IL CORVO DI ELIA
Esulto di gioia all’ombra delle tue ali
(Sal 63)
PIERANTONIO TREMOLADA
L’introduzione di don Mirko Bellora
E’ tra noi don Pierantonio Tremolada, un
biblista noto per competenza e chiarezza e uno dei sacerdoti
più significativi della Chiesa ambrosiana.
A lui affidiamo il tema di questa sera “Il
corvo di Elia” cioè l’importanza di
pregare, di saper stare un po’ in disparte …come
faceva Gesù, nonostante fosse sempre assediato da tanta
gente.
Su questo tema mi ha molto colpito una confessione di Karl
Lehmann, uno dei più noti vescovi tedeschi:
Se non ho ogni giorno almeno un quarto
d’ora durante il quale riscopro qualcosa nella mia fede,
imparo qualcosa di nuovo, sono di nuovo interiormente emozionato
come i discepoli sulla via di Emmaus, cui “ardeva il
cuore” in petto, allora corro il pericolo di perdere la
gioia della fede, di diventare interiormente insipido, di
arrabbiarmi troppo in fretta per stupidaggini e di non avere
più una grande prospettiva e una visuale serena del
mondo.
A don Pierantonio chiediamo di aiutarci a diventare artisti e della macina e della cetra.
*****
“Quando, mentre preghi, ti
trovi al di sopra di ogni altra gioia” - si legge
nella Filocalia “allora hai veramente
trovato la preghiera”. (Nilo di Ancira, Discorsi
sulla preghiera, Filocalia, I,153).
La preghiera sorge nel cuore come esperienza di confidenza e di
gioia quando l'uomo si sente accolto da lui, da lui custodito,
difeso, sostenuto, nutrito, consolato. Pur essendo nel deserto
Elia, percepisce la presenza di Dio, fedele e provvidente, che
procura il cibo necessario, (1Re, 19,1-8). In questo modo il
Signore Dio si fa presente, come stendendo le sue ali sul suo
profeta amareggiato e spaventato, per impedire che lo colpiscano
a morte lo scoraggiamento e la delusione.
La gioia della fede e della preghiera devono sempre misurarsi con
la situazione di deserto che l'uomo è chiamato a vivere,
con il percorso tortuoso della vita. Così, la preghiera a
volte assume la forma della domanda, il cuore sente il bisogno di
elevare a Dio le richieste che lo abitano. Di questa preghiera di
domanda vorremmo qui parlare, cioè della preghiera nella
quale la gioia della fede si trasforma in istintiva confidenza
che porta a chiedere a Dio ciò che non possiamo non
domandare.
C'è una forma di preghiera che va sotto il nome di
intercessione ...
Esiste una forma della preghiera che va sotto il nome di
intercessione. E’ la preghiera di chi domanda a Dio
qualcosa non per sé ma per gli altri. Potrebbe trattarsi
di persone che ci sono care o che si sono raccomandate a noi o
che sappiamo in situazioni di bisogno. Potrebbero anche essere
persone che non conosciamo direttamente, di cui abbiamo sentito
parlare, di cui ci è giunta notizia. La preghiera di
intercessione oltrepassa ogni confine di tempo e di spazio e
raggiunge chi è lontano da noi, chi vive in altri paesi,
chi un giorno abbiamo incontrato, chi sta per vivere avvenimenti
importanti.
La preghiera di domanda
Proprio la preghiera di intercessione ci aiuta meglio a capire
qual è il valore e il senso della preghiera di domanda. Si
sente dire a volte che la preghiera di domanda è una
preghiera di minor valore, di secondo rango, una preghiera anche
un po’ discutibile, poiché alla fine interessata.
Questo potrebbe essere vero, ma non è detto che lo sia il
linea di principio. Il punto sta nel capire che cosa è
giusto domandare a Dio.
