figlio da lontano vuol dire che
lo aspettava, che non si era stancato di aspettarlo, che non lo dava per
perduto, che desiderava il suo ritorno ... l’amore sa attendere pazientemente
e soprattutto non si arrende, non si dispera.
Gli corse incontro: l’amore, corre, vola ...
Il padre non gli lascia nemmeno il tempo di parlare, di
scusarsi, di giustificarsi: l’abbraccia, lo bacia, intimamente commosso, con
lo stesso amore di sempre, totalmente gratuito, che non rinfaccia il passato.
Mi torna in mente un proverbio berbero:
Quando muovi il primo passo verso Dio, lui ti sta già
correndo incontro.
... è quello che capita qui, a un figlio
"travolto" dal perdono e dalla gioia del padre.
Ed è questo il vero sconvolgimento, come dice il biblista
don Bruno Maggioni:
Quella del figlio che torna non è la vera conversione. E’
solo una premessa necessaria. Il figlio minore non conosce suo padre, né
quando si allontana da lui né quando decide di tornare. E’ convinto di
aver perso l’amore del padre e di doverselo meritare di nuovo. Invece, il
padre non ha mai smesso di amarlo. Non lo lascia neppure parlare: il suo
amore precede il pentimento e la conversione! Il padre è molto diverso da
come il figlio lo immaginava. Capire finalmente il padre è il vero ritorno,
la vera conversione.
La religiosità del capretto
Forse la parabola poteva finire qui. Ma ecco farsi strada un
terzo personaggio: il figlio maggiore.
Egli si indignò e non voleva entrare. Il padre allora
uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da
tanti anni e non ho mai trasgredito a un tuo comando, e tu non mi hai mai
dato un capretto per far festa con i miei amici" ... Gli rispose il
padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è
tuo" ... (15,28.31)
Questo figlio non sa gioire, non sa commuoversi come il padre
per il ritorno del fratello, è piuttosto impietoso e implacabile nel giudizio,
non sa perdonare, non accetta un padre che perdona, è gelido, invidioso,
lamentoso. Sta nella casa del padre ma ne è così lontano! Rimane ma senza
amore, senza passione. Sostituisce il dovere alla gioia.
Neppure lui capisce l’amore del padre, e si scandalizza per
una tale accoglienza al fratello che chiama sempre "tuo figlio".
E tocca ancora al padre prendere l’iniziativa, fare il
primo passo: esce a pregarlo perché anche lui condivida la festa per il figlio
ritrovato.
Anche qui, a proposito del capretto, mi torna alla mente un
detto del mistico Rumi:
Stamani nel giardino colsi una rosa temendo di essere
visto dal giardiniere, ma lui mi ha detto: perché solo una rosa, io ti do l’intero
giardino!
Nelle braccia del Padre
Ecco, questo padre è il nostro Dio. E questi figli siamo
noi, invitati a scoprire la relazione d’amore che Dio ci offre, la sua
infinita tenerezza.
Quella di Luca è
la pittura luminosa del volto di Dio, così come Gesù l’ha
rivelato: un Dio dell’amore e del perdono, che accoglie il peccatore
pentito riportandolo alla pienezza della sua dignità, un Dio deluso dai
figli ottusi e gretti ma pronto sempre ad attendere che il loro arido
legalismo si sciolga (G.F. Ravasi)
Forse davanti a questa parabola possiamo essere presi da una
giusta inquietudine o da un po’ di tristezza: perché ci riconosciamo nel
figlio minore e nella sua pretesa di autosufficienza o nel suo sospetto che il
padre non desideri la nostra felicità; o perché ci riconosciamo nel figlio
maggiore e nella sua glaciale fedeltà senza passione ... ma l’importante è
innanzitutto guardare al cuore del Padre ed essere certi che noi siamo nel cuore
del Padre. Per questo davanti al grande affresco della nostra chiesa, mi è
spontaneo dire con don Primo Mazzolari:
Mi pare di ritrovarmi anch’io, quasi senza
accorgermene, nelle braccia del Padre.
ECCO IL PADRE … DIVENTARE IL PADRE
ottobre 98
Si narra che, interrogato da Ben Gurion circa le
motivazioni della sua fede, Martin Buber abbia risposto: "Se Dio fosse
soltanto un oggetto di discorso - un dio di cui si parla - non crederei. Ma
il mio Dio è un Dio a cui posso parlare. Perciò credo". (E. Bianchi,
Da forestiero, Piemme)
... non solo gli puoi parlare, ti puoi fare abbracciare da
Lui, come un figlio infinitamente amato, perciò infinitamente perdonato e
infinitamente atteso.
