OLTRE LA SOGLIA...
IL MISTERO

Carlo José Seno


La soglia
Nel mistero del dolore: l'angoscia
Nel mistero del dolore: l'abbandono
Pasqua è gioia
Pasqua è vita
Pasqua è danza
Conclusione

RISONANZE SU UN ASCOLTATORE


Nella veste di prete e di pianista, ma - più che altro - nella veste di un uomo che cerca un senso, un volto, voglio proporvi un cammino, per percorrere insieme quest'avventura: andare «Oltre la soglia ... » per incontrare «il Mistero».

La soglia

Perché «la soglia»?
Perché ritengo importante soffermarci e indugiare, per un attimo, sulla soglia del Mistero, prima di entrare e partire per questo itinerario.
Abbiamo bisogno di renderci conto di ciò che stiamo per fare.
Cos'è «la soglia»?
Un poeta, Rainer Maria Rilke, la definisce così:
«Soglia: oh, pensa che è, per due che si amano
logorare un po' la propria soglia di casa già alquanto consunta,
anche loro, dopo dei tanti di prima,
e prima di quelli di dopo... leggermente» 1.
Perciò, logoriamo leggermente la soglia anche noi, ora aiutati da un grande artista: Claude Debussy.
Come tutti gli autori impressionisti, Debussy non delinea bene i contorni di quello che vuole raccontare, ma offre delle suggestioni, delle intuizioni.
Lui stesso, nelle raccolte dei Preludi per pianoforte, non dà titoli ai suoi brani; ma, in conclusione, tra parentesi e dopo tre puntini di sospensione, offre un'immagine. Come a dire: «Questo brano è nato da questa ispirazione, ma sentitevi pure liberi di considerarlo a partire dalla vostra sensibilità».
Nel Preludio n. 4 del Primo Libro annota questo verso suggestivo di C. Baudelaire:
( … «I suoni ed i profumi volteggiano nell'aria della sera»)
Ci sono poi due aggettivi che Debussy pone all'inizio di questo brano: armonioso e flessibile, che invitano ad un ritmo sciolto e non rigoroso.

Alcuni flash:

All'inizio la carezza di un profumo, inatteso e attraente

Entrando, e in seguito, nel «mistero» c'è come un momento sofferto, un piccolo dolore lancinante che ben presto scompare

Poi, tutto sembra «galleggiare nell'aria»

Al termine, in modo molto sommesso, allude forse ad una vittoria celebrata molto sullo sfondo: un lontano squillo di corni.
1

Un commentatore di questo brano, Vladimir Jankélévitch, dice:
«I suoni e i profumi sono travolti nella vertigine di un languido naufragio e nello stordimento dell'estasi».
Restiamo allora sulla soglia lasciandoci raggiungere dal profumo del mistero, lasciandoci conquistare dalla magia di questo brano, che è fatto di chiazze sonore, di ventate di profumo che si spandono e si spengono, di armonie che continuano a rincorrersi.
Però vi invito a non essere solo spettatori ma a diventare protagonisti proponendovi un ascolto attivo. Occorre quindi che ci chiediamo: cos'è per noi la soglia?
Sappiamo che la soglia, per tanti, è il dolore, la fatica, l'indifferenza della gente, le difficoltà che la vita ci presenta.
Proviamo allora, mentre ascoltiamo questo brano, a porci la domanda: qual è la mia soglia? In questo momento, su quale soglia la mia vita si protende?
Per introdurci in questa ricerca, ricordiamo l'esperienza che Gesù stesso ha fatto di questa soglia:
«Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: "Pregate, per non entrare in tentazione". Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà". Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra» (Luca 22, 39-44).

Ascolto musicale:
Claude Debussy (1862-1918), Preludio n. 4,
Primo Libro ( ... «Les sons et les parfums tournent dans l'air du soir» Ch. Baudelaire). Tutti i brani musicali ai quali si fa riferimento in questo testo sono incisi da Carlo José Seno in «Oltre la soglia… il mistero» (Distribuzione Città Nuova Nord -CD e musicassette).

