NON CI INDURRE IN TENTAZIONE
Pierangelo Sequeri
La grande tentazione finale
Daniele e la profezia dell’angoscia
L'angoscia di Gesù
La tentazione quotidiana
Due interpretazioni da escludere
Non tentarci mai
Dio ci tenta per farci cadere
Le tentazioni di Gesù
Il racconto delle tentazioni: prova di iniziazione
Smascherare le false prove
La tentazione cruciale
Dio prova l’uomo perché diventi interlocutore autorevole
Questo tema è uno spazio meritevole di ricerca da parte
dello stesso credente. Ed è il caso che il credente cominci a cercare per sé,
innanzi tutto, cosa che non fa più tanto frequentemente.
Permettete questo piccola premessa alla nostra riflessione.
Questa frase del Padre nostro forse è tradotta giustamente,
o forse non del tutto, ma confesso che non sono rimasto tanto entusiasta quando
i mass-media si sono impadroniti di questa faccenda facendoci assistere a questa
gustosa scenetta. Un certo numero di persone, molto importanti e molto
intelligenti, che - per loro stessa ammissione - non dicono il Padre nostro,
hanno cercato di spiegare, molto inviperiti, a noi che lo diciamo, che andava
bene così: "Che cosa viene in mente a voi di stare a ragionare, a
riflettere, a pensare se potete far parlare meglio la parola del Signore?".
Bello scambio di ruoli! E noi a perdere anche tempo a rispondere a questo
interrogativo, invece di scavare noi per primi, magari portando le ferite dei
nostri limiti, delle nostre cattive comprensioni, delle nostre cattive
traduzioni, che prima di tutto feriscono noi, la Parola del Signore che
ascoltiamo e il Signore che l’ha pronunciata.
Cominciare a cercare: questo ci sta a cuore, questo è il
compito che merita il vostro apprezzamento, che merita il nostro lavoro, prima
di tutto.
"Non ci indurre in tentazione": non ci
esporre alla tentazione, non ci lasciare esposti alla tentazione.
Indipendentemente dalla traduzione, cerchiamo di penetrare nelle fibre di questa
parola che è certamente una parola del Signore. Riguarda la preghiera nella
quale il Signore ha desiderato che i suoi discepoli riassumessero il loro
atteggiamento quotidiano nei confronti di Dio. Ci sono anche atteggiamenti non
quotidiani nei confronti di Dio, per i quali vanno appunto trovate preghiere
apposite o, forse, appositi silenzi. Ci sono situazioni eccezionali, ci sono
congiunture drammatiche dell’esistenza e per esse bisogna trovare una parola e
ascoltare una speciale parola del Signore. E poi c’è l’insieme della vita
quotidiana, la base della nostra relazione con Dio. Di questa parla la preghiera
del Padre nostro, a questa condizione quotidiana parla, ad essa si riferiscono
tutte le parole che il Signore ci ha insegnato a pronunciare. E’ la sintesi
della nostra preghiera quotidiana a Dio, non di tutta la preghiera dunque, non
di tutte le preghiere possibili, ma della preghiera quotidiana.
Domandiamoci che cosa significa questa parola del Signore
sullo sfondo di questa forma della nostra vita, la vita quotidiana; che cosa
significa chiedere al Signore di non indurci in tentazione nella nostra vita
quotidiana, nella nostra vita normale; e che cosa significa chiedere al Signore
quotidianamente, cioè ogni giorno, che egli non ci induca in tentazione nella
vita quotidiana
La grande tentazione finale
Oggi si suggerisce preferibilmente la dizione "e non
lasciarci esposti alla tentazione": chi suggerisce di tradurre così
non lo fa soltanto per attenuare l’imbarazzo di un Dio che ti mette nella
tentazione, ma ha un preciso riferimento biblico.
Daniele e la profezia dell’angoscia
Si riferisce al fatto che c’è un’antica profezia che si
trova al cap. 12 del libro di Daniele nel quale si dice:
Vi sarà un tempo di grande angoscia, come non c’era
mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà
salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. (Daniele
12,1)
Il riferimento non è alla tentazione di fare una cosa
cattiva, all’idea della seduzione di qualche cosa che ti alletta per
incoraggiarti a farlo anche se è sbagliato: è una tentazione molto speciale,
che è preparata dall’angoscia e quindi suggerisce il motivo della speciale
fragilità.
