IL CORVO DI ELIA
Esulto di gioia all’ombra delle tue ali (Sal 63)

PIERANTONIO TREMOLADA

L’introduzione di don Mirko Bellora

E’ tra noi don Pierantonio Tremolada, un biblista noto per competenza e chiarezza e uno dei sacerdoti più significativi della Chiesa ambrosiana.
A lui affidiamo il tema di questa sera “Il corvo di Elia” cioè l’importanza di pregare, di saper stare un po’ in disparte …come faceva Gesù, nonostante fosse sempre assediato da tanta gente.
Su questo tema mi ha molto colpito una confessione di Karl Lehmann, uno dei più noti vescovi tedeschi:

Se non ho ogni giorno almeno un quarto d’ora durante il quale riscopro qualcosa nella mia fede, imparo qualcosa di nuovo, sono di nuovo interiormente emozionato come i discepoli sulla via di Emmaus, cui “ardeva il cuore” in petto, allora corro il pericolo di perdere la gioia della fede, di diventare interiormente insipido, di arrabbiarmi troppo in fretta per stupidaggini e di non avere più una grande prospettiva e una visuale serena del mondo.

A don Pierantonio chiediamo di aiutarci a diventare artisti e della macina e della cetra.

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“Quando, mentre preghi, ti trovi al di sopra di ogni altra gioia” - si legge nella Filocalia “allora hai veramente trovato la preghiera”. (Nilo di Ancira, Discorsi sulla preghiera, Filocalia, I,153).
La preghiera sorge nel cuore come esperienza di confidenza e di gioia quando l'uomo si sente accolto da lui, da lui custodito, difeso, sostenuto, nutrito, consolato. Pur essendo nel deserto Elia, percepisce la presenza di Dio, fedele e provvidente, che procura il cibo necessario, (1Re, 19,1-8). In questo modo il Signore Dio si fa presente, come stendendo le sue ali sul suo profeta amareggiato e spaventato, per impedire che lo colpiscano a morte lo scoraggiamento e la delusione.
La gioia della fede e della preghiera devono sempre misurarsi con la situazione di deserto che l'uomo è chiamato a vivere, con il percorso tortuoso della vita. Così, la preghiera a volte assume la forma della domanda, il cuore sente il bisogno di elevare a Dio le richieste che lo abitano. Di questa preghiera di domanda vorremmo qui parlare, cioè della preghiera nella quale la gioia della fede si trasforma in istintiva confidenza che porta a chiedere a Dio ciò che non possiamo non domandare.
C'è una forma di preghiera che va sotto il nome di intercessione ...

Esiste una forma della preghiera che va sotto il nome di intercessione. E’ la preghiera di chi domanda a Dio qualcosa non per sé ma per gli altri. Potrebbe trattarsi di persone che ci sono care o che si sono raccomandate a noi o che sappiamo in situazioni di bisogno. Potrebbero anche essere persone che non conosciamo direttamente, di cui abbiamo sentito parlare, di cui ci è giunta notizia. La preghiera di intercessione oltrepassa ogni confine di tempo e di spazio e raggiunge chi è lontano da noi, chi vive in altri paesi, chi un giorno abbiamo incontrato, chi sta per vivere avvenimenti importanti.

La preghiera di domanda

Proprio la preghiera di intercessione ci aiuta meglio a capire qual è il valore e il senso della preghiera di domanda. Si sente dire a volte che la preghiera di domanda è una preghiera di minor valore, di secondo rango, una preghiera anche un po’ discutibile, poiché alla fine interessata. Questo potrebbe essere vero, ma non è detto che lo sia il linea di principio. Il punto sta nel capire che cosa è giusto domandare a Dio.
Chiedete e vi sarà dato” - dice Gesù - “cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Lc 11,9). Quando racconterà la parabola del giudice senza scrupoli e della povera vedova, Gesù arriverà a raccomandare l'insistenza, lasciando intendere che essa è necessaria. Questo sta a significare che, secondo il Vangelo, non è disdicevole domandare a Dio, rivolgersi a lui con fiducia per esprimere le nostre richieste. Del resto succede così anche nell’esperienza umana: sarebbe assurdo che un figlio non chiedesse mai nulla ai propri genitori.