Nel mistero del dolore: l'angoscia

Ciascuno di noi ha dato un nome alla propria soglia. Per Gesù la «soglia» era quella della Passione e della Croce.
Per me ha avuto molti nomi: non capire per tanti anni il senso della vita; non capire più dove dovevo andare; il buio; il fallimento - qualche volta - in campo pianistico; la fatica di capire - diventato prete - cosa dovevo fare; la sofferenza.
E sicuramente per ciascuno di noi questa «soglia» ha oggi molte espressioni diverse.
 
Varchiamo ora la «soglia» ed entriamo nel «Mistero», tenendo presenti le parole ben precise del cardinale Martini nella sua lettera pastorale Ripartiamo da Dio.
 
«Occorre misurarsi con l'Oltre, su quel Mistero assoluto che ci intimorisce e ci attrae, di cui dolore e morte sono come sentinelle» 2.
 
Ci può venire in aiuto un musicista di straordinaria sensibilità, che ha vissuto profondamente l'essere in questo modo «oltre la soglia» e dentro il mistero del dolore: Fryderyk Chopin.
Chopin cerca di dirci questa esperienza con il suo modo autentico e ricco di sottintesi (lui stesso diceva che non c'è nulla di più odioso di una musica priva di sottintesi). Cerchiamo di comprendere ciò che vuole dire questo personaggio dall'animo trasparente, che sapeva raccontarsi con grande intensità ed anche con un certo pudore.
Nella sua Seconda Sonata - conosciuta come Sonata della «Marcia funebre» a causa del terzo movimento - la nota dominante è il tema del dolore e della morte, ma con una caratteristica particolare: sono sempre abitati dalla speranza.

Alcuni flash:

Tutta la sonata è il racconto di un dramma, che già all'inizio si apre con tutte le sue caratteristiche sofferte. E' come un abisso che si spalanca davanti al nostro sguardo, (a).
Il tema principale è piano, agitato e cresce a poco a poco di intensità; è ansimante, parla di un fermento, di un brivido interiore e si arresta su due accordi secchi, (b).

(a) Grave

(b) Agitato


Cede, poi, spazio al secondo tema: alla gratificazione, alla parola che rassicura, alla consolazione in questa angoscia.

 
All'inizio è una melodia appena accennata, ma a poco a poco prende corpo fino a disegnare una grande frase musicale, piena di intensità e lirismo... come un grande arcobaleno che si apre sopra occhi sofferenti, che illumina l'angoscia.
Il secondo movimento ha caratteristiche simili al primo: ha in sé qualcosa di minaccioso ed è un po' ossessionante.
Ma, nella parte centrale, assume un tono ben diverso. Un famoso musicologo, Bernard Gavoty, - commentatore di Chopin - parla di:
«precario appagamento, sfibrato languore tipicamente slavo, simbolico di un chiaro di luna velato».
Struggente nostalgia, parole dette in tono minore, con un po' di riserbo; un desiderio di consolazione che penetra poco alla volta.
 

Il terzo movimento: «Marcia funebre».
E’ il punto nel quale le caratteristiche del brano vengono poste fino all'estremo.
Da un lato infatti è l'eco stilizzata di tutti i dolori umani.

Ma all'interno di questa marcia funebre in un clima segnato dal dramma, c'è come una grande sorpresa: una melodia semplice e delicata, un diamante di pace! Come un desiderio di respirare e trovare vita e speranza anche all'interno della sofferenza.