“Chiedete e vi sarà
dato” - dice Gesù - “cercate e troverete, bussate e vi sarà
aperto” (Lc 11,9). Quando racconterà la
parabola del giudice senza scrupoli e della povera vedova,
Gesù arriverà a raccomandare l'insistenza,
lasciando intendere che essa è necessaria. Questo sta a
significare che, secondo il Vangelo, non è disdicevole
domandare a Dio, rivolgersi a lui con fiducia per esprimere le
nostre richieste. Del resto succede così anche
nell’esperienza umana: sarebbe assurdo che un figlio non
chiedesse mai nulla ai propri genitori.
C’è però un chiedere che non è secondo
Dio. Ce lo ricorda san Giacomo, con parola assai severe:
“Da che cosa derivano” -
scrive nella sua lettera “le guerre e le
liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre
passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non
riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad
ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non
chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male,
per spendere per i vostri piaceri” (Gc 1,1-3).
Chi domanda per appagare le proprie brame, per soddisfare i
propri appetiti egoistici, chi cioè si lascia condurre
nella sua preghiera di domanda da una logica di tornaconto, di
interesse personale e pretende che Dio confermi tutto questo, si
sbaglia. La preghiera è infatti il luogo in cui si impara
a uscire da se stessi per condividere ciò che è di
Dio, i suoi desideri e la sua volontà. Nella preghiera il
nostro cuore viene a sovrapporsi a quello di Dio, il nostro
sguardo si fonde con il suo, di modo che i suoi sentimenti
diventano i nostri. Quando questa sovrapposizione avviene, quando
si determina una tale profonda comunione, allora niente di quello
che chiediamo rimane inesaudito. “In
verità, in verità vi dico” - dice
Gesù ai suoi discepoli “se
chiederete qualcosa al Padre mio nel mio nome, egli ve la
darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome.
Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia
piena ” (Gv 17,23-24).
Ora, si può mai immaginare che “nel nome di
Gesù” si possa chiedere a Dio di diventare
milionari, di fare carriera, o addirittura di mandare qualche
sventura a persone che consideriamo nostri nemici? Tutto questo
è assurdo. Si intuisce che nel nome di Gesù si
può solo chiedere il bene, il vero bene per noi e per gli
altri.
Ma in che cosa consiste questo vero bene? Che cosa dobbiamo
dunque chiedere a Dio per essere certi che verremo esauditi? Che
forma deve assumere la preghiera di domanda per essere autentica?
Nella lettera i Romani san Paolo scrive: “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza
perché noi nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente
domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi,
con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali
sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i
credentii disegni di Dio”
(Rm 8,26-27). Secondo l'apostolo noi non sappiamo bene che cosa
veramente dobbiamo chiedere a Dio. Sembra di capire che, a suo
giudizio, occorra lasciarsi come guidare nella nostra domanda
dall'azione dello Spirito in noi, come abbandonandoci alla sua
ispirazione segreta, un'ispirazione che pone il nostro cuore in
sintonia con il cuore stesso del Padre e del Figlio.
Un altro testo, questa volta del Vangelo di Matteo, risulta molto
illuminante a questo riguardo. Introducendo la preghiera del
Padre nostro, Gesù fa una
raccomandazione ai suoi discepoli che suona così:
“Pregando, non sprecate parole, come i
pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole.
Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di
quali cose avete bisogno ancor prima che gliele
chiediate” (Mt 7-8). Questa esortazione del Signore
è a dir poco sorprendente, ma è anche assolutamente
ineccepibile. Essa fa chiaramente capire che la vera preghiera
parte dal presupposto che Dio conosca già bene ciò
di cui abbiamo bisogno. Ed in realtà non può che
essere così. Immaginare che la preghiera di domanda abbia
la funzione di richiamare l'attenzione di Dio sulle nostre
necessità quasi che egli si fosse per un momento
distratto, o temporaneamente allontanato, o che non si accorga di
quanto ci sta accadendo sarebbe a dir poco offensivo nei suoi
confronti. Il Padre che è nei cieli conosce bene la vita
dei suoi figli. Ma se è così, se Dio, nella sua
bontà, già conosce ciò di cui abbiamo
bisogno, perché pregarlo, perché chiedergli quanto
consideriamo importante per noi? Più avanti, sempre nel
Discorso della Montagna, Gesù preciserà:
“Non affannatevi per la vostra vita di
quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di
quello che indosserete ... Non affannatevi dicendo: Che cosa
mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte
queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro che è
nei cieli sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il Regno di
Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in
aggiunta” (Mt 6,25.31-33). Appare più chiaro
da queste parole che la preghiera non dovrà lasciarsi
prendere dall'affanno, né condizionare dalla
preoccupazione esasperata delle cose, del cibo e del vestito.
Questi sono i mezzi per vivere, ma non la vita. La vera preghiera
di domanda non impone a Dio i nostri desideri, condizionati dai
nostri bisogni, ma ci introduce nel desiderio stesso di Dio, ci
porta a condividere quel che egli ritiene essenziale,
indispensabile, assolutamente primario per la nostra vita,
cioè l'esperienza della sua amorevole sovranità e
della sua redenzione, in una parola, l'esperienza del Regno dei
cieli. “Cercate prima di tutto il regno di
Dio” significa: “Fate in modo che Dio regni
come tale in voi e intorno a voi, con tutta la sua potenza di
salvezza”; ma significa anche: “Chiedete a lui
anzitutto questo!”. La vera preghiera porta a chiedere a
Dio ciò che Dio da sempre desidera realizzare, è
conformazione del nostro desiderio al suo, della nostra domanda
alla sua volontà, nella convinzione che egli solo conosce
il vero bene dell'uomo ed è in sempre grado di
realizzarlo.
Gesù, il grande intercessore
I Vangeli attestano che anche Gesù pregò domandando
a Dio quanto il suo cuore desiderava. Egli stesso presentò
al Padre delle richieste in diverse circostanze. Sempre si
trattò di richieste a favore dei suoi discepoli e
dell'intera umanità, che davano alla sua preghiera la
forma della intercessione. Che cosa dunque ha chiesto al Padre
per le persone che amava? Quale forma ha assunto nel suo caso la
preghiera di domanda?
Ci può essere di grande aiuto nella ricerca di una
risposta a questo interrogativo il testo che nel Vangelo di
Giovanni conclude la sezione dei “discorsi di addio”
(Gv 13-16). Si tratta di una lunga preghiera di Gesù, che
va sotto il nome di preghiera sacerdotale
o preghiera di intercessione. La troviamo
al capitolo diciassettesimo del Vangelo di Giovanni.
Sappiamo che in tutta la tradizione dell'Antico Testamento il
sacerdote è colui che compie l’offerta, che presenta
il sacrificio, facendosi mediatore tra Dio e il popolo. Al
sacerdote veniva consegnato quanto doveva essere offerto a Dio:
il capretto, l'agnello, il vitello, ma anche le primizie del
raccolto. Tutto questo in segno di comunione e di riconoscenza.
Il sacerdote si faceva mediatore tra Dio e il popolo: era lui che
accoglieva il dono è lo deponeva sull'altare, era lui che
elevava la preghiera, era lui che invocava la benedizione.
Potremmo dire che, secondo il quarto vangelo, Gesù rivolge
al Padre questa preghiera come sacerdote della nuova alleanza.