C’è però un chiedere che non è secondo Dio. Ce lo ricorda san Giacomo, con parola assai severe: “Da che cosa derivano” - scrive nella sua lettera “le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri” (Gc 1,1-3).
Chi domanda per appagare le proprie brame, per soddisfare i propri appetiti egoistici, chi cioè si lascia condurre nella sua preghiera di domanda da una logica di tornaconto, di interesse personale e pretende che Dio confermi tutto questo, si sbaglia. La preghiera è infatti il luogo in cui si impara a uscire da se stessi per condividere ciò che è di Dio, i suoi desideri e la sua volontà. Nella preghiera il nostro cuore viene a sovrapporsi a quello di Dio, il nostro sguardo si fonde con il suo, di modo che i suoi sentimenti diventano i nostri. Quando questa sovrapposizione avviene, quando si determina una tale profonda comunione, allora niente di quello che chiediamo rimane inesaudito. “In verità, in verità vi dico” - dice Gesù ai suoi discepoli “se chiederete qualcosa al Padre mio nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena ” (Gv 17,23-24).
Ora, si può mai immaginare che “nel nome di Gesù” si possa chiedere a Dio di diventare milionari, di fare carriera, o addirittura di mandare qualche sventura a persone che consideriamo nostri nemici? Tutto questo è assurdo. Si intuisce che nel nome di Gesù si può solo chiedere il bene, il vero bene per noi e per gli altri.

Ma in che cosa consiste questo vero bene? Che cosa dobbiamo dunque chiedere a Dio per essere certi che verremo esauditi? Che forma deve assumere la preghiera di domanda per essere autentica? Nella lettera i Romani san Paolo scrive: “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza perché noi nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credentii disegni di Dio” (Rm 8,26-27). Secondo l'apostolo noi non sappiamo bene che cosa veramente dobbiamo chiedere a Dio. Sembra di capire che, a suo giudizio, occorra lasciarsi come guidare nella nostra domanda dall'azione dello Spirito in noi, come abbandonandoci alla sua ispirazione segreta, un'ispirazione che pone il nostro cuore in sintonia con il cuore stesso del Padre e del Figlio.

Un altro testo, questa volta del Vangelo di Matteo, risulta molto illuminante a questo riguardo. Introducendo la preghiera del Padre nostro, Gesù fa una raccomandazione ai suoi discepoli che suona così: “Pregando, non sprecate parole, come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate” (Mt 7-8). Questa esortazione del Signore è a dir poco sorprendente, ma è anche assolutamente ineccepibile. Essa fa chiaramente capire che la vera preghiera parte dal presupposto che Dio conosca già bene ciò di cui abbiamo bisogno. Ed in realtà non può che essere così. Immaginare che la preghiera di domanda abbia la funzione di richiamare l'attenzione di Dio sulle nostre necessità quasi che egli si fosse per un momento distratto, o temporaneamente allontanato, o che non si accorga di quanto ci sta accadendo sarebbe a dir poco offensivo nei suoi confronti. Il Padre che è nei cieli conosce bene la vita dei suoi figli. Ma se è così, se Dio, nella sua bontà, già conosce ciò di cui abbiamo bisogno, perché pregarlo, perché chiedergli quanto consideriamo importante per noi? Più avanti, sempre nel Discorso della Montagna, Gesù preciserà: “Non affannatevi per la vostra vita di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete ... Non affannatevi dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro che è nei cieli sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta” (Mt 6,25.31-33). Appare più chiaro da queste parole che la preghiera non dovrà lasciarsi prendere dall'affanno, né condizionare dalla preoccupazione esasperata delle cose, del cibo e del vestito. Questi sono i mezzi per vivere, ma non la vita. La vera preghiera di domanda non impone a Dio i nostri desideri, condizionati dai nostri bisogni, ma ci introduce nel desiderio stesso di Dio, ci porta a condividere quel che egli ritiene essenziale, indispensabile, assolutamente primario per la nostra vita, cioè l'esperienza della sua amorevole sovranità e della sua redenzione, in una parola, l'esperienza del Regno dei cieli. “Cercate prima di tutto il regno di Dio” significa: “Fate in modo che Dio regni come tale in voi e intorno a voi, con tutta la sua potenza di salvezza”; ma significa anche: “Chiedete a lui anzitutto questo!”. La vera preghiera porta a chiedere a Dio ciò che Dio da sempre desidera realizzare, è conformazione del nostro desiderio al suo, della nostra domanda alla sua volontà, nella convinzione che egli solo conosce il vero bene dell'uomo ed è in sempre grado di realizzarlo.