La cosa curiosa è che questa parte centrale è straordinariamente ampia (48 battute contro le 60 del tema funebre). Viene quasi da chiedersi se a Chopin stia più a cuore dire il dolore o dire la speranza all'interno del dolore. Non siamo certo autorizzati a parlare di presagio di risurrezione, di lettura cristiana della morte: ci accontentiamo di sentirne il profumo. Chopin, come sappiamo, non coltivò la fede dell'infanzia che la madre gli aveva trasmessa. La speranza di Chopin avrebbe avuto solo più tardi un nome e un volto preciso: un suo caro amico prete, Aleksandr Jelowicki, che in punto di morte lo confesserà.
Il quarto movimento è un brano molto innovativo e straordinario. Le tonalità si succedono con un andamento così allucinato e imprevedibile che non si può parlare propriamente di tonalità. Come diceva Alfred Cortot, il grande interprete di Chopin, assomiglia al «turbine gelido del vento sulle tombe».

Ascolto musicale:
Fryderyk Chopin (1810-1849): Sonata n. 2 in si bemolle minore, op. 35 «Marcia funebre»
- Grave - Doppio movimento;
- Scherzo - Più lento - Tempo I;
- Marche funèbre: Lento;
- Finale: Presto.
 

Nel mistero dei dolore: l'abbandono

C'è un elemento comune a questo essere «oltre la soglia», a questo essere nel mistero del dolore: il fatto che ciascuno si scopre solo. Sì, gli altri esistono, ma sembra che siano incapaci di riempire il vuoto.
Dentro questa realtà si fa strada una domanda: Dio dov'è? Dov'è mentre io soffro? Ci ama così tanto... ed è assente in un momento come questo? Che risposta ha da dare al dolore dell'uomo?
Sono interrogativi penetranti per chi soffre e, soprattutto, se ci mettiamo di fronte al dolore innocente; domande che emergono in modo molto drammatico in un brano famoso di Elie Diesel, che sembra offrire una risposta folgorante:
«Un bambino dal volto fine e bello, incredibile in quel campo. Aveva il volto di un angelo infelice. Le SS lo condannarono a morte assieme a due detenuti presso i quali erano state scoperte altre armi.
Un giorno che tornavamo dal lavoro vedemmo tre forche drizzate sul piazzale dell'appello: tre corvi neri. Tre condannati incatenati e fra loro il piccolo ragazzo, l'angelo dagli occhi tristi.
Le SS sembravano più preoccupate, più inquiete del solito. Impiccare un ragazzo davanti a migliaia di spettatori non era un affare da poco. I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole.
- Dov'è il buon Dio? Dov'è - domandò qualcuno dietro me.
Ad un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte.
Dietro di me udii il solito uomo domandare:
- Dov'è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
Dov'è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca ... »
3.

Ecco dov'è Dio quando l'uomo soffre: è appeso lì, ad una croce.
Dio non guarda il dolore dell'uomo da spettatore cinico e disinteressato: Dio ha conosciuto fino in fondo cosa vuol dire soffrire. Fermiamoci a fissare il nostro sguardo sulla croce e guardiamo così al centro del Mistero: Dio che per amore si spoglia di tutto e condivide così il dolore di ciascun uomo. Gesù ha vissuto questi momenti terribili culminati con la sensazione di abbandono:
«Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: "Eli, Eli, lemà sabactàni?", che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: "Costui chiama Elia". E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. Gli altri dicevano: "Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo! ". E Gesù, emesso un alto grido, spirò» (Matteo 27,45-50).
Anche lui non ha sentito il Padre - cosa quasi impossibile da dire -, ed è stato come «senza Dio» in quel momento: è il crocifisso anche degli atei. Ha voluto conoscere la sofferenza dell'uomo in tutte le sue sfumature, abbracciandole tutte quante in sé, perché nessuno possa più prendersela con Dio e dire: il mio dolore è sconosciuto al cuore di Dio.
Quindi, ogni volta che soffriamo partecipiamo a quel dolore abissale, immenso e incalcolabile che è quello provato dal cuore del Figlio di Dio.
Cambia cosi il nostro modo di guardare a Dio: non è assente, ma ci ha talmente amato da voler condividere anche questo dolore; è il momento in cui ci ha amato di più.
Il cammino è personale: è vostro, è mio, è degli autori che ascoltiamo, è di Gesù stesso. Camminiamo insieme: io con voi, noi con Gesù attraverso la musica.
Il brano di Ravel che vi propongo, ha ininterrottamente sullo sfondo un rintocco di campane: proviamo ad immaginare quelle del Venerdì Santo.


