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STORIA DI UNO SPECCHIO

Ragazza davanti allo specchio

Pablo Picasso - Ragazza davanti allo specchio (1932)marzo 2020
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STORIA DI UNO SPECCHIO

In questi giorni ho letto una storia. Una storia vera. Narra di una mostra fotografica realizzata da Margherita Lazzati dal titolo Fotografie in carcere ed esposta al Museo Diocesano di Milano fino alla fine di gennaio. Le foto, scattate nel carcere di massima sicurezza di Opera, ritraevano diversi volti oscurati per mancanza della liberatoria da parte dei protagonisti. Uno di loro in particolare - così racconta la fotografa - con un tono quasi di scusa le aveva detto: Signora, mi dispiace, ma non posso darle il permesso. Forse lei non lo sa, ma in carcere non si possono tenere specchi se non quelli piccolini da campeggio. Io sono qui dentro da tanto, tanto tempo e non mi guardo in uno specchio da non mi ricordo nemmeno più quanto. Non so più che faccia ho, signora: io non so se quello che lei mi sta facendo vedere sono davvero io. Qualcuno ha commentato così: A noi non c’è nessuno che vieti di tenere in casa uno specchio a grandezza naturale. Forse è che non ci vogliamo più passare davanti e fermarci a guardare ciò che siamo diventati.

Mi sono detto: quale specchio migliore delle pagine evangeliche abbiamo noi per cogliere chi siamo e chi vogliamo essere come persone e come cristiani? Quelle pagine non sono solo una finestra aperta sul passato, non ci consegnano solo uno sguardo all’indietro, ma sono uno specchio che ci regala uno sguardo al nostro presente, che ci permette di vedere e guardare al nostro volto e, di più, al nostro cuore.
Occorre che ognuno di noi si specchi nel Vangelo, nel volto di Gesù! Bisogna tornare a quelle pagine, amarle, pregarle, mettersi alla loro scuola, lasciare che ci scalfiscano, ci convertano e ci ridiano forza e speranza. Una splendida occasione per farlo saranno le serate del nostro prossimo Quaresimale dal titolo “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Lettera ai Filippesi 2,5). Fede, speranza e carità nella Passione di Cristo. Perché questo è essere cristiani: cercare di vivere con lo stesso cuore, lo stesso sguardo di Gesù.

Uno sguardo che splende, sorprende e commuove in queste righe preziose tratte dal Vangelo di Luca (13,10-13): Stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C'era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
Sono profondamente grato alla pastora Lidia Maggi - che sarà con noi al Quaresimale nella serata dedicata alla speranza delle discepole nel Risorto - che così commenta queste righe:

Qui ci troviamo all’interno di uno spazio sacro dove entriamo in contatto con una donna invisibile, piegata, silente. Una donna piegata da tanto tempo: diciotto anni! E questa donna abita questo spazio sacro così: zitta e piegata. Assistiamo ad una guarigione ma a differenza di altre non è la donna a chiederla. Di solito le persone cercano di avvicinare Gesù, di vederlo, toccarlo, attirare la sua attenzione perché le guarisca; questa donna, invece, non pensa che la sua situazione possa essere diversa, cambiata. È rassegnata. Non è nemmeno in grado di verbalizzare il desiderio di una realtà diversa ed arriva ad un tale livello di accettazione della propria condizione che ritiene impossibile un cambiamento. Il futuro appare piegato e non riesce ad intravvedere qualcosa di diverso. Questa donna non chiede niente. Ma la bella notizia è che Gesù la vede! Di solito siamo abituati a un Gesù che, pressato dalle richieste, concede i suoi segni di senso, i suoi segni del regno. Ma qui la donna non chiede niente e Gesù la vede così com’è, come una persona che non è in grado di vedere una realtà diversa da quella che vede guardando a terra, a livello dei suoi piedi; una donna che non è in grado di relazionare pariteticamente con la realtà intorno, con la gente che le passa accanto. Gesù la vede. Il testo ci dice che, dopo averla vista, la chiama a sé e poi, all’interno di questo spazio sacro, le impone le mani. Facendo ciò le dice: Donna, tu sei liberata! È così che Gesù intende la guarigione: una liberazione. “Tu sei liberata dalla tua infermità”.

È così bello poter immaginare che sia stato Gesù a chinarsi verso di lei per poterla vederla negli occhi, per dirle tutto il suo affetto per poi rialzarla, guarendola. È come se quella donna avesse potuto finalmente guardarsi in uno specchio e ritrovarsi completamente diversa, liberata, sciolta. Per questo non poteva più tacere e il suo corpo risollevato poteva danzare.
Spesso capita anche a noi … anche alla nostra comunità pastorale … di essere “curvati verso il basso” per tante situazioni, paure, mancanza di speranza, delusioni, indifferenza, disimpegno … Gesù, il Maestro ci guarda, ci chiama, ci rialza e ci libera. Dovremmo fermarci e lasciarci guardare, dovremmo fermarci per sentire la sua voce che pronuncia il nostro nome.
Spero che capiti cosi a ognuno di noi in questa Quaresima! Un cammino che ci porta alla Pasqua, al giardino del Risorto. Un cammino che profuma di primavera su cui val la pena mettere i nostri passi, come ali di pettirosso …

Il pettirosso prova le sue ali.
Non conosce la via,
ma si mette in viaggio verso una primavera di cui ha udito parlare.

(Emily Dickinson)

don Mirko Bellora

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