MIO SIGNORE E MIO DIO!


Una curiosa storia dell'antichità ci racconta di come una piccola imbarcazione di marinai greci navigasse nei pressi delle coste dell'Italia meridionale e di come improvvisamente si sentisse uno voce forte e dolente chiamare il nome del timoniere. Quando questi rispose, si sentì la medesima voce annunziare: il grande Pan è morto, il grande Pan è morto. Allora sulla barca si diffuse una paura, un turbamento grande, e ovunque si venisse a conoscenza del messaggio si vedevano gli uomini fuggire sgomenti e terrorizzati di fronte ad esso.
La storia è oscura e si presta o molteplici interpretazioni. Ma una cosa mi pare certa: essa è il risvolto pagano del messaggio del Venerdì Santo: Dio è morto, il mondo è senza Dio, è abbandonato da Dio. E lo sgomento e il turbamento degli uomini sono l'espressione della domanda terribile e spaventosa: che cosa avverrà ora?
Se Dio è morto, il mondo sembra dover crollare, sembra dover svanire nel non-senso. il mondo antico non ha conosciuto la risposta al grande lamento: "Il grande Pan è morto". La risposta l'ha data il messaggio cristiano della Pasqua. Il senso del messaggio della Pasqua è questo: Dio è la morte della morte, Dio vive e con lui vive anche Cristo. Dio ha pronunciato una parola decisiva sulla morte, l'ha annientata ha risuscitato Gesù Cristo.
(Dietrich Bonhoeffer, Lo straordinario si fa evento, Queriniana)

Un mondo che crolla, una speranza che svanisce, un amore interrotto ... tutto questo deve essere stata la morte di Gesù per i suoi discepoli.
Da qui la paura, il sentirsi come ingannati, stupidamente illusi ...
Tutto davvero sembrava finito, inghiottito da un sepolcro.
Ma la pietra è stata ribaltata dal sepolcro ... il sepolcro è vuoto ... ed esplode un annuncio: "Non abbiate paura! Gesù il crocefisso è risorto come aveva detto!"
E Gesù appare ai suoi discepoli, vivo.
Tutto il cuore della fede cristiana è qui: Gesù, il Crocefisso è vivo.
A ragione Paolo afferma: "Se Cristo non fosse risorto la nostra fede sarebbe vana".
Tutto crollerebbe: alla Pasqua è appesa la nostra fede, la nostra vita, la nostra gioia, la nostra speranza.
Così per i discepoli, così per noi oggi.

Continuiamo il nostro pellegrinaggio sulla via della gioia.
La quarta stazione è quella di S. Tommaso. La Chiesa la tiene in serbo per la domenica in Albis, alla fine della settimana delle apparizioni, per coloro che non fossero ancora convinti. Come ultima risorsa per convertirci alla gioia, per convincerci della Resurrezione, la Chiesa ha scelto il mezzo, l'argomento, il modello che più ci conveniva, uno che ci rassomiglia abbastanza per poterci affidare a lui: Tommaso il renitente, il dubbioso, il pessimista, colui che ha opposto l'ultima resistenza, quella dei realisti, dei pessimisti, di coloro che diffidano sempre quando le cose sono troppo belle.
Tommaso è un autentico uomo di oggi, un esistenzialista, uno che non crede che a ciò che.. tocca, un uomo che non vuole farsi illusioni, un pessimista coraggioso che acconsente, sì, ad affrontare il male, ma che non osa credere alla felicità. Per lui il peggio è sempre la cosa più sicura.
Ciò che ci commuove in Tommaso, ciò che ce lo fa sentire nostro fratello, nostro contemporaneo, è anzitutto la violenza della sua rivolta.
Da questo povero Tommaso dubitante e violento, Gesù ha tratto il più bell'atto di fede del Vangelo. Gesù l'ha amato tanto, l'ha trattato, curato, guarito con tanta dolcezza ... Tommaso è stato trasportato a un'altezza che nessuno degli altri aveva finora raggiunto. Folgorato, schiacciato, è caduto in ginocchio e ha detto: "Mio Sìgnore e mio Dio!"
(Louis Evély, Il Vangelo della gioia, Cittadella)

Tommaso personalizza il dubbio dei discepoli, il nostro dubbio, la nostra fatica di credere.
Quello di Tommaso è un dubbio molto serio perché evidenzia la libertà della fede, evidenzia che la fede è una scelta dell'intelligenza e una scelta del cuore.
Tommaso ci insegna che il dubbio non va rimosso, non va evitato, non va temuto, ma va vissuto, attraversato. Perché, come dice ironicamente Luciano De Crescenzo, "Solo gli imbecilli non hanno dubbi".
La fede cristiana non teme la ragione, anzi la chiede.

La fede e la ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità. (Giovanni Paolo Il, Fides et ratio)

Straordinario il commento di Paolo De Benedetti ai due ammonimenti della tradizione ebraica "Va' e studia" attribuito a Hillel il vecchio, e "Insegna alla tua lingua a dire: non so", Trattato delle Benedizioni, 4a:

Entrambe queste vie camminano nella direzione della conoscenza. E la seconda non solo non contraddice la prima: perché non è forse il "sapere di non sapere" il punto d'arrivo più alto di ogni processo conoscitivo e di ricerca? Ma non contraddice neppure la certezza di chi si collochi in una dimensione di fede: perché se la fede non è - come non deve essere - un bagaglio di cognizioni certe, e neppure la sottoscrizione di un certificato di appartenenza; bensì un atto di affidamento, un aprirsi all'ascolto, un disporsi all'obbedienza, allora dire "forse", balbettare "non so" può essere l'unica formulazione di parola umana che precede "I'eccomi" dato in risposta alla chiamata di Dio.

Ad un certo punto la ragione non basta.
Ad un certo punto occorre fidarsi, occorre rischiare, scommettere, affidarsi, occorre la fede. Come per Tommaso che è passato dall'incredulità all'estasi, dal dubbio alla certezza.
Per questo prego così per me e per voi:

Signore Gesù, oggi tu ci comunichi
che il vero miracolo è ... credere!
Aiuta questo cammino,
spesso contorto e tortuoso.
Fa' che possiamo camminare
in compagnia di Tommaso,
il nostro ... Dìdimo, il nostro gemello,
colui che non c'era.
Uno come noi.
Che non cade subito in ginocchio,
che non si fida.
Che resiste, ha dei dubbi e delle esitazioni.
Che rimane ostinatamente ad un livello terrestre...
Un tipo pesante.
Uno che ha bisogno, come noi,
della infinita pazienza tua.
Uno che tarda ad arrendersi.
Ma che proprio attraverso
questo lungo e tormentato pellegrinaggio, guidato dalla fede,
non vuole neppure più guardare né toccare,
e trova le parole più semplici,
per dire lo cosa più grande:
"Mio Signore e mio Dio!"
 

l'Informatore parrocchiale maggio 2001

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