Certo siamo sempre tentati, ma verrà poi un momento in cui
la grande tentazione, la grande prova sarà preceduta da una angoscia
universale, da uno smarrimento.
E che cosa fa lo smarrimento, l’angoscia? Oggi abbiamo
quasi imparato a convivere con un senso sottile e generale di angoscia che
attraversa il nostro mondo conosciuto, la vita quotidiana, che non riguarda
soltanto alcuni casi disperati, ma è come una sensazione di inquietudine che
non se ne va mai del tutto, tant’è vero che il nostro desiderio a volte
sarebbe quello di poter vivere una vita più quotidiana il più defilata
possibile, per non avere nessuna sorpresa. Saremmo pronti a rinunciare anche a
sorprese belle pur di non lasciare un varco a sorprese brutte. Ci andrebbe già
bene se non succedesse niente.
L’angoscia è la forma tipica della debilitazione umana. L’angoscia
toglie le forze, le toglie anche là dove noi vediamo benissimo dove sarebbero
le forze di cui abbiamo bisogno, dove vediamo esattamente che cosa dovremmo
fare, eppure non ce la sentiamo, non ce la facciamo più.
Ecco, questa grande tentazione finale, potremmo dire estrema,
raccontata da Daniele, adombrata nella profezia da Daniele, è speciale e grave
proprio per questo suo collegamento con l’angoscia.
L’angoscia di Gesù
Interpretando non impertinentemente questo collegamento,
anche nella preghiera del Signore troviamo una allusione a questo momento.
Parafrasando potremmo tradurre così: Signore, sappiamo bene che le tentazioni
sono il pane della nostra vita, ma Tu non ci mettere dentro quell’angoscia,
non ci portare fin lì. Se è possibile fermaci prima. Da tutte le tentazioni
possiamo cercare di venire fuori, ma non da quella, quella cioè che fa seguito
alla grande angoscia, quando vediamo ciò che potremmo o dovremmo fare ma non ce
la facciamo più a farlo. Non ci mettere lì, non presumere di noi, non fidarti
troppo. Lasciaci le prove che dobbiamo portare ma non quella.
Il riferimento neo-testamentario all’esperienza del Signore
è molto evidente e ineccepibile. Noi infatti, appena descriviamo questa
tentazione, ci ricordiamo immediatamente di uno dei punti più duri e più
difficili della testimonianza evangelica a riguardo di Gesù.
Padre mio, se è possibile passi da me questo calice!
(Matteo 26,39)
Era in preda all’angoscia. (Luca 22,44)
Gesù è entrato in quella condizione in cui, come ha
insegnato ai suoi discepoli, dice "Signore, se è possibile evitare questo,
passi da me questo calice".
Siamo diventati un po’ esitanti nel pensare che Gesù, il
Figlio, abbia percorso sul serio il cammino degli essere umani, ci viene quasi
da difenderlo pensando che lui faceva così semplicemente per darci il buon
esempio tanto lui sapeva …
Ma la lettera agli Ebrei - un ‘monumento’ di cristologia,
indirizzata agli Ebrei, ma che faremmo molto bene a leggere anche noi - ci
ricorda, prevedendo la nostra difficoltà, che anche il figlio fu tentato
esattamente come noi. Ma a differenza di noi resistette.
La tentazione quotidiana
Un secondo lato della spiegazione della interpretazione di
base di questa preghiera fa riferimento invece a quella accentuazione della
tradizione cristiana (non solo cristiana ma anche della tradizione morale in
generale che vale un po’ anche per i greci e per i latini: quello che sto per
dire, infatti si trova anche in Omero) sull’idea di tentazione: le tentazioni
ordinarie della vita quotidiana, più o meno forti, hanno a che fare con
qualcosa di peccaminoso. Si chiama tentazione proprio la forza, la seduzione, l’impulso,
l’attrazione che esercita su di noi qualcosa di piacevole ma di sbagliato, di
attraente ma di ingiusto, di seducente ma peccaminoso. Ciascuno poi identifica l’oggetto
seducente ma peccaminoso a seconda delle sue sensibilità.
Questa interpretazione ricorre nella tradizione cristiana,
nella tradizione evangelica, anzi, direi che è quasi l’unica idea di
tentazione che abbiamo.
E’ un’idea di tentazione che condividiamo, ma che diventa
facilmente volgare, tant’è vero che di solito questa accezione della
tentazione è oggetto di ammiccamenti: la si rimprovera, con un senso di
complicità, come a dire: tutte le cose buone sono una tentazione, c’è sempre
scritto da qualche parte che non si può ...
