DA UN PELLICANO
AL QUINTO EVANGELIO
Resurrezione ha nome
il nostro giorno
Ha vinto un povero, il servo fedele,
lui che pareva perduto per sempre.
Pure per noi sia Pasqua, Signore:
vieni ed entra nei nostri piccoli cenacoli,
abbiamo tutti e di tutto paura,
paura di credere, paura a non credere ...
Paura di essere liberi e grandi!
Vieni ed abbatti le porte dei cuori,
le diffidenze, i molti sospetti:
tutti cintati in antichi steccati!
Entra e ripeti ancora il saluto:
"Pace a tutti" perché sei Risorto.
... Che tutti vedano in noi il Risorto ...
(David Maria Turoldo)
Il canto di Turoldo "Cristo mia dolce rovina" ci ha accompagnato
durante la Quaresima e ora, nel tempo pasquale, ci accompagni quest'altro
suo canto: "Resurrezione ha nome il nostro giorno ... Che tutti vedano
in noi il Risorto".
Che tutti vedano in noi almeno un po' del Suo Spirito.
Del Suo Spirito, del senso della Pasqua, dei doni della Pasqua: l'Eucarestia
e la Chiesa (il quinto evangelio), della consegna della Pasqua ho voluto
raccontare in occasione dei ritiro (un momento di ascolto, silenzio riflessione,
confessione) proposto agli adulti la Domenica delle Palme.
Il SENSO
Nella piccola vetrata del transetto di destra della nostra
chiesa e sul lato dell'altare che guarda il sacerdote, è raffigurato
un pellicano. Questo uccello, quando nutre i suoi piccoli punta il becco
sul suo petto per poter far uscire più facilmente i pesci che porta
nella borsa sotto la gola e per questo le sue piume bianche spesso si arrossano
di sangue.
Da qui la leggenda antichissima secondo la quale il pellicano si lacera
il petto per dare vita e nutrimento ai suoi piccoli con il suo stesso sangue,
diventando simbolo dell'amore materno e paterno, diventando simbolo di
Cristo che per i "suoi piccoli" dà tutto, dà la sua vita.
Questo è il senso della Pasqua: una vita donato per noi. E una
vita donata non muore, come quella di Gesù.
Quando venite in questa nostra stupenda chiesa, guardate a lungo il
Crocefisso e insieme andate a cercare anche il pellicano... parlerà
al vostro cuore...
Il DONO
Nel ritiro con gli adulti ho voluto poi guardare con stupore
al grande dono della Pasqua: l'Eucarestia.
Ogni domenica noi celebriamo l'Eucarestia in memoria di quell'ultima,
indimenticabile cena di Gesù. E ogni domenica possiamo scegliere
se vivere il rito della Messa come pura cerimonia esteriore, come stanca
abitudine e tradizione oppure possiamo scegliere di vivere la Messa come
un rito che apre al Mistero, come un incontro reale e profondo con un Tu,
il nostro Signore Gesù Cristo e la sua Pasqua.
Nella sua lettera pastorale di qualche anno fa "Attirerò tutti
a Me", il nostro Cardinale Carlo Maria Martini scriveva così dell'Eucarestia:
L'Eucarestia, così
come è accolta nella fede della Chiesa, presenta un aspetto sorprendente,
che sconvolge l'intelligenza e commuove il cuore. Siamo di fronte a uno
di quei gesti abissali dell'amore di Dio, davanti ai quali l'unico atteggiamento
possibile dell'uomo è una resa adorante piena di sconfinata gratitudine.
E di fronte all'Eucarestia, così mi ha scritto nel
mese di ottobre il mio amico don Luigi Gaiani, parroco di Arcore:
Caro don Mirko, la
mia grande paura è quella di abituarsi al Mistero e di non patire
più lo strazio della distanza tra quanto ci è stato affidato
( ... l'incanto ... ) e quanto noi riusciamo a dire di noi stessi.