Gesù, il grande intercessore

I Vangeli attestano che anche Gesù pregò domandando a Dio quanto il suo cuore desiderava. Egli stesso presentò al Padre delle richieste in diverse circostanze. Sempre si trattò di richieste a favore dei suoi discepoli e dell'intera umanità, che davano alla sua preghiera la forma della intercessione. Che cosa dunque ha chiesto al Padre per le persone che amava? Quale forma ha assunto nel suo caso la preghiera di domanda?
Ci può essere di grande aiuto nella ricerca di una risposta a questo interrogativo il testo che nel Vangelo di Giovanni conclude la sezione dei “discorsi di addio” (Gv 13-16). Si tratta di una lunga preghiera di Gesù, che va sotto il nome di preghiera sacerdotale o preghiera di intercessione. La troviamo al capitolo diciassettesimo del Vangelo di Giovanni.
Sappiamo che in tutta la tradizione dell'Antico Testamento il sacerdote è colui che compie l’offerta, che presenta il sacrificio, facendosi mediatore tra Dio e il popolo. Al sacerdote veniva consegnato quanto doveva essere offerto a Dio: il capretto, l'agnello, il vitello, ma anche le primizie del raccolto. Tutto questo in segno di comunione e di riconoscenza. Il sacerdote si faceva mediatore tra Dio e il popolo: era lui che accoglieva il dono è lo deponeva sull'altare, era lui che elevava la preghiera, era lui che invocava la benedizione.
Potremmo dire che, secondo il quarto vangelo, Gesù rivolge al Padre questa preghiera come sacerdote della nuova alleanza. Egli ha ormai compiuto la grande offerta e può dunque intercedere per i suoi, facendosi mediatore per loro. L'offerta compiuta è quella della propria vita, in sacrificio gradito e come atto d'amore. Egli ha infatti poco prima deposto le vesti, si è cinto l'asciugamano ed ha lavato i piedi dei suoi, anticipando nel segno l'avvenimento della sua morte sulla croce (Gv 13,1-5). Sul calvario, insieme con le vesti, deporrà la vita, così come aveva in precedenza annunciato ai discepoli: “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso” (Gv 10,18). Nella prospettiva della libertà personale la passione ormai decisa è in un certo senso già attuata. Per questo Gesù può ora pregare come intercessore e come grande sacerdote. Essendosi posto davanti al Padre come colui che ha donato la vita fino a morire, che ha amato gli uomini fino a perdere per loro la sua vita, avendo fatto della sua vita un'offerta d'amore, egli può domandare per gli uomini a lui divenuti cari tutto ciò che il suo grande cuore desidera.