Questo ci ha indotto a un senso di legittima difesa,
facendoci dire: "Da qualche parte bisogna pur peccare perché se no non si
vive!". L’eliminazione della tentazione in questo senso sarebbe un
venerdì santo perpetuo, un continuo morire da subito.
Questa è la ragione per la quale abbastanza facilmente noi,
che veniamo da un’epoca in cui questa idea della tentazione è stata così
ossessiva, abbiamo "mangiato" tutto il significato biblico ed
evangelico. Al punto che adesso, quasi per contrappasso, per una sorta di
rivincita, la forma della tentazione è un ottimo espediente pubblicitario. Come
si eleva la qualità e una cosa diventa molto raffinata, molto ‘chic’, tanto
che pochi possono permettersela, si afferma: "lasciatevi tentare".
Il significato cristiano, credente e fondamentale, al di là
di questi ammiccamenti e delle rispettive ossessioni, è che praticamente il
credente, nella vita quotidiana, non dovrebbe fare altro che fuggire quelle
tentazioni. Non è così difficile per noi essere persuasi che chiedere a Dio di
non metterci alla prova della seduzione che viene da ciò che è ingiusto, da
ciò che fa male, da ciò che è sbagliato, da ciò che ferisce l’altro, da
ciò che offende la nostra dignità, è una preghiera il cui significato
cristiano elementare non sarebbe neanche in discussione.
Due interpretazioni da escludere
La maggior parte degli aiuti che ci sono offerti per
interpretare questa preghiera si dispongono intorno a due limiti.
Intorno a questi due limiti vengono esclusi due significati
estremi che questa richiesta al Signore potrebbe avere, due significati che
potrebbero aggiungersi in questa preghiera e che invece non hanno motivo di
essere raccolti.
Non tentarci mai
Il primo significato va a fondo in questa idea del non
indurci in tentazione da parte di Dio, che arriva fino a intendere e a chiedere:
"Dio ti raccomando, non ci mettere mai alla prova, non ci provare
mai".
Il salmo 26 al versetto 2 prega così:
Scrutami, Signore, e mettimi alla prova
in greco il vocabolo è identico. Allora ci viene un
sospetto: ci sarà qui qualche cosa di più importante? Possiamo fare un passo
avanti nell’intendere il senso complessivo dell’esperienza che chiamiamo un
po’ sbrigativamente "tentazione"? Non ci sarà forse in questa
parola di Gesù - traduciamola come vogliamo - qualche cosa da imparare anche
lasciandole il suo senso "non ci indurre mai in tentazione"?
Secondo la Bibbia sarebbe troppo. Nella Bibbia non si chiede
di non essere mai indotti in tentazione da Dio o nella prova.
Dio non ci tenta per farci cadere
Ed ecco l’altro significato estremo da escludere.
Questa volta ci viene in aiuto la lettera di Giacomo, che
comincia dicendo ‘francescanamente’:
Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando
subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce
la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate
perfetti e integri, senza mancare di nulla. (Giacomo 1,2-4)
Ricordo che prova e tentazione nella lingua del Nuovo
Testamento si dicono con la stessa parola. Ma subito dopo Giacomo aggiunge:
Beato l’uomo che sopporta la tentazione, perché una
volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha
promesso a quelli che lo amano. Nessuno, quando è tentato, dica: "Sono
tentato da Dio"; perché Dio non può essere tentato dal male e non
tenta nessuno al male. Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria
concupiscenza ("epitunìa"cioèingordigia) che lo
attrae e lo seduce. (Giacomo 1,12-14)
Qui l’apostolo Giacomo ricorda che, se c’è qualcuno che
pensa di stabilire un legame automatico fra tutte le tentazioni, tutte le prove
e Dio, sbaglia. Giacomo intende dire che le tentazioni che inducono a fare del
male non vengono da Dio. Così intende tutta la tradizione sapienziale. E’
come se Giacomo dicesse: "Scordatevi l’idea di immaginarvi Dio così, per
alleggerire la vostra responsabilità".
Ecco dunque i due estremi dai quali dobbiamo rimanere
distanti. Non è vero né che dobbiamo pregare che Dio non ci induca mai in
tentazione, né che dobbiamo pensare che è Dio che ci induce in tentazione per
farci cascare in maniera tale da aver poi buon gioco e dire: "Adesso devi
pregarmi e scongiurarmi e implorarmi affinché io ti salvi".