Egli ha ormai compiuto la grande offerta e può dunque
intercedere per i suoi, facendosi mediatore per loro. L'offerta
compiuta è quella della propria vita, in sacrificio
gradito e come atto d'amore. Egli ha infatti poco prima deposto
le vesti, si è cinto l'asciugamano ed ha lavato i piedi
dei suoi, anticipando nel segno l'avvenimento della sua morte
sulla croce (Gv 13,1-5). Sul calvario, insieme con le vesti,
deporrà la vita, così come aveva in precedenza
annunciato ai discepoli: “Per questo il
Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi
riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me
stesso” (Gv 10,18). Nella prospettiva della
libertà personale la passione ormai decisa è in un
certo senso già attuata. Per questo Gesù può
ora pregare come intercessore e come grande sacerdote. Essendosi
posto davanti al Padre come colui che ha donato la vita fino a
morire, che ha amato gli uomini fino a perdere per loro la sua
vita, avendo fatto della sua vita un'offerta d'amore, egli
può domandare per gli uomini a lui divenuti cari tutto
ciò che il suo grande cuore desidera.
Ma prima di entrare nella preghiera di intercessione di
Gesù e di scoprire che cosa egli domanda per i suoi,
dobbiamo ricordare che la morte in croce di Gesù fu il
culmine della sua vita. É importante intravedere in questa
preghiera di Gesù, come in trasparenza, il cuore del
Cristo, quel cuore che aveva cominciato a svelarsi negli episodi
raccontati dal vangelo di Giovanni. Il Signore che qui prega
è il Cristo delle nozze di Cana (Gv 2), del dialogo con la
samaritana (Gv 4), della moltiplicazione dei pani (Gv 6);
è il Cristo che guarisce il cieco nato e contesta la
convinzione dei discepoli che lui o i suoi genitori abbiano
peccato (Gv 9), il Cristo amico di Lazzaro e delle sue due
sorelle, che piange davanti alla tomba dell'amico (Gv 11), il
Cristo che lava i piedi a discepoli e dà il boccone di
pane a Giuda durante l’ultima cena (Gv 12). Il Cristo della
preghiera sacerdotale è il Cristo che si è
affezionato agli uomini, che ha imparato, lui il Figlio amato, il
Verbo che da sempre è presso Dio, ad essere uomo, che
ormai si sente profondamente e sinceramente uomo con gli uomini.
La vita che egli ha condiviso con noi, la vita che è
culminata nella morte in croce, lo ha reso “sommo sacerdote misericordioso e degno di
fede”, come ci spiega la lettera agli Ebrei (Eb
2,17). Egli è diventato intercessore, cioè ha fatto
un passo ponendosi nel posto di mezzo, tra noi e Dio, e
collocandosi davanti a Dio dalla parte degli uomini. Per questo
egli può elevare a Dio la sua preghiera.
Che cosa chiede dunque Gesù per i suoi discepoli e per
tutti quelli che crederanno in lui? Leggiamo il testo di Giovanni
17 e cerchiamo di raccogliere con semplicità, senza
pretesa di completezza alcuni spunti che ci aiutino a rispondere
alla nostra domanda.
Padre, glorifica il tuo Figlio
La preghiera è introdotta dall'evangelista e prende avvio
in questo modo: “Così parlò
Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: Padre,
è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo,
perché il Figlio glorifichi te, perché egli dia la
vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la
vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui
che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv
17,1-3).
Anzitutto la preghiera è rivolta al “Padre”. Il mistero di Dio è comunione
d’amore tra Gesù e il Padre. C’è un
“noi” alla base di questa preghiera. Sarà bene
ricordare che nessuno hai mai detto “padre” a Dio
come lo dice Gesù. Questo sentire di Cristo, questa sua
percezione della paternità di Dio non ha paragoni.
Condividere questo sentimento è il grande segreto della
preghiera cristiana.