Ce lo dice e ce lo insegna il nostro Cardinale Carlo Maria
Martini, con "sensibilità pastorale e animo biblico", nella
sua ultima lettera pastorale "Ritorno al Padre di tutti". Un
gioiello che non può andare perduto.
Perché ci consegna una splendida immagine di Dio, a partire
dalla famosissima parabola - mai scontata, da ricapire ogni volta di nuovo - del
figliol prodigo, meglio del padre misericordioso.
Un’immagine che ci "costringe" ad interrogarci
sulla nostra relazione con Dio, sul nostro saperci affidare perdutamente a Lui e
sul nostro rapporto coi fratelli, figli dello stesso Padre.
E’ una lettera "pellegrinaggio", per giungere a
dire "Padre" come lo diceva Gesù: "Abbà", paparino mio ...
dentro una fiducia sconfinata, una fiducia senza riserve.
E’ una lettera che vi invito a leggere, a meditare, a
vivere. E che io commento attraverso le parole di due grandi uomini e cristiani:
don Primo Mazzolari ed Henry J.M. Nouwen.
Ci sono momenti in cui l’orfanezza dell’uomo è così
tremenda e così spaventosa che nessuno vi può resistere: e in quei momenti
non c’è che un duplice atteggiamento, o una duplice conclusione: o ci si
inginocchia o ci si spara.
Se voi ci pensate un attimo, se voi misurate che cosa
vuol dire la presenza di un Padre, voi avete subito l’impressione che, se
può infastidire, è quella che tiene, che aiuta e che porta: è l’orfanezza
che se ne va, è sentirsi di qualcuno, è il trovarsi nelle ore del mistero
che si chiamano, dolore, abbandono, solitudine, morte, con una speranza
davanti e con qualcheduno che ci accompagna.
Per questa famiglia degli uomini, questa povera famiglia
degli uomini che fa così fatica ad arrivare a sera, e semina delusioni
dappertutto, e speranze che non tengono, e dolori che sono così vivi, e
preoccupazioni che ci tolgono persino il respiro ... ecco il Padre. (P.
Mazzolari, Il Padre Nostro, Paoline)
Le parole del nostro Cardinale ci suggeriscono il cuore del
Padre: un Padre a cui il ritorno del Figlio è necessario per essere Padre.
Passa tutto il giorno a scrutare l’orizzonte in attesa del figlio per potergli
correre incontro e abbracciarlo stretto. Un Dio che è solo e per sempre "Dio-con-noi".
Ecco il Dio in cui voglio credere: una Padre che, dall’inizio
della creazione, ha steso le sue braccia in una benedizione misericordiosa,
non forzando mai nessuno, ma aspettando sempre; non lasciando mai cadere le
braccia per la disperazione, ma sperando sempre che i figli tornino per
poter dire loro parole d’amore e lasciare che le sue braccia stanche si
posino sulle loro spalle. (H.J.M. Nouwen, L’abbraccio benedicente,
Queriniana)
Il Cardinale ci vuole consegnare una certezza: il nostro Dio
è Padre e Madre, insieme.
Un’intuizione meravigliosa già presente nel pittore
Rembrandt e nel suo dipinto "Il figlio prodigo", come ci racconta
ancora Nouwen e come ci ha ricordato don Alberto nel corso degli Esercizi
Spirituali di fine settembre:
Il vero centro del dipinto di Rembrandt è costituito
dalle mani del Padre. In esse si incarna la misericordia, in esse
confluiscono perdono, riconciliazione e guarigione.
Queste mani sono diverse tra loro. La mano sinistra,
posata sulla schiena del figlio, è forte e muscolosa. Quella mano sembra
non soltanto toccare, ma anche, con la sua forza, sorreggere.
Come è diversa invece la mano destra! Essa non sorregge
né afferra. E’ una mano raffinata, delicata e molto tenera. Le dita sono
ravvicinate e hanno un aspetto elegante. La mano è posata dolcemente sulla
spalla del figlio. Vuole accarezzare, calmare, offrire conforto e
consolazione. E’ una mano di madre.