Da questi rintocchi emerge una melodia intensa e sofferta, che sembra esprimere bene questa
piaga interiore dell'abbandono di Gesù e di tutta l'umanità che si interroga di fronte al dolore.

Ascolto musicale:
Maurice Ravel (1875-1937): Le gibet (Il patibolo), da «Gaspard de la nuit».
 

Pasqua è gioia

Non vogliamo fermarci, ma andare sempre «oltre», per arrivare a cogliere ciò che c'è anche al di là della piaga abissale dell'abbandono, e conoscere quella che i Vangeli chiamano «l'esperienza della gioia». Si tratta di una gioia tutta speciale: è la gioia tipica della Pasqua.
Infatti, anche nell'incontro con il dolore occorre saper cogliere quello che c'è «oltre». L'oltre inizia un mattino presto e lo vivono un gruppetto di donne. Donne come tante, con le loro speranze e i loro sogni infranti:
«Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: Donna perché piangi?". Rispose loro: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto". Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù.
Le disse Gesù: "Donna, perché piangi? Chi cerchi?". Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: "Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo". Gesù le disse: "Maria! ". Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: "Rabbunì! ", che significa: Maestro! » (Giovanni 20,11-16).
Ecco la gioia di Maria nel riconoscere Gesù. Una gioia che non si sarebbe mai aspettata. Una gioia dentro il dolore e la sofferenza.
Che cos'è questa gioia che nasce da una lacrima? Un grande autore, Gibran, così. scrive:
«Allora una donna disse: Parlaci della Gioia e del Dolore.
E il profeta rispose:
La vostra gioia è il vostro dolore smascherato.
E’ il medesimo pozzo da cui proviene il vostro riso: è stato spesso riempito dalle vostre lacrime.
E come può essere altrimenti?
Quanto più a fondo il dolore incide nella vostra vita, tanta più gioia potrete godere.
Non è forse il calice che contiene il vostro vino, quello stesso calice temperato nel forno del vasaio?
Non è forse il liuto che calma il vostro spirito, quello stesso legno scavato dal coltello?
Quando siete tristi, guardate in fondo al vostro cuore e capirete che in realtà state piangendo per ciò che già prima fu una vostra gioia.
In verità voi siete come bilance oscillanti fra il dolore e la gioia.
Solo quando siete vuoti siete fermi e ben bilanciati.
Ma quando il tesoriere vi solleva per pesare il suo oro e il suo argento, la vostra gioia ed il vostro dolore sono obbligati a salire o a scendere»
4.

Quali sono le gioie che noi ricordiamo?
Certamente tutti abbiamo fatto esperienze di gioie, e anche di quelle che ci rendono euforici e carichi di entusiasmo, ma che poi non mantengono la loro promessa: svaniscono e lasciano soltanto nostalgia, o anche tristezza.
Diversa è la gioia della Pasqua, perché ha alla radice la croce e passa attraverso la croce; ha alla radice la sofferenza e il dolore e passa attraverso la sofferenza e il dolore. La vera gioia del cuore dell'uomo percorre questo cammino. E’ la gioia vera che può dimorare stabilmente nel cuore dell'uomo. E' quella gioia che nessuno ci può portare via e che Gesù aveva promesso ai suoi discepoli:
«Così, anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Giovanni 16,22-23; 15, 11).
Si fa l'esperienza delle lacrime di gioia, il piangere di gioia. E' capitato anche a me, quando ho detto il mio «sì» a Gesù.
Il brano musicale che vi propongo può in certo modo esprimere la gioia pasquale; fa parte dei viaggi di Franz Liszt, che racconta poi in musica ciò che ha visto, facendo rivivere emozioni ed esperienze. Parla di campane, nasce sull'eco di campane a festa, vogliamo immaginare, con un po' di fantasia, quelle di Pasqua.
Inizia con un rintocco di campane - ben diverse da quelle di prima:


Su questo rintocco nasce una melodia spontanea, quasi improvvisata, che crea l'attesa di una gioia piena.
Questa parte introduttiva sfocia finalmente in un'ampia melodia:
Cantabile con moto


quasi un canto eterno che cresce d'intensità: come avviene per la gioia della Pasqua, che entra sempre più nel cuore, fino ad esplodere in un'esultanza incontenibile. Raggiunto poi il punto culminante riappare presto il rintocco delle campane iniziali... L'eco lontana dalla quale tutto è nato e da cui la gioia ha preso forma.

Ascolto musicale:
Franz Liszt (1811-1886): Le campane di Ginevra (Notturno); da «Anni di pellegrinaggio» - Primo anno: Svizzera.

Pasqua è vita

Andando «oltre» abbiamo quindi colto questa mistero di gioia che è anche mistero di vita, la vita invincibile, quella che ribalta la pietra del sepolcro, quella che è più forte di ogni morte. Parlando della Pasqua infatti, parliamo soprattutto di vita. L'esperienza di Gesù è stata esperienza di vita; e non è stata solo un'esperienza sua, ma può esser anche nostra. Come accadde ad un'altra donna, la samaritana:
«Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Giovanni 4, 13 -14).
Acqua viva che è nel cuore del credente, sorgente d'acqua che zampilla; qualcosa di fresco e di nuovo che è capace di trasformare ogni uomo.
Anch'io dopo aver detto quel «sì» tra le lacrime ho trovato questa vita nella gioia di seguire Gesù, pure in mezzo a tutte le fatiche in questo dire «sì» ogni giorno all'amore di Dio.
E per noi? Esiste l'esperienza della vita? Possiamo dire che c'è vita piena oggi per noi?
Ascoltiamo la testimonianza di un uomo, Antonio Savasta, che ha visto cambiare la sua vita, perché qualcuno gli ha messo nel cuore un seme di vita nuova, di una vita capace di amare e di perdonare anche quando spira la violenza:
«Nei giorni del sequestro suo marito era come lei lo descriveva: pacato, pieno di fede, incapace di odiarci e con una dignità altissima. Lo so, signora, questo non le restituirà molto, ma sappia che dentro di me ha vinto la parola che portava suo marito.
L'ha vinta contro tutti coloro che ancora oggi non capiscono. Anche in quei momenti suo marito ha dato amore, è stato un seme così potente che neanche io che ci lottavo contro sono riuscito a estinguere dentro di me. Questo è un fiore che voglio coltivare per poter essere io a donarlo. Se non ci foste stati voi, io sarei ancora perso nel deserto. Spero soltanto di colmare questo vuoto restituendo e insegnando ad altri quello che voi avete dato e insegnato a me»
5.
«Questo è un fiore che voglio coltivare per poter essere io a donarlo»... E’ il seme della vita nuova.
Franz Liszt, con un suo brano famoso, spero ci aiuterà a comprendere meglio.
Tutta questa composizione è giocata sull'acqua. La sua caratteristica preziosa è che la melodia continua a scintillare, come riverberata da piccole onde.
La melodia è semplice, ma quest'acqua che gorgoglia, scorre e vibra la rende bellissima.


E’ segno di vita nuova riempita da uno sguardo diverso, da una luce diversa, come quella della Pasqua.

Ascolto musicale:
Franz Liszt: Les jeux d'eaux à la villa d'Este (I giochi d'acqua alla villa d'Este); da «Anni di pellegrinaggio» - Terzo anno.