Ma prima di entrare nella preghiera di intercessione di Gesù e di scoprire che cosa egli domanda per i suoi, dobbiamo ricordare che la morte in croce di Gesù fu il culmine della sua vita. É importante intravedere in questa preghiera di Gesù, come in trasparenza, il cuore del Cristo, quel cuore che aveva cominciato a svelarsi negli episodi raccontati dal vangelo di Giovanni. Il Signore che qui prega è il Cristo delle nozze di Cana (Gv 2), del dialogo con la samaritana (Gv 4), della moltiplicazione dei pani (Gv 6); è il Cristo che guarisce il cieco nato e contesta la convinzione dei discepoli che lui o i suoi genitori abbiano peccato (Gv 9), il Cristo amico di Lazzaro e delle sue due sorelle, che piange davanti alla tomba dell'amico (Gv 11), il Cristo che lava i piedi a discepoli e dà il boccone di pane a Giuda durante l’ultima cena (Gv 12). Il Cristo della preghiera sacerdotale è il Cristo che si è affezionato agli uomini, che ha imparato, lui il Figlio amato, il Verbo che da sempre è presso Dio, ad essere uomo, che ormai si sente profondamente e sinceramente uomo con gli uomini. La vita che egli ha condiviso con noi, la vita che è culminata nella morte in croce, lo ha reso “sommo sacerdote misericordioso e degno di fede”, come ci spiega la lettera agli Ebrei (Eb 2,17). Egli è diventato intercessore, cioè ha fatto un passo ponendosi nel posto di mezzo, tra noi e Dio, e collocandosi davanti a Dio dalla parte degli uomini. Per questo egli può elevare a Dio la sua preghiera.
Che cosa chiede dunque Gesù per i suoi discepoli e per tutti quelli che crederanno in lui? Leggiamo il testo di Giovanni 17 e cerchiamo di raccogliere con semplicità, senza pretesa di completezza alcuni spunti che ci aiutino a rispondere alla nostra domanda.

Padre, glorifica il tuo Figlio

La preghiera è introdotta dall'evangelista e prende avvio in questo modo: “Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,1-3).
Anzitutto la preghiera è rivolta al “Padre”. Il mistero di Dio è comunione d’amore tra Gesù e il Padre. C’è un “noi” alla base di questa preghiera. Sarà bene ricordare che nessuno hai mai detto “padre” a Dio come lo dice Gesù. Questo sentire di Cristo, questa sua percezione della paternità di Dio non ha paragoni. Condividere questo sentimento è il grande segreto della preghiera cristiana.
Glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te”: la prima richiesta di Gesù è quella della sua glorificazione, a cui corrisponderà la glorificazione del Padre. Si tratta qui della manifestazione della gloria, dello splendore di Dio, della sua potenza trasformante, della sua indicibile bellezza. In quello che sta per accadere brillerà la luce di Dio, si alzerà il velo che copriva il suo vero volto. Finalmente sapremo chi egli è e come si volge verso di noi. Ci avviamo al culmine della testimonianza del verbo fatto uomo: “Noi vedemmo la sua gloria” - scrive Giovanni nel suo prologo (Gv 1,14). E’ dunque questa la luce della resurrezione? Sì, certo, che però non è separabile dalla luce della crocifissione. Per Giovanni, infatti, il morire stesso di Gesù su quel patibolo è splendore di Dio. La potenza della gloria trasformante che si manifesta in Gesù è attiva già nella sua morte di croce: “Quando sarò innalzato da terra io attirerò tutti a me” (Gv 12,32). E questo perché quella morte sulla croce è l’atto estremo dell’amore del Figlio di Dio per l’umanità che gli è divenuta cara: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo” - osserva Giovanni prima di raccontare la lavanda dei piedi - “li amò sino alla fine” (Gv 13,1). Tutto questo va detto, per capire il senso della preghiera di Gesù.

Conoscano te o Padre e abbiano la vita eterna

Resta il fatto che questa preghiera di domanda risulta a prima vista una preghiera che riguarda Gesù stesso. Egli chiede di essere glorificato e dunque sembra fissare l’attenzione sulla sua persona. In realtà non è così. La sua glorificazione, infatti, è totalmente in vista di un dono che i discepoli riceveranno. E questo dono è la vita eterna. Ecco dunque ciò che Gesù chiede al Padre per quelli che ama. Ma ecco, allora, anche ciò che noi siamo invitati a chiedere per le persone che amiamo, per il mondo, per noi stessi. Ecco il contenuto essenziale della nostra preghiera di domanda.
Ma che cos’è la vita eterna secondo Giovanni? La risposta nel nostro testo è esplicita: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,2). La conoscenza di Dio come Dio, cioè nella sua verità più profonda e nella forma di una comunione intima e santificante: ecco che cos'è per Giovanni la vita eterna.
É quanto si esprime più avanti nella preghiera quando si parla della conoscenza del nome di Dio: “Io ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato da mondo” (Gv 17,6). Il nome dice la vera identità di una persona, la sua realtà più segreta, raggiungibile solo attraverso una partecipazione al suo essere.
E' una conoscenza non per sentito dire, come si legge nel libro di Giobbe: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono” (Gb 42,5).
É una conoscenza che nasce dal profondo del cuore, che viene da una sintonia misteriosa ma reale e che porta a compimento la grande promessa dei profeti: “Questa sarà l'alleanza (nuova) che concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Conosci il Signore’; poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande” (Ger 31,33-34).
É una conoscenza che consiste nella partecipazione al mistero d’amore originario, su cui tutto si fonda (Gv 1,1) e che Giovanni descrive utilizzando immagini molto suggestive quali la casa (“Nella casa del Padre mio ci sono molti posti, io vado a prepararvi un posto”: Gv 14,2), il santuario (“Distruggete questo tempio e lo farò risorgere”: Gv 2,19), il pane (“Io sono il pane della vita ... Chi mangia di me vivrà per me”: Gv 6,35.48.57), le nozze (Gv 2), la vite (“Io sono la vite e voi i tralci”: Gv 15,1).