“Glorifica il Figlio tuo perché il
Figlio glorifichi te”: la prima richiesta di
Gesù è quella della sua glorificazione, a cui
corrisponderà la glorificazione del Padre. Si tratta qui
della manifestazione della gloria, dello splendore di Dio, della
sua potenza trasformante, della sua indicibile bellezza. In
quello che sta per accadere brillerà la luce di Dio, si
alzerà il velo che copriva il suo vero volto. Finalmente
sapremo chi egli è e come si volge verso di noi. Ci
avviamo al culmine della testimonianza del verbo fatto uomo:
“Noi vedemmo la sua gloria” -
scrive Giovanni nel suo prologo (Gv 1,14). E’ dunque questa
la luce della resurrezione? Sì, certo, che però non
è separabile dalla luce della crocifissione. Per Giovanni,
infatti, il morire stesso di Gesù su quel patibolo
è splendore di Dio. La potenza della gloria trasformante
che si manifesta in Gesù è attiva già nella
sua morte di croce: “Quando sarò
innalzato da terra io attirerò tutti a me”
(Gv 12,32). E questo perché quella morte sulla croce
è l’atto estremo dell’amore del Figlio di Dio
per l’umanità che gli è divenuta cara:
“Avendo amato i suoi che erano nel
mondo” - osserva Giovanni prima di raccontare la
lavanda dei piedi - “li amò sino
alla fine” (Gv 13,1). Tutto questo va detto, per
capire il senso della preghiera di Gesù.
Conoscano te o Padre e abbiano la vita
eterna
Resta il fatto che questa preghiera di domanda risulta a prima
vista una preghiera che riguarda Gesù stesso. Egli chiede
di essere glorificato e dunque sembra fissare l’attenzione
sulla sua persona. In realtà non è così. La
sua glorificazione, infatti, è totalmente in vista di un
dono che i discepoli riceveranno. E questo dono è la vita eterna. Ecco dunque ciò che
Gesù chiede al Padre per quelli che ama. Ma ecco, allora,
anche ciò che noi siamo invitati a chiedere per le persone
che amiamo, per il mondo, per noi stessi. Ecco il contenuto
essenziale della nostra preghiera di domanda.
Ma che cos’è la vita eterna secondo Giovanni? La
risposta nel nostro testo è esplicita: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico
vero Dio e colui che hai mandato, Gesù
Cristo” (Gv 17,2). La conoscenza di Dio come Dio,
cioè nella sua verità più profonda e nella
forma di una comunione intima e santificante: ecco che
cos'è per Giovanni la vita eterna.
É quanto si esprime più avanti nella preghiera
quando si parla della conoscenza del nome
di Dio: “Io ho fatto conoscere il tuo nome
agli uomini che mi hai dato da mondo” (Gv 17,6). Il
nome dice la vera identità di una persona, la sua
realtà più segreta, raggiungibile solo attraverso
una partecipazione al suo essere.
E' una conoscenza non per sentito dire, come si legge nel libro
di Giobbe: “Io ti conoscevo per sentito
dire, ma ora i miei occhi ti vedono” (Gb 42,5).
É una conoscenza che nasce dal profondo del cuore, che
viene da una sintonia misteriosa ma reale e che porta a
compimento la grande promessa dei profeti: “Questa sarà l'alleanza (nuova) che concluderò
con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore:
porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul
loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio
popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri,
dicendo: Conosci il Signore’;
poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al
più grande” (Ger 31,33-34).
É una conoscenza che consiste nella partecipazione al
mistero d’amore originario, su cui tutto si fonda (Gv 1,1)
e che Giovanni descrive utilizzando immagini molto suggestive
quali la casa (“Nella casa del Padre mio
ci sono molti posti, io vado a prepararvi un posto”:
Gv 14,2), il santuario (“Distruggete
questo tempio e lo farò risorgere”: Gv 2,19),
il pane (“Io sono il pane della vita ...
Chi mangia di me vivrà per me”: Gv
6,35.48.57), le nozze (Gv 2), la vite (“Io
sono la vite e voi i tralci”: Gv 15,1).