Il Padre non è semplicemente un grande patriarca. E’
sia una madre che un padre. Lui sorregge, lei accarezza. Lui rafforza, lei
consola.
Sono un parroco e più passano gli anni, più tanta gente mi
desidera padre ... anche i "miei" vicari parrocchiali ... E anch’io
mi sento sempre più dolcemente costretto dallo Spirito a essere, a diventare
padre. Forse lo dobbiamo diventare tutti, come ci dice ancora Nouwen, con questa
sua sorprendente e "inquietante" meditazione conclusiva:
Un figlio non rimane un bambino. Un figlio diventa un
adulto. Un adulto diventa padre e madre.
La sfida, o meglio la chiamata, è diventare io stesso il
Padre. Sono intimorito da questa chiamata.
Sebbene io sia entrambi, tanto il figlio minore che
quello maggiore, non devo rimanere come loro, ma diventare il Padre.
Voglio essere non solo colui che è perdonato, ma anche
colui che perdona; non solo colui che è accolto festosamente a casa, ma
anche colui che accoglie; non solo colui che ottiene compassione, ma anche
colui che la offre.
Il ritorno al Padre è in definitiva la sfida a diventare
il Padre.
Diventare il Padre misericordioso è lo scopo ultimo
della vita spirituale.
E’ una lettera consolante ed insieme esigente quella del
nostro Cardinale. Perché così è la parabola di Luca. Una parabola che chiede
continuamente un cammino, un alzarsi, un andare.
Ci vuole impedire la tentazione del sentirsi a posto, del
sentirsi arrivati.
Con Dio e con il prossimo.
Ci vuole pellegrini.
Verso Dio e verso il prossimo.
GLI SI GETTO’ AL COLLO
novembre 98
Voglio bene al prodigo … E’ la nostra storia, quella
di ogni allontanamento, di ogni esilio, di ogni ritorno. (P. Mazzolari)
Il più giovane disse ...
La parabola del Padre misericordioso narrata da Luca al cap.
15 ci accompagnerà anche questo mese: a ottobre vi ho raccontato del Padre
prodigo di misericordia, oggi guardiamo insieme al figlio più giovane della
parabola. Quello che con perentorietà dice al padre: "Dammi la parte di
beni che mi spetta". Quello che parte, che fugge via, lontano dal
Padre, dall’appartenenza a lui, forse perché lo sente come un nemico, come un
padrone. Quello che se ne va per cercare libertà, autonomia, felicità. Come
diceva qualche decennio fa Simone de Beauvoir: "Ho lasciato Dio perché
mi rubava la terra" …
In questa meditazione ad alta voce mi farò aiutare da H.J.M.
Nouwen, come nel mese scorso, e da p. Marko I. Rupnik, che abbiamo conosciuto
nel nostro quaresimale di marzo.
Sono il figlio prodigo ogni volta che cerco l’amore
incondizionato dove non può essere trovato. Perché continuo a ignorare il
luogo del vero amore e persisto nel cercarlo altrove? Perché continuo ad
andarmene da casa dove sono chiamato figlio di Dio, il prediletto di mio
Padre? … E’ quasi come se volessi dimostrare a me stesso e al mio mondo
che non ho bisogno dell’amore di Dio, che posso costruirmi una vita tutta
mia, che voglio essere del tutto indipendente. Sotto tutto questo c’è la
grande ribellione, il "no" radicale all’amore del Padre. (H.J.M.
Nouwen, L’abbraccio benedicente, ed. Queriniana)
Qui comincia la grande avventura del figlio. Ma quale ironia
ci consegna la parabola! Il figlio se ne è andato perché sentiva il padre come
padrone, voleva essere lui il "padrone" della sua vita, delle sue
sostanze, voleva una nuova identità. Ma tutto questo si conclude con la perdita
di quei beni tanto desiderati. A casa, dal padre, si sentiva schiavo, adesso lo
è veramente.
Allora rientrò in se stesso
Il figlio ha perduto tutto, tutto si è
"sbriciolato" fra le sue mani. E allora:
Adesso comincia a sentire la nostalgia del donatore. Se
prima ha fissato lo sguardo sulle cose dimenticando il donatore, adesso
inizia a provare la nostalgia proprio di qualcuno che gli dia le cose. (M.