Custodiscili dal maligno

Vi è un altro aspetto di quella vita eterna che il Figlio amato domanda al Padre per i suoi discepoli ed è la difesa dal male. “Io non sono più nel mondo” - dice Gesù - “essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola come noi” (Gv 17,11). E più avanti: “Non ti chiedo che tu li tolga dal mondo ma che li custodisca dal maligno” (Gv 17,15). Essere preservati dal tentatore, dalla misteriosa paternità di satana (Gv 8,43-44), cioè dalla potente sollecitazione all’omicidio, presente nella varie forme dell’odio, delle divisioni, delle vendette, delle invidie, dalla sollecitazione alla menzogna, che genera l’inganno, la falsa testimonianza, il sospetto sistematico, l'agire doppio. “Non amate il mondo, né le cose del mondo” - raccomanda Giovanni nella sua prima lettera - “Se uno ama il mondo, l'amore di Dio non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene da Dio, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!” (1Gv 2,15-17).

Che siano una cosa sola come noi

Infine, la preghiera sacerdotale che il Figlio rivolge al Padre chiede per i discepoli il grande dono della comunione, della perfezione nell'unità fondata sull'amore. “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me, perché siano tutti una cosa sola. Come tu, Padre sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato ... Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17,20-21.23) ”. Questa richiesta al Padre fornisce il fondamento, il vero supporto all'unico comandamento che Gesù lascia ai suoi: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35).
Il segno visibile della comunione in Dio è l'unità dei credenti, la loro reciproca accoglienza, l'affetto, la stima, la collaborazione sincera, il perdono senza limite. “Se Dio ci ha amati” - scrive Giovanni nella sua prima lettera - “anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di Dio è perfetto in noi” (1Gv 4,11-12). É questa la vita nello Spirito. Da essa traspare il mistero trinitario, che è unità dell'amore nella distinzione delle persone. L'amore dei credenti, la loro fraternità è il riflesso nella storia del mistero che sta all'origine di tutto e che si è manifestato nella Pasqua del Signore. Nella carità che unisce i cristiani, nella loro capacità di vivere insieme come fratelli, affrontando le inevitabili prove che derivano dalle diversità delle persone e dalle loro fragilità, si riconosce la verità delle parole del crocifisso: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me!” (Gv 12,32).

Padre nostro che sei nei cieli

Se ora torniamo a riconsiderare quanto il Signore chiede al Padre in questa sua preghiera di intercessione, se fissiamo l'attenzione su ciascuna delle richieste che abbiamo cercato di mettere a fuoco in questa nostra riflessione sul testo della preghiera sacerdotale di Gv 17, ci rendiamo conto che esse non appaino così diverse da quelle che incontriamo nella preghiera che Gesù stesso ha insegnato ai suoi, cioè il Padre nostro.
Non è per altro secondario notare che la preghiera del Signore è una preghiera di domanda. Essa è infatti costituita da una serie di richieste che vengono rivolte al Padre. A conferma del fatto che la preghiera di domanda non è né esclusa, né da biasimare. Ciò che Gesù raccomanda di chiedere ai credenti in lui è in fondo ciò che lui stesso desidera. Con la preghiera del Padre nostro noi entriamo nel cuore di Cristo, ne condividiamo i desideri più intimi, quei desideri che emergono anche dalla preghiera di Gv 17.