Custodiscili dal maligno
Vi è un altro aspetto di quella vita eterna che il Figlio
amato domanda al Padre per i suoi discepoli ed è la difesa
dal male. “Io non sono più nel
mondo” - dice Gesù - “essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo,
custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché
siano una cosa sola come noi” (Gv 17,11). E
più avanti: “Non ti chiedo che tu
li tolga dal mondo ma che li custodisca dal maligno”
(Gv 17,15). Essere preservati dal tentatore, dalla misteriosa
paternità di satana (Gv 8,43-44), cioè dalla
potente sollecitazione all’omicidio, presente nella varie
forme dell’odio, delle divisioni, delle vendette, delle
invidie, dalla sollecitazione alla menzogna, che genera
l’inganno, la falsa testimonianza, il sospetto sistematico,
l'agire doppio. “Non amate il mondo,
né le cose del mondo” - raccomanda Giovanni
nella sua prima lettera - “Se uno ama il
mondo, l'amore di Dio non è in lui; perché tutto
quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la
concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene da
Dio, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza, ma
chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!”
(1Gv 2,15-17).
Che siano una cosa sola come noi
Infine, la preghiera sacerdotale che il Figlio rivolge al Padre
chiede per i discepoli il grande dono della comunione, della
perfezione nell'unità fondata sull'amore. “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per
la loro parola crederanno in me, perché siano tutti una
cosa sola. Come tu, Padre sei in me e io in te, siano anch'essi
in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai
mandato ... Io in loro e tu in me, perché siano perfetti
nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li
hai amati come hai amato me” (Gv
17,20-21.23) ”. Questa richiesta al Padre fornisce il
fondamento, il vero supporto all'unico comandamento che
Gesù lascia ai suoi: “Vi do
un comandamento nuovo: che vi amiate gli
uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi
gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei
discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”
(Gv 13,34-35).
Il segno visibile della comunione in Dio è l'unità
dei credenti, la loro reciproca accoglienza, l'affetto, la stima,
la collaborazione sincera, il perdono senza limite. “Se Dio ci ha amati” - scrive Giovanni
nella sua prima lettera - “anche noi
dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se
ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di Dio
è perfetto in noi” (1Gv 4,11-12). É
questa la vita nello Spirito. Da essa traspare il mistero
trinitario, che è unità dell'amore nella
distinzione delle persone. L'amore dei credenti, la loro
fraternità è il riflesso nella storia del mistero
che sta all'origine di tutto e che si è manifestato nella
Pasqua del Signore. Nella carità che unisce i cristiani,
nella loro capacità di vivere insieme come fratelli,
affrontando le inevitabili prove che derivano dalle
diversità delle persone e dalle loro fragilità, si
riconosce la verità delle parole del crocifisso:
“Quando sarò innalzato da terra,
attirerò tutti a me!” (Gv 12,32).
Padre nostro che sei nei cieli
Se ora torniamo a riconsiderare quanto il Signore chiede al Padre
in questa sua preghiera di intercessione, se fissiamo
l'attenzione su ciascuna delle richieste che abbiamo cercato di
mettere a fuoco in questa nostra riflessione sul testo della
preghiera sacerdotale di Gv 17, ci rendiamo conto che esse non
appaino così diverse da quelle che incontriamo nella
preghiera che Gesù stesso ha insegnato ai suoi,
cioè il Padre nostro.
Non è per altro secondario notare che la preghiera del
Signore è una preghiera di domanda. Essa è infatti
costituita da una serie di richieste che vengono rivolte al
Padre. A conferma del fatto che la preghiera di domanda non
è né esclusa, né da biasimare. Ciò
che Gesù raccomanda di chiedere ai credenti in lui
è in fondo ciò che lui stesso desidera. Con la
preghiera del Padre nostro noi entriamo
nel cuore di Cristo, ne condividiamo i desideri più
intimi, quei desideri che emergono anche dalla preghiera di Gv
17.