Rupnik, Gli si gettò al collo, ed. Lipa)
Allora rientrò in se stesso … Quella della coscienza
è un’avventura difficile, inquietante, ma esaltante. Senza questa vicenda
non si cresce, non si diventa uomini liberi. E spesso l’esperienza di Dio,
della sua paternità, passa "fatalmente" attraverso la sua negazione
…
E’ proprio questo il cammino del figlio: rientra nel suo
cuore, riconosce il proprio fallimento e, nel cuore, si ritrova di fronte al
padre. E’ il primo passo della salvezza.
Entrare realmente in se stessi vuol dire entrare nell’amore,
trovarsi di fronte all’Altro che ti ama.
Entrare in se stessi significa entrare nel cuore, anzi
scoprire il cuore e trovarsi di fronte a un Padre misericordioso che non
tradisce, ma che ti guarda con un amore perenne. (M. Rupnik)
L’abbraccio
Il figlio ritorna così sui suoi passi, ritorna dal Padre.
E il Padre, vedendolo arrivare quando era ancora lontano, gli
corre incontro, gli si getta al collo, lo bacia. Commosso.
Non dà al figlio neppure il tempo di scusarsi, di
pronunciare qualche timida parola … Perché l’amore attende sempre, non
conosce la lontananza e lo sguardo dell’amore sa vedere lontano e in
profondità, anche nella notte, nella notte del cuore. Perché l’amore sa
perdonare.
Dio non ha mai ritirato le sue braccia, non ha mai
rifiutato la sua benedizione, non ha mai smesso di considerare suo figlio
come il prediletto.
Ma il padre non poteva costringere il figlio a rimanere a
casa. Non poteva imporre con la forza il suo amore al prediletto. Doveva
lasciarlo andare in libertà, anche se sapeva il dolore che ciò avrebbe
causato sia al figlio che a se stesso.
E’ stato l’amore a impedirgli di trattenere il figlio
a casa a tutti i costi. E’ stato l’amore a consentirgli di lasciare che
il figlio vivesse la sua vita, anche a rischio di perderlo.
Qui si svela il mistero della mia esistenza. Sono amato a
tal punto che mi lascia libero di andarmene da casa.
La benedizione c’è fin dall’inizio. Il Padre
continua a cercarmi con le braccia tese per accogliermi di nuovo e
sussurrarmi ancora all’orecchio: ‘Tu sei il mio figlio prediletto’. (H.J.M.
Nouwen)
Siamo soliti pensare che sia l’uomo a cercare Dio: questa
meravigliosa parabola rovescia i nostri pensieri.
E’ il Padre che corre incontro, che getta le sue braccia al
collo del figlio, che "dimentica" il passato, che spalanca a un nuovo
futuro il figlio.
Perché l’amore compie il miracolo del radicale
cambiamento.
In questo ‘gli si gettò al collo’ del Padre si
consumano la storia di Dio e la storia dell’uomo. (M. Rupnik)
*****
Mentre leggo la parabola "mi ritrovo anch’io, quasi
senza accorgermene, nelle braccia del Padre".
UN CREDENTE "ATEO"
marzo 99
A volte ho percepito che i non credenti sono più esigenti di
molti credenti, e il loro essere senza Dio manifesta una passione per Dio, una
concezione più alta e più intensa di quella di molti cristiani che non cercano
veramente Dio e pensano di averlo trovato per sempre. Ignazio Silone, a chi gli
chiedeva perché avesse abbandonato la chiesa, rispondeva che "si era
stancato di stare con cristiani che dicevano di attendere Gesù Cristo e la
resurrezione ma poi l’aspettavano con la stessa indifferenza con cui si
aspetta un tram" ... (E. Bianchi, Da forestiero, Piemme)
Parole sferzanti, infastidenti ... le ho scelte per
riannodare i fili della parabola del "figliol prodigo" raccontata da
Luca al cap. 15. Vi ho già parlato del Padre e del figlio minore, adesso è la
volta del figlio maggiore che un po’ tutti descrivono come un rimando al
cristiano "praticante".
E’ con lui, col figlio maggiore che "abita" in
noi, che una volta o l’altra dovremo "fare i conti". Magari in
questa Quaresima. Sapendo che la conversione più difficile da attuare, come ci
comunica la parabola, è la conversione di colui che "sta a casa".