Pasqua è danza

Come è possibile dire sempre di sì perché sia sempre «gioia»? Come fare per cercare e incontrare sempre il Risorto come Maria di Magdala?
Madeleine Delbrél parlandoci della vita cristiana ci regala un'immagine splendida e dice che la vita è come una danza, «Il ballo dell'obbedienza»:

«Se noi fossimo contenti di te, Signore,
Non potremmo resistere
A questo bisogno di danzare che irrompe nel mondo,
E indovineremmo facilmente
Quale danza ti piace farci danzare
Facendo i passi che la tua Provvidenza ha segnato.
Lascia che noi inventiamo qualcosa
Per essere gente allegra che danza la propria vita con te.
Per essere un buon danzatore,
con te come con tutti,
non occorre sapere dove la danza conduce.
Basta seguire,
Essere gioioso,
Essere leggero,
E soprattutto non essere rigido,
Non occorre chiederti spiegazioni
Sui passi che ti piace segnare.
Bisogna essere come un prolungamento,
Vivo e agile, di te.
Ma noi dimentichiamo la musica del tuo Spirito,
E facciamo della nostra vita un esercizio di ginnastica:
Dimentichiamo che fra le tue braccia la vita è danza,
Che la tua Santa Volontà
E’ di un'inconcepibile fantasia,
E che non c'è monotonia e noia
Se non per le anime vecchie,
Tappezzeria
Nel ballo di gioia che è il tuo amore.
Signore, vieni ad invitarci.
Se certe melodie sono spesso in minore, non ti diremo
Che sono tristi:
Se altre ci fanno un poco ansimare, non ti diremo
Che sono logoranti.
E se qualcuno per strada ci urta, gli sorrideremo:
Anche questo è danza.
Signore, insegnaci il posto
che tiene, nel romanzo eterno
avviato fra te e noi,
il ballo della nostra obbedienza.
Facci vivere la nostra vita
Come un ballo,
Come una danza,
Fra le braccia della tua grazia,
Nella musica che riempie l'universo d'amore.
Signore, vieni ad invitarci» 6.

Anche per me è stato così. Quando sono entrato in seminario pensavo che avrei dovuto lasciare per sempre alle spalle il pianoforte. Poi l'Arcivescovo mi ha chiesto di «fare il prete con il pianoforte». Danzare per me è stato anche seguire quest'indicazione ed oggi la vita, per me, è questa danza: una danza che nasce dall'incontro con un dolore abbracciato, con un amore trovato; una danza che si trova «oltre la soglia» nel mistero dell'amore: una danza piena.
Tutto questo è bene espresso da un brano di Chopin: una danza vigorosa e precisa; ma non rigida, morbida e flessuosa. E un brano pieno di brio e di gioia... come quella della Pasqua.

Ascolto musicale:
Fryderyk Chopin: Polacca in la bemolle maggiore op. 53 («Eroica»).

Conclusione

«Oltre la soglia... il mistero»...
Abbiamo incontrato quella soglia; visto il volto che questa soglia ha per ciascuno di noi; siamo andati «oltre» per cogliere il mistero di vita, di gioia e di danza; per cogliere il mistero dell'amore di Dio che solo può riempire il nostro cuore, ben sapendo che quando si entra nel Mistero possiamo cogliere certe cose, ma la maggior parte di esse rimane ancora da scoprire.
Mi piacerebbe, a questo punto, invitare idealmente sul palcoscenico una donna che ha conosciuto più di chiunque altro il Mistero e questo abitare il Mistero del dolore e della gioia; una donna che ha fatto di questo Mistero il senso della sua vita, in modo pieno e straordinario: è Maria, la madre di Gesù.
Lei ha gioito, vissuto e danzato nell'incontro con il Mistero.
Concludiamo, allora, con l'Ave Maria di Schubert, preceduta da una preghiera scritta da un grande Vescovo e grande poeta: Tonino Bello.