Ed ecco allora gli evidenti contatti tra queste due preghiere che
troviamo nel Nuovo Testamento. La richiesta “sia santificato il tuo nome”, nella quale si
esprime il desiderio che il Padre riveli nel mondo la sua
realtà santa, la sua potenza sovrana, ma anche la sua
bellezza, la sua bontà, la sua giustizia, la sua
perfezione nel bene, questa richiesta appare molto vicina a
quella che troviamo in Gv 17, “custodisci
nel tuo nome, o Padre quelli che tu mi hai dato” (Gv
17,11). La conoscenza di Dio, che coincide con l'esperienza della
vita eterna è conoscenza del nome santo di Dio, della sua
originaria paternità. É partecipazione al mistero
divino che si rivela, è trasfigurazione dell'uomo nello
splendore della gloria celeste, è condivisione della
santità che non conosce imperfezione. Da questa conoscenza
del nome di Dio l'uomo riceve gioia e beatitudine
La domanda del perdono: “Rimetti a noi i
nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri
debitori”, la richiesta di saper continuare ad amare
chi ci fa del male e diviene nostro debitore ci richiama
l'invocazione che in Gv 17 Gesù rivolge al Padre per
l'unità dei suoi: “Che siano una
cosa sola!”. É l'unità del vivere
fraterno, dall'accoglienza reciproca, dalla comunione dei cuori,
dell'amore continuamente vittorioso. Il perdono è la forma
più alta dell'amore e la condizione indispensabile della
fraternità. Perdonare significa infatti continuare ad
amare chi, a nostro giudizio e a giudizio del mondo, non se lo
meriterebbe più, perché ci ha offeso. In questo
senso, il perdono è il segno più grande della
potenza dell'amore, il miracolo della grazia. Su questo si regge
il vivere insieme dei discepoli del Signore.
Infine, l'ultima richiesta del Padre nostro: “Non ci indurre in tentazione ma liberaci dal
male” si pone in diretto rapporto con le parole con
le quali il Gesù giovanneo domanda al Padre nella sua
preghiera di intercessione di custodire i discepoli dal maligno.
La serietà dell'esperienza del peccato, la fondamentale
oscurità del processo della tentazione, la potenza
umanamente incontrastabile del male che sorge dal cuore, tutto
questo rende una simile invocazione necessaria, anche se da
considerare sempre e solo nella luce della resurrezione del
Signore. Gesù conosce bene il peso e la forza del male, ma
nulla può contrastare lo splendore di salvezza che
è scaturito dalla sua croce e dalla sua resurrezione. Tra
le esperienze più belle che i redenti possono fare vi
è senz'altro quella che Giovanni nella sua prima lettera
descrive così: “Chiunque è
nato da Dio non commette peccato, perché un germe divino
dimora in lui e non può peccare perché è
nato da Dio” (1Gv 3,9).
Così, alla luce all'esperienza stessa di Gesù, la
preghiera di domanda dimostra tutta la sua legittimità, ma
insieme rivela il suo segreto. É la preghiera nella quale
noi condividiamo i desideri di Cristo, quasi penetrando nelle
profondità della sua divino-umanità. Il suo sguardo
sul mondo diventa il nostro, la sua volontà di salvezza ci
attrae e plasma il nostro sentire. Possiamo così chiedere
ciò che anch'egli ha chiesto.
Ed ecco allora che cosa domandiamo al Padre insieme con lui: che
il mondo conosca il vero nome di Dio, scopra il suo volto di
misericordia, si faccia attrarre dal suo splendore, dalla sua
bellezza, dalla sua santità; che gli uomini vivano insieme
nell'amore che li ha salvati, sappiano perdonarsi e accogliersi
nelle loro diversità e nelle loro fragilità,
sapendosi tutti accolti dal Dio che è amore per sua stessa
natura; che la potenza della redenzione raggiunga i cuori di
tutti e il maligno venga contrastato e vinto, che i cuori non
soccombano nella tentazione, che il fascino del mondo non seduca
le coscienze.
Sappiamo che questi sono i desideri di Cristo, formulati nella
preghiera che egli stesso ha rivolto al Padre. Siano anche i
desideri nostri, sempre di più, per la gloria di Dio.

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