Questo ci suggerisce che in questa esperienza - chiamiamola
della prova-tentazione - che ha un suo caso limite, quello dell’angoscia
finale, cioè del momento della vita in cui ti cadono le braccia e dici
"non ce la faccio più", e che ha una sua linea di terra che tutti
riconosciamo quando chiamiamo tentazioni tutti gli impulsi per cose che sappiamo
bene che sono sbagliate, ci deve essere qualche cosa di importante, qualche cosa
che va scavato, qualche cosa che va approfondito, perché è istruttivo,
aggiunge delle istruzioni che forse non ci aspettavamo.
Questo qualche cosa è quello che sta dietro all’invito a
non essere troppo rapidi nel liquidare questa frase del Padre nostro. Per questo
non dovremmo pensare né che le tentazioni vengono da Dio semplicemente, né
dovremmo cercare di uscire da questa difficoltà dicendo che Dio non ci
tenterebbe mai. Queste due linee sono sbagliate: c’è qualcos’altro in mezzo
da comprendere.
Le tentazioni per Gesù
Facciamo un passo indietro e ricordiamoci: chi ci insegna
questa preghiera? Gesù.
La lettera agli Ebrei ci ha già ricordato di
tenere fisso lo sguardo su Gesù, principio e
perfezionatore della nostra fede" (Eb 12,2)
di guardarlo non solo come rivelazione di Dio ma anche come
modello dell’uomo credente che si trova in tutte le difficoltà in cui un uomo
credente si può trovare, compresa la tentazione, la prova.
Quando Gesù dice ai suoi apostoli e dice a noi di pregare
perché Dio non ci induca in tentazione, fa riferimento ad una sua personale
esperienza.
Nell’esperienza di Gesù troviamo tre "luoghi",
che hanno a che fare con questa questione.
Il racconto delle tentazioni: prova di iniziazione
Il primo luogo è il "racconto delle tentazioni".
Le tentazioni raccontate nei Vangeli sinottici hanno per
protagonista il satana che propone delle tentazioni il cui carattere devastante
non è così evidente.
Gesù nel deserto ha fame e Satana gli dice: "Potresti
prendere questi sassi e farli diventare panini". L’insidia sta nella
qualità simbolica di quel gesto: Gesù moltiplica i pani per suggerire che Dio
è disposto a fare anche miracoli pur di sfamare gli altri e per dare il senso
della più assoluta trasparenza all’uso della sua potenza, ma Dio non fa
neanche un ‘miracolino’ piccolo così per sfamare il figlio suo, per sfamare
se stesso. Questa è una differenza pesante. Non muoverà un dito per schiodarsi
dalla croce, mentre un attimo prima, ed è la ragione della crocifissione, aveva
riattaccato l’orecchio della guardia che era stata colpita da uno dei suoi e
si era lasciato prendere dicendo: "Se è Gesù di Nazaret che cercate,
prendetelo e lasciate stare questi che non c’entrano". Non è vero, c’entrano!
Nella strada scelta da Gesù, si fa male solo Gesù. Nessuno dei suoi, nessuno
degli altri: geniale. La redenzione ha questo segno: il risparmio del sangue
dell’uomo, equivalentemente la salvezza dell’uomo dalla morte.
Approssimandosi l’ora delle tenebre, come dice Giovanni,
venendo l’ora in cui il satana doveva prendersi la sua rivincita, come dice
Luca, proprio concludendo il suo racconto delle tentazioni, la bestia vuole
qualche vittima e Gesù genialmente riesce a consegnarne una sola: sé. E così
insegnerà a fare ai suoi discepoli, perché ha in mente un Padre che non si
placa solo se vede tanto sangue, se vede che gli uomini versano tanto sangue. Ha
in mente un Dio Abbà, che di sangue non ne vuole vedere e se proprio gli uomini
sono così stupidi da volerne, sottrae loro il più possibile questo esito,
mettendo in mezzo il figlio, così non si fa male nessuno.
Allora la tentazione-prova alla quale è sottoposto Gesù non
è del primo tipo, né del secondo. Ha un po’ a che fare con la debilitazione
delle forze, con la seduzione dell’oggetto allettante (una caduta libera dall’alto
del tempio può essere un’ottima propaganda …) e tuttavia non è nessuna
delle due.