Ed ecco allora gli evidenti contatti tra queste due preghiere che troviamo nel Nuovo Testamento. La richiesta “sia santificato il tuo nome”, nella quale si esprime il desiderio che il Padre riveli nel mondo la sua realtà santa, la sua potenza sovrana, ma anche la sua bellezza, la sua bontà, la sua giustizia, la sua perfezione nel bene, questa richiesta appare molto vicina a quella che troviamo in Gv 17, “custodisci nel tuo nome, o Padre quelli che tu mi hai dato” (Gv 17,11). La conoscenza di Dio, che coincide con l'esperienza della vita eterna è conoscenza del nome santo di Dio, della sua originaria paternità. É partecipazione al mistero divino che si rivela, è trasfigurazione dell'uomo nello splendore della gloria celeste, è condivisione della santità che non conosce imperfezione. Da questa conoscenza del nome di Dio l'uomo riceve gioia e beatitudine

La domanda del perdono: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, la richiesta di saper continuare ad amare chi ci fa del male e diviene nostro debitore ci richiama l'invocazione che in Gv 17 Gesù rivolge al Padre per l'unità dei suoi: “Che siano una cosa sola!”. É l'unità del vivere fraterno, dall'accoglienza reciproca, dalla comunione dei cuori, dell'amore continuamente vittorioso. Il perdono è la forma più alta dell'amore e la condizione indispensabile della fraternità. Perdonare significa infatti continuare ad amare chi, a nostro giudizio e a giudizio del mondo, non se lo meriterebbe più, perché ci ha offeso. In questo senso, il perdono è il segno più grande della potenza dell'amore, il miracolo della grazia. Su questo si regge il vivere insieme dei discepoli del Signore.

Infine, l'ultima richiesta del Padre nostro: “Non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male” si pone in diretto rapporto con le parole con le quali il Gesù giovanneo domanda al Padre nella sua preghiera di intercessione di custodire i discepoli dal maligno. La serietà dell'esperienza del peccato, la fondamentale oscurità del processo della tentazione, la potenza umanamente incontrastabile del male che sorge dal cuore, tutto questo rende una simile invocazione necessaria, anche se da considerare sempre e solo nella luce della resurrezione del Signore. Gesù conosce bene il peso e la forza del male, ma nulla può contrastare lo splendore di salvezza che è scaturito dalla sua croce e dalla sua resurrezione. Tra le esperienze più belle che i redenti possono fare vi è senz'altro quella che Giovanni nella sua prima lettera descrive così: “Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché un germe divino dimora in lui e non può peccare perché è nato da Dio” (1Gv 3,9).

Così, alla luce all'esperienza stessa di Gesù, la preghiera di domanda dimostra tutta la sua legittimità, ma insieme rivela il suo segreto. É la preghiera nella quale noi condividiamo i desideri di Cristo, quasi penetrando nelle profondità della sua divino-umanità. Il suo sguardo sul mondo diventa il nostro, la sua volontà di salvezza ci attrae e plasma il nostro sentire. Possiamo così chiedere ciò che anch'egli ha chiesto.
Ed ecco allora che cosa domandiamo al Padre insieme con lui: che il mondo conosca il vero nome di Dio, scopra il suo volto di misericordia, si faccia attrarre dal suo splendore, dalla sua bellezza, dalla sua santità; che gli uomini vivano insieme nell'amore che li ha salvati, sappiano perdonarsi e accogliersi nelle loro diversità e nelle loro fragilità, sapendosi tutti accolti dal Dio che è amore per sua stessa natura; che la potenza della redenzione raggiunga i cuori di tutti e il maligno venga contrastato e vinto, che i cuori non soccombano nella tentazione, che il fascino del mondo non seduca le coscienze.

Sappiamo che questi sono i desideri di Cristo, formulati nella preghiera che egli stesso ha rivolto al Padre. Siano anche i desideri nostri, sempre di più, per la gloria di Dio.

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