IL RESPIRO DELLA SPERANZA
maggio 2009
Lo racconto sempre: ho in casa una collezione di
gufi. Più di cinquecento. Ho cominciato a raccoglierli da quando ho letto questo
illuminante e splendido testo:
I gufi e le civette mi piacciono per i loro occhi.
Ah! quegli occhi enormi, occhi da icone! Molto prima di me, hanno letteralmente
affascinato i Bizantini. Con loro sono diventati gli occhi del Cristo
Pantocrator, quelli della Vergine, degli angeli e dei santi.
Bestemmia, sacrilegio? Via... Non vedete, o saggi,
non vedete, o assonnati dagli occhi cisposi, uomini e donne dagli occhietti
stretti e semichiusi, che Dio ha fatto gli occhi dei gufi e delle civette così
enormi affinché fossero occhi che vedono nella notte, quando le cose sono ciò
che sono e nient’altro?
Per scrutare le tenebre bisogna avere occhi
smisurati, gli occhi di Dio stesso.
Allora la notte diventa luce.
I gufi ... si ostinano a scrutare la notte con i
loro occhi rotondi, la notte delle cose, la notte di Dio. Sono là come
sentinelle in attesa, pazientemente appollaiate sulle loro fragili zampe, fino a
che si levi l’Altro Sole.
Mi trovavo un giorno in un celebre monastero
benedettino. Ebbi l’incredibile audacia di dire, di fronte alla comunità riunita
(un’impressionante e dignitosa massa nera): «Miei padri, se non diventerete come
gufi, non entrerete nel Regno...»
Ci fu un momento di silenzioso stupore. Poi vidi i
volti di quei cercatori di Dio ridere come stelle in inverno. Sapevano che avevo
ragione.
Non sono mai più tornato in quel monastero: a cosa
servirebbe? Non ho più niente da dire dal momento che tutti hanno capito che il
cammino era chiaramente quello: diventare uomini dagli occhi immensi. (Louis
Albert Lassus, Pregare è una festa)
I gufi mi hanno stregato - per questo ho voluto due
gufi nascosti sulla pala del nostro Battistero - perché nei loro occhi che sanno
vedere nel buio, che sanno vedere oltre, sta scritta indelebilmente la speranza.
Quella speranza che vacilla e crolla ai piedi della croce di Gesù, ai piedi di
tutte le nostre croci. Quella speranza che ci è donata largamente e
indistruttibilmente il mattino di Pasqua ai piedi di un sepolcro vuoto. Perché è
proprio Gesù risorto che genera, rigenera e sostiene ogni nostra speranza.
Quella speranza che desidero, con tutte le mie
forze, veder sbocciare, crescere, ricrescere sul volto, nel cuore e nella vita
di ogni persona che incontro, qualunque "tempesta" abbia dovuto attraversare e
affrontare.
UN RESPIRO
Ho letto che in greco speranza si dice hélpis,
in inglese hope, in tedesco Hoffnung, in olandese hoop ...
Tutto sta in quell'aspirazione iniziale, tutto sta in quel respiro, in quel
soffio perché la speranza, se è vera, è il respiro della vita. Se si smette di
respirare, si smette di vivere.
Chi non riesce ad avere questo respiro, chi vede
sempre e solo tutto nero, sembra ripiegare il cielo come un lenzuolo prima steso
al sole, si ferma a guardare solo a se stesso, così non si illumina più. Ha
perso il cielo, ha perso il respiro!
La mia speranza è come il battito del mio cuore,
a volte un po’ affannato, a volte un po’ più lento,
ma sempre presente come il respiro della mia vita.
Come quando dormo non mi accorgo di respirare,
così quando tutto è buio la speranza emerge in me
come un canto.
(Ernesto Olivero, Preghiere metropolitane)
UN ABITO DI FESTA
Il filosofo Paul Ricoeur usa un’immagine per
descrivere la speranza, dice così:
La speranza viene a noi vestita di stracci
perché le confezioniamo un abito di festa!
Ce lo narra continuamente il vangelo: la speranza è
nascosta in un piccolo granello di senapa che diventerà uno degli alberi più
grandi, in quel po’ di lievito che sa trasformare la pasta, in quei due pani e
cinque pesci che sfameranno migliaia di persone, è nascosta in una fanciulla che
dice sì ed eccomi al suo Dio, è nascosta nella fragilità e nell’impotenza di una
croce, dentro un po’ di pane e di vino.
La speranza è umile ma straordinariamente potente.
E sorprende sempre perché è quella inesauribile risorsa che ti permette di non
demordere quando tutti si arrendono, di inventare e trovare nuove strade, di
rialzarti continuamente, come un bambino che sta imparando a camminare … La
speranza è creativa.
Così p. Ermes Ronchi commenta l’immagine usata da
Ricoeur:
In questa immagine vede una speranza che viene
d’altrove, straniera, viene povera e bisognosa di noi, non ha in noi la sua
origine ma è messa nelle nostre mani perché l’aiutiamo a diventare la seduttrice
festosa di questa nostra epoca di disincanto. La sua caratteristica è di non
illuminare come un faro, semmai balugina come una stella. E’ sempre bambina con
un abitino di scampoli, che noi dobbiamo trasformare in abito da festa, in abito
da sposa.
La speranza è come l’amore: non è già fatta. Si fa.
Non è un vestito già confezionato, ma stoffa da tagliare e cucire. Non è un
appartamento "chiavi in mano", ma una casa da concepire, costruire, conservare
e, spesso, riparare.
UNA CORDA
La parola ebraica per dire speranza è tikvà,
che vuole anche dire "corda". L’ebraico muove sempre dalle cose concrete. È
bello che la speranza abbia un’anima di corda: essa trascina, lega e consente
nodi. Nella parola tikvà c’è il senso dell’essere legato a qualcuno e a
qualcosa che non lascia soli. Anche se non sempre la speranza mostra la sua
fibra resistente, è bello sapere che essa ha quella tenacia d’origine.
Mi piace pensare alla speranza come a una corda, a
dei legami … La vita va vissuta così, tenendosi per mano, sperando e sognando
insieme. Come narra Chagall nel quadro di copertina. Perché la speranza
ricomincia dall’altro, dal suo volto e ricomincia dall’Altro che è il nostro
Dio, dal suo volto. Ricomincia da mani che si stringono, da mani strette le une
nelle altre. Ricomincia e fa accadere l’impossibile! L’ho visto tante volte, in
tante persone, in tante situazioni. Lasciatemelo dire, il cristianesimo non è un
generico e banale ottimismo di fronte ai problemi ma è la forza che ti rimette
sempre in cammino su quella strada dove l’impossibile diventa possibile. Una
forza che ti viene incontro dal silenzio, dalla preghiera, dalla Parola,
dall’Eucarestia e che ti sanno trasmettere tutti gli uomini e le donne di
speranza.
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Un respiro, un abito, una corda … immagini per dire
la speranza, quella speranza che fa cambiare e danzare il mondo.
Danza la vita, danza la speranza.
Il mondo, spettatore distratto, ammutolisce
e incredulo osserva la danza dell'Utopia ...
E Dio guarda danzare.
E si commuove.
(Elisa Kidanè)

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