La tentazione di Gesù ci consegna un primo significato
aggiunto, un primo approfondimento rispetto a quelli che abbiamo trovato.
C’è una figura della tentazione che ha i tratti tipici
della prova di iniziazione. Consente non solo agli altri ma anche a te di capire
quanto vale la tua parola. La prova di iniziazione è quella in cui si può
sapere realmente quanto vale la nostra parola, ad esempio quando diciamo a
qualcuno "Ti voglio bene". Senza una prova di iniziazione non lo
saprai mai. La prova iniziazione è sempre una tentazione, perché la parola è
messa alla prova, non solo davanti agli altri ma anche davanti a se stessi. Puoi
conoscere il tuo valore quando hai resistito a qualche prova tentazione e sei
diventato diverso: adesso puoi reggere molti rischi e molti azzardi che prima
non avresti mai potuto permetterti.
Racconta il delizioso libro di Giuditta che, avendo l’imperatore
Nabucodonosor cercato di fare una certa sua guerra, e di raccogliere alleanze
anche nel territorio di varie popolazioni, compreso Galilea, Samaria, Israele,
molte di queste si fossero rifiutate agli inviti del messo. Nabucodonosor fece
la sua guerra poi convocò i suoi generali e, per punire chi non aveva voluto
allearsi con lui, mandò il famoso Oloferne per una campagna vendicativa. Quando
il pericolo si avvicinava queste popolazioni mandavano messaggi di
"sottomissione" a Nabucodonosor, ma intanto i figli di Israele si
organizzavano per cercare di chiudere due o tre passi strategici dai quali
Oloferne avrebbe dovuto passare, abbozzando una sorta di resistenza. Ma Oloferne
spaventa Israele tanto che il re decide di patteggiare. E’ in questo momento
che viene alla ribalta Giuditta, una vedova ancora piacente, nota per la sua
saggezza, la quale va a corte, davanti al sacerdote e davanti al re e dice: "Non
vi vergognate di tentare Dio?" (cap.8) e ancora: "Dovreste essere
grati a Dio che vi mette alla prova, perché uno che vi mette alla prova ha
fiducia, uno che vi mette alla prova è già convinto che voi valete qualcosa,
uno che vi mette alla prova vi dà l’occasione per essere realmente suoi
interlocutori e non suoi schiavi" …
Perché un uomo che è stato messo alla prova può realmente
ed onestamente dire in tutta coscienza "io".
Così fu per Abramo, così fu per Giuditta. La storia dei
padri della fede è storia delle loro tentazioni come prove vittoriose. Perché
rispettiamo Abramo? Perché Abramo, messo di fronte alla prova, l’ha superata.
Naturalmente, per chiedere a Dio di essere messi alla prova senza tentarlo,
bisogna essere a propria volta dei veri credenti, che non hanno bisogno di
mettere Dio alla prova per sapere quanto contano.
Smascherare le false prove
Un secondo significato che emerge nell’esperienza di Gesù,
oltre a quello della prova iniziazione è l’esperienza dell’essere messo
alla prova, dell’esporsi alla prova, dell’andarle incontro, per smascherarne
il carattere di inganno. Insomma mettere alla prova la prova, mettere alla prova
la tentazione, per smascherare la sua illusione, affrontare il suo allettamento,
la sua seduzione, il suo intrigo e infine la sua inconsistenza.
Gesù si comporta così tutte le volte che i farisei gli
tendono insidie per metterlo alla prova, quando vogliono assicurarsi se lui è
veramente Dio. Gesù una volta sospirando disse: "Ma questa generazione
continua a chiedere prove."
Gesù chiede ai suoi discepoli di benedire sempre ma anche di
saper scuotere la polvere dai propri piedi, di andarsene quando è il caso, di
saper anche stare zitti, non rispondendo a domande non animate dal desiderio di
sapere.
Gesù dice ai suoi apostoli: "Beati voi perché siete
stati con me nelle mie prove". Le prove alle quali si riferisce Gesù
sono quelle del secondo tipo, le insidie illusorie, il lievito bacato dei
farisei, l’apparente qualità della loro protesta religiosa nei confronti di
Gesù. Chiediamo di non indurci nella tentazione di considerarle vere
tentazioni, vere prove, domande alle quali dobbiamo dare risposte, esperienze
che dobbiamo fare per essere veramente uomini e donne all’altezza della
situazione.
