TE HOMINEM LAUDAMUS
Nel gennaio 2010, quando ero a Vimercate solo da qualche mese, scrivevo così sull’informatore parrocchiale:
La  scrittrice francese Marie Noël in un suo racconto immagina che la sera di S.  Silvestro, durante l’ultima grande guerra, i cristiani di un piccolo paese si  radunino in chiesa, ciascuno portando il peso di una sofferenza non lieve.  Eppure tutti insieme sentono il bisogno di lodare Dio e cantare il “Te Deum  laudamus” (lodiamo Te o Dio) per tutte le grazie e i benefici ricevuti  durante l’anno. Dio li vede dall’alto e, commosso, chiama a raccolta gli angeli  e i santi invitandoli a cantare insieme:   “Te hominem laudamus”  (lodiamo  te, o uomo).
  Mi  sono commosso alla lettura di questo brano … Anch’io immagino il nostro Dio  così … un Dio che ci guarda, piange, sorride e spera con noi, ci fa i  complimenti, ci accarezza, ci consola, ci sostiene, ci rinfranca e insieme ci  sospinge più avanti. Sogna per noi, su di noi, con noi.
Prepotentemente mi sono tornate alla mente e al cuore queste parole, ancora più vere in questo anno veramente terribile e per tantissimi una prova durissima con tutto il suo carico di morte, di dolore, di paura, di incertezza, di impotenza, ma anche straricco di generosità e dedizione nel prendersi cura di tante persone. Le ho volute ripetere, con la stessa commozione, nella S. Messa dell’ultimo giorno del 2020, certo che il nostro Dio canti il suo “Te hominem laudamus”!
Nell’anno  della pandemia ci siamo scoperti tutti più fragili e la sicurezza o la  presunzione di poter dominare la nostra vita è fuggita via dalle nostre mani … Ci  siamo come sentiti rapinati delle persone che abbiamo perduto, del lavoro,  degli abbracci, dei rapporti di amicizia, della vita sociale, della vita  parrocchiale, della festa … senza dimenticare che purtroppo in larga parte del  mondo spesso è così sempre.  Spero che  tutto questo ci possa spingere a nuove riflessioni, a nuovi sguardi, a nuovi  punti di vista e alla capacità di trasformarci e di inventare e di costruire nuove  vie del bene .
  Abbiamo  spesso pensato che abbiamo o non abbiamo tempo, ma forse il cammino interiore  che ognuno di noi è chiamato a compiere è rendersi conto che il tempo non è  nostro e che noi “siamo tempo”: il tempo che dedichiamo alle persone, al bene,  dice chi siamo, chi vogliamo e desideriamo essere, dice ciò che crediamo. Il tempo è lo splendido regalo fatto alla  nostra libertà, nel tempo decliniamo e “giochiamo” la nostra libertà.
Non dire che non hai  abbastanza tempo.
  Hai esattamente lo  stesso numero di ore al giorno che hanno avuto
  Pasteur, Michelangelo,  Madre Teresa, Leonardo da Vinci e Albert Einstein.
Per  riflettere sul tempo ho scelto un pittore e un poeta. 
  Il  pittore è Marc Chagall con il suo quadro Il  tempo è un fiume senza sponde (1933-39) che ho sceltocome immagine di copertina.  Così lo descrive e spiega suor Gloria Riva:
«Immerso nel blu del mistero campeggia un pendolo, segno dello scorrere del tempo; nelle acque del fiume una barca a remi è condotta da un uomo solitario e, dall’altra parte, una coppia amoreggia sulle rive: siamo noi, tutti noi con i nostri affanni e i nostri amori, quasi incuranti degli incendi di persecuzione che rinfocolano qua e là. Ad avvertirci del fuoco che divampa è il grosso pesce sopra il pendolo, Cristo stesso, le cui pinne sono ali infuocate e dal quale, curiosamente, sbuca un braccio che regge un violino. Chagall intuiva che Cristo trionfa, che Egli sta sopra, sopra i gorghi del male, sopra l’inarrestabile corsa del tempo. Cristo si mostra all’uomo credente con la sua insopprimibile vitalità, con le sue ali di fuoco puntate verso l’eternità. Cristo mostra la via d’uscita: quella simboleggiata dal violino, il cui arco, dopo il quadrante dell’orologio, è l’unico punto lucente del quadro. Sì, la via d’uscita è quella della bellezza, che come ebbe a dire Baudelaire, fa intravedere all’anima gli splendori attraverso la tomba».
Il poeta è Davide Rondoni con il suo splendido testo La danza del tempo al ritmo della vita
«Il tempo è un movimento. Lo provi a  bloccare, come entità, come concetto. E non ci riesci. È un movimento. Non si  tratta di andare d'accordo con il tempo. Non accetta nessuna trattativa. Chi  prova a fregarlo, si riduce il più delle volte a una macchietta, non importa se  truccandosi il volto, mascherandosi o scrivendo libri alti così.