«Santa Maria, donna che ben conosci la danza,
ma anche donna che ben conosce il patire,
aiutaci a capire che il dolore non è l'ultima spiaggia dell'uomo.
Non osiamo chiederti
né il dono dell'anestesia
né l'esenzione dalle tasse dell'amarezza.
Ti preghiamo solo che
nel momento della prova,
ci preservi dal pianto dei disperati.
Santa Maria, donna che ben conosci la danza,
facci capire che
la festa è l'ultima vocazione dell'uomo.
Accresci, pertanto, le nostre riserve di coraggio.
Raddoppia le nostre provviste di amore.
Alimentaci le lampade della speranza.
E fa che nelle frequenti carestie di felicità
che contrassegnano i nostri giorni, non smettiamo di attendere con fede colui
che verrà finalmente a
«mutare il lamento in danza
e la veste di sacco in abito di gioia»
(Salmo 30,12)7.

Ascolto musicale:
Franz Schubert (1797-1828) - Franz Liszt: Ave Maria.




NOTE:

1 RAINER MARIA RILKE, IX Elegia duinese, Einaudi, Torino 1978, pp. 56-57.

2CARLO MARIA MARTINI, Ripartiamo da Dio, Centro Ambrosiano 1995, n. 5.

3ELIE WIESEL, La notte, La Giuntina, Firenze 1980, pp. 65-67 passim

4KAMIL GIBRAN, Il Profeta, Bompiani, Milano 1990, pp. 41-43 passim.

5ANTONIO SAVASTA, (ex-brigatista), Testimonianza che scrisse alla moglie di Pino Taliercio, assassinato nel 1981.

6MADELEINE DELBREL, Noi delle strade, Gribaudi, Torino, pp. 86-89 passim

7TONINO BELLO, Maria donna dei nostri giorni, Paoline, Cinisello Balsamo 1993, pp. 88-89 passim.



 

RISONANZE SU UN ASCOLTATORE

Non capisco molto di musica, ma quanto mi piace ascoltarla e con quei suoni belli quanto incomprensibili dialogare stando sulla soglia tra rivelato e suggerito.
La musica è linguaggio; è messaggio solo suggerito non perché non compreso fino in fondo, ma proprio perché compreso a un livello non raggiungibile razionalmente e per questo restituito nel codice intuitivo delle note musicali. La musica è un messaggio che continua ad essere tramandato pur restando inespresso in termini logici; è il passaggio sottocutaneo dell'intelletto.
Sono andato ad ascoltare (non a sentire) il concert di don Carlo cercando di essere come una brocca vuota e mentre la musica mi si versava dentro, la brocca - che ero io in quel momento- ha dato la sua forma al nuovo contenuto dando vita al messaggio intuitivo e detto sottovoce, che ho subito trascritto in tempo reale. Se conoscessi la grammatica della musica ne sarebbe nata una melodia nuova; ma così non è e ho dovuto fissare l'intuizione in un altro linguaggio: quello più incerto e zoppicante della poesia.
Questo è il sedimento poetico - anch'esso intuitivo e solo suggerito - del messaggio musicale; la coagulazione del fluire movimentato delle note misteriose in secche parole quotidiane, ma - di nuovo - il messaggio vuole essere lo stesso.

Come avvolti
dalle spirali di profumi
sovrapposti
come ricordi
evocati
come il rincorrersi
affannoso
della memoria
che vede terra
infine
-una delle terre possibili -
come una morte cantata
un diamante di dolore cristallizzato dagli sconvolgimenti della terra
pace di pianura
ma poi si è vivi
e presi
nella tempesta
i gorghi congelati dell'animo
sulla soglia del dolore
la tempesta del mistero
«uomini di poca fede
di cosa avete paura
si calmano i venti,
si calmano le acque
si calmino in voi.
Io sono la resurrezione
e l'amore»
la gioia è ciclico annuncio
sempre nuova luce irrompe
sulla soglia quotidiana del dolore
come in un fiume
l'acqua
che è
sempre lo stesso fiume
e va col suo dolore
dove non sa
come una danza.

Giovanni Gabardini
 
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