Questa è appunto la prova della dignità della parola di
Dio, della parola data, della testimonianza che si porta.
Allora "non indurci in tentazione", anche a questo
riguardo, significa proprio questo: non farci cadere nella trappola della
tentazione, aiutaci ad essere astuti.
La tentazione cruciale
Terza ed ultima forma dell’esperienza della tentazione
vissuta da Gesù è certamente quella dell’ora cruciale di cui abbiamo già
parlato prima. E qui, per così dire, il cerchio della sua esperienza si chiude.
Dio prova l’uomo perché diventi interlocutore autorevole
Un’ultima sorpresa viene dalla lezione della Bibbia e ci
consegna una chiave che avvolge per intero questo tema.
Negli strati più antichi della tradizione della Bibbia, nel
formarsi della religione di Israele, che in più punti Gesù riprende, il
tentatore, colui che mette alla prova, è Dio; ed è questo aspetto che si
considera interessante nella faccenda dell’essere messi alla prova.
La rivelazione che Dio fa a Israele all’inizio e che
impianta un significato inedito è questa: Dio mette alla prova il suo popolo
non per farlo cadere, ma per dargli la gioia di scoprire, come in un soprassalto
di dignità, che effettivamente anche Israele, popolo di dura cervice, è capace
di amare il Signore Dio suo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta
la mente. E non soltanto capace di essere fedele e praticante, non soltanto
capace di essere servo di Dio, di essere sua proprietà, di essere casualmente
nella sequela di Dio ...
Il Signore mette alla prova per consentire all’essere
umano, creato da lui, scelto da lui, redento da lui, di conquistare la dignità
di interlocutore.
C’è dunque un senso originario di questa prova dentro alla
quale, poi, si possono collocare molte situazioni della vita.
C’è una prova tentazione che è il contrario della fede
quando nasce dall’incredulità, ma che invece ha proprio la forma della fede -
come per Giobbe - quando esprime la convinzione profonda, a dispetto di tutte le
smentite della vita e del catechismo, che Dio non può essere uno che mette alla
prova l’uomo in quel modo, che ha bisogno di vedere il sangue dell’uomo
dilagare perché altrimenti non si calma, quando il mettere alla prova Dio e il
suo silenzio, viene da una fede così rocciosa da poter giurare anche contro di
lui, contro la sua immagine, la sua controfigura, contro quello che dicono i
preti, i catechismi, i benpensanti, da poter affermare: non puoi essere tu, non
puoi essere quello che io amo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta
l’anima.
L’essere umano però non è Dio e sa che, sia quando si
tratta di essere messo nella prova tentazione che riscatta la sua dignità, sia
quando si tratta di essere incoraggiato a mettere alla prova ogni figura o
controfigura di Dio, dagli idoli muti, alle divinità che divorano i figli, l’uomo
sa che in entrambi i casi non è all’altezza di questo compito perché ha una
capacità limitata nel portare questa doppia responsabilità. Il suo tentativo
di trovare il vero volto di Dio, contrastando l’apparenza seducente delle sue
controfigure, può anche farlo scivolare nell’incredulità e la prova, nella
quale Dio lo induce per dargli la possibilità di diventare un interlocutore
reale degno di questo nome, uno che vuole con i propri sentimenti stare legato a
Dio, potrebbe essere più grande delle sue possibilità.
Così quotidianamente, ogni giorno, salvi tutti gli altri
significati che eccezionalmente nella vita si possono presentare, egli chiede a
Dio almeno questo, gli raccomanda almeno questo: "Stai attento a cosa fai,
mi fido di te. Ricordati che io sono un uomo e non Dio. Non chiedo di non essere
mai messo alla prova, sono sicuro che tu non mi induci al male, ma ricordati,
Signore, non mi mettere dentro nella tentazione lasciandomici, non mi mettere
nella prova lasciandomici, perché io ho una resistenza limitata. Come per il
pane quotidiano, dammi soltanto la prova che ogni giorno posso sopportare, né
per la prova escatologica dell’angoscia, né per la prova infinita della
quale, sicuramente, non sono mai all’altezza. Pensa a quello che fai, Padre
nostro, e ricordati di non lasciarmi nella tentazione, di non lasciarmi nella
prova indefinitamente. Per questo te lo chiedo ogni giorno e, in ogni caso,
liberaci dal male."
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