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IL DIAMANTE E IL FIORE DI PESCO

Ramon Llovet Fiori e cristallo (500K)

Ramon Llovet Fiori e cristallo ottobre 2022
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IL DIAMANTE E IL FIORE DI PESCO

A dieci anni dalla morte dell’amatissimo cardinal Carlo Maria Martini, voglio ricordare il suo rapporto con la verità. Così ha scritto mons. Bruno Forte, suo grande amico e interlocutore:

Martini ascoltava le ragioni dell'altro, le prendeva sul serio, per capire meglio con lui la luce che abitava il suo cuore, per dire Dio con tutto l'amore possibile al cuore dell'altro, per condividere generosamente il dono, nulla mai imponendo con atti di forza, che pur sarebbero stati facili all'evidente superiorità di intelligenza e di cultura che si avvertiva in lui.
Il Cardinale amava la verità infinitamente più di se stesso.
La Verità non era per lui qualcosa da possedere. Era Qualcuno da cui lasciarsi possedere. Era il Gesù dei Vangeli, il Cristo annunciato dalla Chiesa attraverso i secoli, il Signore cui aveva offerto tutto di sé. Come motto episcopale aveva scelto una frase tratta dalla Regula pastoralis di San Gregorio Magno, che è un chiaro programma di vita: "Pro veritate adversa diligere et prospera formidando declinare" - "Per la Verità amare le avversità e guardarsi dal successo con timore" (I, III). Sono parole che illuminano il suo stile, fatto di audacia e di timidezza, di forza e di umiltà, inseparabilmente.
Sapeva che la verità non sta nell'apparire, ma nell'essere. Perciò Martini non si preoccupava delle apparenze, ma sempre e solo del giudizio di Dio. In una società che spesso rincorre la maschera e l'imbonimento, la forza della verità appare tanto spesso scomoda.
Su di essa, sulla sua carica liberatrice, Carlo Maria Martini ha giocato la sua vita.

In un tempo in cui la verità viene spesso strattonata, calpestata, umiliata, nascosta, strumentalizzata, ho organizzato il nostro ciclo dei venerdì di ottobre proprio su questo tema, a partire dalle splendide parole di Gandhi che così affermava: “La verità è dura come un diamante e fragile come un fiore di pesco” … la verità è debole, basta poco per ferirla, eppure si fa strada. Nel cammino ci aiuteranno a riflettere il filosofo Silvano Petrosino, l’inviato a Kiev di Avvenire Nello Scavo e il pedagogista Raffaele Mantegazza. Credo sia un’occasione imperdibile di ascolto per chiunque voglia capire, confrontarsi, cercare.

Nessuno di noi può mai dirsi un arrivato nei confronti della verità. Ogni uomo è e sarà sempre alunno, discepolo della verità, in cammino verso di essa perché la verità è e sarà sempre al di là, ci supera, è troppo grande. Lo diceva in modo originale e intrigante la scrittrice e giornalista Oriana Fallaci: “Ogni cosa è fatta di tre punti di vista: il mio, il suo e la verità”.
La verità non è qualcosa che si possiede, un oggetto di cui si possa disporre, non è mai raggiunta per sempre e una volta per tutte. Occorre sempre passione per la ricerca, stupore, umiltà, ascolto e gratitudine davanti a ogni domanda, alla vita, a ogni persona … la verità ci interpella attraverso questi incontri. Perché la verità è relazione, è incontro (è addirittura il titolo di un libro di papa Francesco) e non c’è verità senza incontro con l’altro, senza l’uscita da sé, senza ascolto, senza sguardi sinceri, aperti e profondi, senza intelligenza (intus-legere) cioè la capacità di leggere dentro e oltre.

Per noi cristiani la verità ha un nome, un volto: è Lui, il Cristo.
Per noi cristiani la verità ha a che fare con una persona, con Gesù Cristo che ha detto: “Io sono la verità”. Non è possibile possedere una persona. La si può amare, ascoltare, seguire, mai possedere. Così con il nostro Maestro.
Ce lo ricordava con forza e in modo magistrale il card. Martini nella sua lettera pastorale Ripartiamo da Dio:

Talora presumiamo di avere già raggiunto la perfetta nozione di ciò che Dio è o fa. Grazie alla Rivelazione sappiamo di Lui alcune cose certe che Egli ci ha detto di sé, ma queste cose sono come avvolte dalla nebbia della nostra ignoranza profonda di Lui. Non di rado mi spavento sentendo o leggendo tante frasi che hanno come soggetto “Dio” e danno l’impressione che noi sappiamo perfettamente ciò che Dio è e ciò che Egli opera nella storia, come e perché in un modo e non in un altro. La Scrittura è assai più reticente e piena di mistero di tanti discorsi pastorali. Preferisce il velo del simbolo o della parabola; sa che di Dio non si può parlare che con tremore e per accenni, come di “Qualcuno” che in tutto ci supera. Gesù stesso non toglie questo velo, Lui che è il Figlio: ci parla del Padre ma “per enigmi”, fino al giorno in cui svelatamente ci parlerà di Lui. Questo giorno non è ancora venuto, se non per anticipazioni che lasciano ancora tante cose oscure e ci fanno camminare nella notte della fede. (n°20)

Chi si mette ogni giorno alla scuola del Vangelo - Mangia il Vangelo, impara da Dio chi è Dio, dicevano i monaci - e in dialogo con gli altri, diventa un discepolo della verità sempre più competente e affascinante, pur restandone eternamente discepolo.

Non ho più scordato il film “Mare dentro” del regista spagnolo Alejandro Amenàbar, tratto da una storia vera, che narra in maniera sincera e insieme cruda dell’eutanasia. In una delle sequenze viene data voce a un sacerdote tetraplegico che vuole convincere Ramon, il protagonista della storia anche lui tetraplegico, a non cercare la morte, in nome di Dio, della vita. Il prete ha parole dure, di giudizio. Non riesco a dimenticare ciò che gli dice la donna che da sempre cura con tanto affetto e attenzione Ramon: “Io non so chi di voi due ha ragione … su Dio, la vita, la vita eterna … ma una cosa la so: lei ha la bocca troppo larga!”
Spesso abbiamo tante belle verità in testa e nei libri, ma su Dio, sul nascere, amare, morire e sul dolore cerchiamo di non avere mai la “bocca troppo larga” …

Marco Garzonio, giornalista che ha conosciuto da vicino il card. Martini ha scritto così:
A chi gli fece gli auguri per gli 80 anni disse: «Imparate a pensare, a inquietarvi»; non esortò a devozioni. Martini ha messo un tarlo nell’intimo di chi crede e di altri: essere inquieti, non rifugiarsi nel s’è sempre fatto così, a me che me ne viene, ci penserà un altro. I tarli non si vedono ma sfarinano ingombranti strutture. Quando esse crollano liberano spazi: il sole risorge. Là dov’è Martini se la gode sornione.

Perché la verità è qualcosa e soprattutto Qualcuno che continua a inquietarci.

don Mirko Bellora

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