Sentite come viene descritto il figlio maggiore da alcuni
"maestri":
Quella di Luca è "La parabola dei figli
perduti". Non si è perduto soltanto il figlio più giovane, che se n’è
andato da casa per cercare libertà e felicità in un paese lontano, ma
anche quello che è rimasto. Esteriormente faceva tutte le cose che si
suppone faccia un bravo figlio, ma, interiormente, si era allontanato da suo
padre. Faceva il proprio dovere, lavorava sodo ogni giorno e adempiva tutti
i suoi obblighi, ma era diventato sempre più infelice e meno libero.
L’obbedienza e il dovere sono diventati un peso e il
servizio è una schiavitù.
Il figlio maggiore è diventato un forestiero in casa
sua.
Non c’è più autentica comunione. (H.J.M. Nouwen,
L’abbraccio benedicente, Queriniana)
Il figlio maggiore è un’immagine sorprendentemente
contraddittoria: è infatti un "credente" ateo. Sembra un uomo
religioso, ma in effetti non crede. ... Ha vissuto a casa come un servo,
estraneo ai sentimenti del padre. (M. Rupnik, Gli si gettò al collo,
Lipa)
Si convive con Dio come uno dei tanti feticci dell’esistenza,
senza lasciarsi in nulla segnare o trasformare da Lui: è la condizione che
la parabola della misericordia del Padre esprime attraverso la figura del
figlio maggiore, quello restato a casa che, dopo tanti anni di convivenza
col padre, è incapace di comprenderne la logica di amore e di perdono.
Prigioniero della sua solitudine e schiavo dei suoi interessi ("non mi
hai dato mai un capretto!"), il figlio maggiore non è meno lontano dal
padre del figlio andato via di casa: la vicinanza fisica non è vicinanza
del cuore. Si può ritornare a parlare di Dio, ma non incontrarLo e non
farne alcuna esperienza profonda e vivificante. (C.M. Martini, Ritorno
al Padre di tutti, Centro Ambrosiano)
Insomma, una fede, una religione, senza passione, senza
amore, senza gioia, senza fiducia.
Una fede, una religione di chi si sente a posto, di chi si
sente un arrivato, di chi non si sente più di cercare. Nei rapporti con Dio e
con il prossimo.
Una fede, una religione del sì ma non troppo, dei corti
desideri, delle speranze dal fiato corto, della carità misurata ...
Una fede, una religione che «tingono» solo un po’ la
nostra vita quotidiana.
A differenza delle fiabe, la parabola non si chiude con
una pagina a lieto fine. Ci lascia invece faccia a faccia con una delle
scelte spirituali più difficili della vita: fidarsi o non fidarsi dell’amore
di Dio che tutto perdona. Soltanto io posso fare questa scelta. (H.J.M.
Nouwen)
Ciò che ci deve rimanere impresso nel cuore è il gesto
splendido, tenero, commovente del padre della parabola: anche questa volta è
lui ad uscire di casa e a pregare dolcemente il figlio maggiore di entrare alla
festa, di entrare nell’amore, nel Suo amore.
E’ questo invito forte e dolce che il Signore rivolge a noi
in questa Quaresima.
La parabola di Luca ci chiama - quasi ci
"costringe" - a verificare, a riscoprire, a lasciarsi
"sorprendere" dal vero volto di Dio, Padre di tutti e per tutti, un
Dio dalle "viscere materne".
Il figlio maggiore è chiamato a misurarsi con questo volto
nel momento della "lotta" col fratello: è lì che sono uscite allo
scoperto la sua indifferenza verso il Padre, la sua invidia verso il fratello.
Sono queste le due grandi e inscindibili conversioni che
devono compiersi nel cuore del figlio maggiore: quella a Dio e quella ai
fratelli.
Se riuscirà in questo cammino non si sentirà più
"servo" ma figlio amato, atteso, cercato, perdonato. Le sue scelte, i
suoi gesti non saranno più obblighi soffocanti o tristi abitudini ma saranno
scelte e gesti pieni di libertà e di amore.
E non si sentirà più "rancoroso", incapace di
rapporto col fratello:
La verifica sicura dell’adesione al padre rimane la
scoperta dei fratelli. Le religioni cercano di scolpire nel mondo il volto
del loro dio; la parabola ci dice che è credibile il volto dei figli che
riconoscono i fratelli.(M. Rupnik)
Così per il figlio maggiore della parabola, così per il
figlio maggiore nascosto in ognuno di noi.
Buona Quaresima!

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