|
IL CIELO COMINCIA RASOTERRA

novembre 2011
La liturgia cristiana nei primi due giorni di novembre ci consegna - direi che ci fa
uno straordinario dono - due occasioni impegnative per farci riflettere con profondità e intensità
sul cuore della vita, sul cuore della vita cristiana: la strada della felicità e il mistero della
morte.
Don Tonino Bello raccontò che mons. Mariano Magrassi, un tempo arcivescovo di Bari, agli inizi
dell’attività pastorale, si trovava in Francia e stava dettando la preghiera del "Padre
nostro" a bambine di una scuola elementare. Aveva già dettato, naturalmente in francese, la
frase "sia fatta la tua volontà" e, passando fra i banchi, notò che una ragazzina non
aveva scritto "que ta volonté soit faite", come avrebbe dovuto,
ma piuttosto "que ta volonté soit fête", che in francese suona
nello stesso modo. La frase allora prendeva questo significato: "che la tua volontà sia
festa". Al primo impulso di far notare l’errore seguì, come ispirazione, un moto di gioia che
esternò alle ragazzine spiegando che fare la volontà di Dio non deve ritenersi un subire, quanto
l’accogliere nella personale libertà i "comandamenti di Dio" giungendo alla gioia, alla
festa.
Forse è proprio questo il vero contenuto, il segreto della Solennità di Tutti i Santi e del giorno
della Commemorazione di Tutti i Defunti: che la festa non abbia fine e cominci già qui e
ora.
LA STRADA DELLA FELICITÀ
Mi ha sempre stregato questa festa, la festa di tutti quei santi anonimi che ci hanno
preceduto e che ci seguiranno. Per questo l’immagine di copertina mostra dei volti senza tratti
riconoscibili, intorno al’unico personaggio riconoscibile ovvero il Maestro Gesù di Nazareth. Come
direbbe p. Ermes Ronchi:
I santi anonimi sono i legislatori segreti della storia
e dopo di loro è più facile e più bello essere umani.
Santo è l’uomo esagerato, che non si arrende alla mediocrità.
Ama la vita, ma è innamorato dell’impossibile.
Chi di noi non conosce o ha conosciuto una di queste persone? Persone che abitano nel
Vangelo, abitate dal Vangelo, persone la cui speranza non dà mai niente di irrimediabilmente
perduto perché c’è sempre e ancora una porta che si può spalancare. Persone che mantengono intatta
la loro amabilità nonostante la durezza della vita. Persone capaci di dedizione infinita. Persone
appassionate e temerarie che sanno spostare i limiti più in là, che non si lasciano fermare da ciò
che ai più appare impossibile.
E sanno fare tutto questo, apparentemente in modo inspiegabile, nella gioia.
In fondo è proprio questa splendida certezza che ci vogliono ricordare, cioè riportare al nostro
cuore: la gioia è possibile. Qui e ora. Perché hai creduto e vissuto il Vangelo.
Tutto così diverso dalle parole pronunciate tanto tempo fa dal filosofo Friedrich Nietzsche:
Mentre il professor Antoine accompagnato
dal suo giovane amico Joel stava per attraversare la piazza deserta, una donna vestita di nero
usciva dalla Chiesa, tenendo per mano una bambinetta di otto anni forse. La donna era anziana o
stanca? Antoine discerneva male il suo viso. Comunque essa camminava con pena, leggermente ricurva,
nel grigiore del mattino. La bambina le veniva dietro Non si parlavano. Antoine si fermò un istante
a guardare quelle due forme evanescenti. Poi, volgendosi verso il suo giovane compagno, gli disse
con voce sorda: "Guarda bene, Joel. Ecco il cristianesimo! Una religione di vecchi e di
bambine. E' tetro e avanza lentamente, così lentamente che è in ritardo di secoli sul mondo che
vive.
Il cristianesimo ha svirilizzato l'uomo. I cristiani sono gente che ha paura e si annoia. Se
vuoi vivere, inventare, ridere, far avanzare il mondo, non lasciarti mai prendere dalla loro
dolciastra canzone.
Il sogno, l’invito della Solennità di Tutti i Santi è piuttosto che il nostro non
lanciarci nell'avventura di vivere secondo il Vangelo, secondo le Beatitudini - è rinunciare
alla felicità, alla pienezza della nostra umanità. Come ha scritto Bernanos:
I santi sono i più umani tra gli uomini.
Si sforzano di realizzare l’umanità nel miglior modo possibile,
si sforzano di avvicinarsi il più possibile a Gesù Cristo,
cioè a Colui che è stato perfettamente uomo.
Il Vangelo delle Beatitudini che ogni 1 novembre risentiamo, vuol far uscire allo
scoperto quel santo che c'è, nascosto, in ognuno di noi ... Dobbiamo lasciarlo crescere, dargli
spazio, senza paura.
E santo non è chi non sbaglia mai, santo è chi si rialza sempre.
Santo è chi, avendo fatto una profonda esperienza di Dio, della sua vicinanza, del suo perdono,
della preghiera, del Vangelo, dell'Eucarestia, della Chiesa, delle Beatitudini, non riesce più
a " difendersi" da Dio e dal prossimo. E lascia che entrino nella sua vita.
La nostra tristezza di tanti giorni, sembra dirci la liturgia, non dipende da ciò che non abbiamo
ma da ciò che non siamo, dalla santità appunto.