Tu lo sai, io ho sempre tremore quando dico messa,
prima di celebrare; e, dopo, mi pare di essermi tolto un incubo: "Sono
vivo ancora, eppure l'ho incontrato".
E poi la paura di non capire bene, di non essere
capace di dire quanto ci viene affidato, di parlare un'altra lingua, che
la gente sente così lontana dalla sua quotidiana realtà
L'essere fuori, alieni, in un certo senso e non
rendersene conto, pensare che tutto si gestisca così bene e facile,
che tutto proceda come per incanto,
Me lo dico sempre: "chissà se sono stato
capace di cogliere la situazione, di annunciare il Dono e di averlo fatto
gustare, se mi riesce a dare quel poco che faccia apparire la trasfigurazione
che Lui sta operando nel nostro povero cuore di preti".
Chissà ... ma il Signore non è
appena buono, nel senso che cerca anche di farci crescere e non lasciarci
sempre ai primi trepidi passi d'adolescenti per l'eternità.
... Tu conservati sempre giovane; un grande prete
di fede e di poesia quindi e di sana politica ...
L'Eucarestia: estasi e tormento ... per l'incredibile vicinanza
del Risorto, per l'abissale distanza della nostra risposta ...
Il QUINTO EVANGELIO
Del "quinto evangelio" così ci ha parlato
mons. Renato Corti nell'ultimo incontro del nostro Quaresimale:
è la nostra vita di uomini e di donne che, nel XX secolo
cercano di testimoniare Colui che hanno incontrato e nel quale hanno creduto.
Leggo nel romanzo di Mario Pomilio 'Il quinto evangelio' nel capitolo
La mappa del cielo, la citazione dagli 'Emolumenta fidei ' di Giustino
di Poitiers (VIII sec):
Si dice che all'interno dei quattro vangeli noti è come se ce
ne fosse uno ancora sconosciuto. Ma ogni volta che la fede accenna a rifiorire,
è segno che qualcuno ha intravisto quel Vangelo.
Trovo significativo questo testo perché dà evidenza al
fatto che il quinto evangelo non è un altro, rispetto ai quattro
che abbiamo ricevuto, ma è la percezione e l'assimilazione di ciò
che sta nascosto proprio in quei quattro. E' interessante anche quanto
viene tratto dal 'Fabulario' di Gerardo da Siena (XV sec): Rideva un
pagano dei cristiani perché osservavano un sol libro. Ma un santo
vescovo, che l'avea udito, gli contò questa novelletta: Una volta
un dottore incontrò il Cristo Gesù: Signore, io so bene che
tu fosti il Messia e quel che pronunziasti è pieno di sapienza.
Ma come può essere che un sol libro basti in etemo a tante gente?
Gli rispose Gesù: Gli è vero quel che dici. Ma tu non sai
che il popol mio lo riscrive ogni dì.
LA CONSEGNA
Egli mi prese nelle
sue mani.
Ringraziò il Padre.
Mi benedisse, mi spezzò, mi donò.
(Elena da Persico)
Questa è la consegna della Pasqua: una vita che si
deve fare dono e che facendosi dono non muore.
Come a dire cercare di vivere la logica della Pasqua dì Gesù,
quella di un amore senza misura ... come ci racconta mons. Tonino Bello:
Sono stato colpito
dalla scritta collocata sopra il Crocefisso ligneo della vostra splendida
chiesa (S.Bernardino di Molfetta):
CHARITAS SINE MODO
E' un latino semplice, che vuol dire: amore senza
limite. Anzi, per essere più fedeli alle parole, bisognerebbe tradurre
così: Amore senza moderazione. Smodato, sregolato. Amore senza freni,
senza misura, senza ritegno.
Volesse il cielo che, ogniqualvolta uscite dalla
chiesa, non vi sentiste affidare da Gesù Cristo nessun'altra consegna
che questa: Charitas sine modo. La misura dell'amore ... è quella
di amare senza misura.
l'Informatore parrocchiale, Aprile 1997

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