  Accordarsi è  impossibile. Il suo è un movimento di danza. E di una danza che sembra  destinata a finir male. In un gran silenzio. In un precipizio. Del tempo si è  in balia. Del tempo fitto e del tempo vuoto. Del tempo che ci stipiamo di  impegni appuntamenti lavori, e del tempo vuoto che ogni tanto ci sorprende, ci  tedia.
  E allora si  cerca di ucciderlo. Si dice: ammazzare il tempo. Prima che ci ammazzi lui. 
  Il tempo ha  una velocità variabile. E un movimento strano. L'accordo anteriore con un  avvenimento esteriore può modificare la percezione del movimento del tempo. Il  ragazzino che attende la partita da giocare "non vede l'ora". Anche  l'amante che attende l’amata "non vede l'ora". Ogni minuto che li  separa da quell'ora è lunghissimo. È gravissimo. Poi quando l'ora arriva sembra  un lampo, passa via rapida. Un treno, un eurostar. Quasi un sogno. 
  Nulla di  quanto attendiamo sembra compiere il tempo. Ne cambia il ritmo, sì. Ne pare  interrompere per un poco il solito ritmo. Poi però lui riprende il suo corso.  Il suo movimento. Quella danza. Che sembra andare alla balaustra, e oltre.  Nella notte. 
  Il tempo è  uno strano galantuomo. Dicono che aggiusta le cose. Non sempre, anzi quasi mai.  La sua strada è disseminata di rovine, di anticipi di morte. È una pioggia il  tempo, che lava via i volti dei giusti e degli ingiusti. 
  Per vincere  il movimento del tempo ci vuole un contrattempo.
  Un  contrattempo forte come il suo movimento. Un corso d'acqua che entri nel fiume  e mescolandone i flutti cambi direzione dell'onda. 
  Per cambiare  la direzione della danza serve un cambio di musica, un ballerino che entri in  pista e presa lei, la vita ballerina, tra le braccia, la porti dentro la sala,  al centro della festa. 
  Gesù,  risorgendo, è entrato in ballo».
Davanti al nuovo anno - quest'anno più che  mai - la prima cosa che chiedo a Dio per me e per voi è la speranza. Spesso si raffigura la  speranza come un'ancora, ma forse il simbolo più giusto è quello della  "vela": l'ancora tiene ferma la barca, la vela la fa correre sul mare  o verso la terra ferma. Forse la speranza è questo muoversi, questo darsi da  fare concreto, nella storia per portare pace, giustizia, uguaglianza. In questo  momento storico che vive un’eclisse di speranza e di bontà, occorre tornare a  credere nei sogni, negli ideali, sapendo che gli ideali sono come le stelle:  non li raggiungeremo mai, ma come i naviganti in mare ce ne serviamo per  tracciare la nostra rotta. Una grande nave ormeggiata nel porto è indubbiamente  al sicuro. Ma non è per questo che le grandi navi sono state costruite. Così  noi.
  Scrive suor Alessandra Smerilli che è  importante guardare avanti e sognare l’anno che verrà, come nel film La vita è bella in cui il bambino è  riuscito a resistere nel campo di concentramento grazie al desiderio di un  carro armato, trasformato da Roberto Benigni nel premio finale di un gioco di  resilienza. “Basta un sogno, a volte, per  risvegliare la voglia di restare in gioco anche quando giocare non è scontato”…
  L’anno appena iniziato ci si ripropone con tutte le  sue sfide, con tutti i suoi inviti: è come gemma su un ramo, è come un neonato  … Nei nuovi giorni che ci aspettano, auguro a ciascuno di sentire tutta la  presenza e la forza di Dio, nel qui, nell’ora.
  Quel Dio che ci ripete “Non temere! Io sono con te  tutti i giorni della vita”.
  Quel Dio  che vorrei  pregare per ognuno di noi con la certezza di una bambina …
«Don Tonino Bello raccontò che mons. Mariano Magrassi, un tempo arcivescovo di Bari, agli inizi dell’attività pastorale, si trovava in Francia e stava dettando la preghiera del “Padre nostro” a bambine di una scuola elementare. Aveva già dettato, naturalmente in francese, la frase “sia fatta la tua volontà” e, passando fra i banchi, notò che una ragazzina non aveva scritto “que ta volonté soit faite”, come avrebbe dovuto, ma piuttosto “que ta volonté soit fête”, che in francese suona nello stesso modo. La frase allora prendeva questo significato: “che la tua volontà sia festa”. Al primo impulso di far notare l’errore seguì, come ispirazione, un moto di gioia ... »

 