Le beatitudini compongono nove tratti del
volto di Cristo e del volto dell'uomo: fra quelle nove parole ce n'è una proclamata e
scritta per me, che devo individuare e realizzare, che ha in sé la forza di farmi più uomo, che
contiene la mia missione nel mondo e la mia felicità. Su di essa sono chiamato a fare il mio
percorso, a partire da me ma non per me, per un mondo che ha bisogno di esempi raccontabili, di
storie del bene che contrastino le storie del male, di cuori puri e liberi che si occupino della
felicità di qualcuno. E Dio si occuperà della loro: «Beati voi!». (Ermes Ronchi)
UNA SPERANZA NON MENO CHE ETERNA
La liturgia cristiana sa bene che sulla vita di ognuno passa sempre l'ombra della
croce.
Ed ecco allora che ci fa fermare in silenzio, di fronte alla morte, ai nostri morti, di fronte ai
quali un senso impotente di assenza, un'indicibile malinconia, una terribile nostalgia ci
prendono.
La morte è il problema di tutti, tocca tutti da vicino. E penso specialmente alle persone che hanno
avuto un dolore recente, a chi è colpito da un male incurabile...
E’ una strana esperienza andare al
cimitero per rendere visita a qualcuno che abbiamo amato. Si inizia con una passeggiata dolce e
indolente, quasi sognante, sino al momento in cui non è più possibile fare un solo passo in avanti
e ci si trova davanti a una lastra tombale come davanti a un ostacolo insormontabile. Ci si
appresta a incontrare qualcuno e non c’è nessuno, addirittura non c’è più nulla, come se la terra
fosse piatta e se ne fosse raggiunto per sbaglio il limitare. Davanti alla tomba di mio padre mi
sento come davanti a un muro, in fondo a una strada senza uscita. Non mi resta altro che lanciare
il mio cuore al di sopra, come fanno i bambini quando gettano il pallone al di là di un muro di
cinta, per il piacere un po’ ansioso, andando a riprenderlo, di penetrare in una proprietà
sconosciuta. Ignoro su quale ghiaia rimbalza il mio cuore quando lo lancio al di là di una tomba
più alta del cielo, ma so che questo gesto non è vano: nel giro di qualche secondo mi torna
indietro, colmo di gioia e fresco come il cuore di un passerotto appena nato. (Christian Bobin,
Resuscitare)
Un muro più alto del cielo: la morte. Noi, da soli, rimarremmo al di qui di quel muro,
fine di una strada senza via d’uscita. Anche se di fronte alla morte ci accorgiamo di essere così
impotenti, così fragili, così terribilmente sconfitti, dobbiamo fare in modo che le nostre lacrime
non siano senza speranza.
E quando verrà l’ora del timore
che chiuderà questi miei occhi umani,
aprimene, Signore, altri più grandi
per contemplare la tua immensa face,
e la morte mi sia un più gran nascere.
(Eugenio Montale)
Ai cristiani è chiesto di guardare la morte con questa fede, avendo negli occhi e nel
cuore la Pasqua di Gesù, la sua Croce, la sua Resurrezione, quel mattino in cui lasciò un sepolcro
vuoto. Per questo credono, contro ogni apparenza e contro ogni speranza, che l'amore, la vita
finiranno per prevalere sulla morte, credono che ci sia un appuntamento con la vita e la gioia. Per
sempre. Anche se le lacrime restano, ma possono diventare preghiera e speranza.
Un’eremita dei nostri tempi, morta nello scorso novembre, Adriana Zarri (1919-2010), ha scritto
questa epigrafe per la sua morte:
Non mi vestite di nero: / è triste e funebre.
Non mi vestite di bianco: / è superbo e retorico.
Vestitemi / a fiori gialli e rossi / e con ali di uccelli.
E tu, Signore, guarda le mie mani.
Forse c’è una corona.
Forse / ci hanno messo una croce.
Hanno sbagliato.
In mano ho foglie verdi / e sulla croce, / la tua resurrezione.
E, sulla tomba, / non mi mettete marmo freddo
con sopra le solite bugie / che consolano i vivi.
Lasciate solo la terra / che scriva, a primavera, / un’epigrafe d’erba.
E dirà / che ho vissuto, / che attendo.
E scriverà il mio nome e il tuo,
uniti come due bocche di papaveri.
Mi sono commosso leggendo … perché la fede nella resurrezione è più forte, perché la
fede è questione d’amante, è dare il tuo cuore e metterlo incondizionatamente nelle braccia di un
Altro. Perché, direbbe il filosofo Kierkegaard "Credere significa stare
sull’orlo dell’abisso oscuro, e udire una Voce che grida: Gèttati, ti prenderò fra le mie
braccia".
IL CIELO RASOTERRA
Il cielo comincia rasoterra. Non appena finisce la terra comincia il cielo. In ogni
luogo, a stretto contatto con la terra, c’è il cielo. L’uomo, questa creatura che sembra fatta di
nulla, destinato al nulla, confina con Dio … di più, è fatto insieme di terra e di cielo, è la
giusta mescolanza di finito e infinito. E allora non ci si dovrebbe mai accontentare solo di quello
che è a portata di mano, altrimenti che esiste a fare il cielo?
E proprio per questo il messaggio di questi due primi giorni di novembre è ad essere uomini e donne
che sappiano vivere questa duplice appartenenza al cielo al cielo e alla terra, nella certezza che
"la volontà di Dio è festa" e che siamo creati per la gioia, è ad essere uomini e donne
che nelle braccia di Dio danzano.

|
|