IL DIO DELLA GIOIA
febbraio 2009
Ha atteso pazientemente trent’anni. Più o meno.
Prima Gesù se ne stava "nascosto" tra la sua gente. Poi, racconta l’evangelista
Giovanni, si è mostrato, fatto conoscere, riconoscere. Il suo primo gesto
"straordinario", il suo primo "segno" fu a Cana, a una festa di nozze. Una festa
che, come quelle di quel tempo, durava parecchi giorni nell’ andirivieni degli
ospiti. Una festa che stava per concludersi tristemente perché non c’era più
vino. E’ questo il racconto evangelico che la liturgia
ambrosiana ci fa incontrare nella 2^ domenica dopo l’Epifania, ad anno appena
cominciato. Un racconto che narra degli occhi e dell’attenzione
speciale, premurosa di Maria, la madre di Gesù: è lei la prima ad accorgersi
della mancanza di vino. Una madre che, incurante delle risposte apparentemente
infastidite del figlio, invita i servi dicendo loro: "Fate quello che vi dirà".
Così le giare vengono riempite d’ acqua fino all’orlo: questo è quello che ha
chiesto Gesù. E da quelle giare viene attinto il miglior vino della festa,
inatteso e sorprendente. Un dono sovrabbondante, eccellente, perché una festa
non finisse.
Perché Gesù ha ceduto alle richieste di sua madre?
Perché l’acqua è stata tramutata in vino? Del resto, la festa stava per finire e
molto probabilmente tanti erano già brilli. E’ forse un miracolo inutile? Dove
sta il segreto, il senso della richiesta di Maria, del gesto di Gesù? Un miracolo non è solo un evento straordinario, è
anche e forse soprattutto un segno, cioè qualcosa che rimanda oltre, che rimanda
ad altro, che ci invita e spinge a guardare più a fondo. Questa pagina evangelica, come una finestra
spalancata, è una splendida parola su Gesù, su Dio Padre e anche su di noi. E’
una festa di nozze che ci consegna una nuova immagine di Dio.
Quand’ero bambino – racconta Shalom
Auslander nel suo libro "Il lamento del prepuzio" (Guanda, 2009) – i
miei genitori e i miei insegnanti mi raccontavano di un uomo che era
molto forte. MI dicevano che era capace di distruggere il mondo intero.
Mi dicevano che era capace di sollevare le montagne. Mi dicevano che era
capace di dividere le acque del mare. Era importante che tenessimo
quell’uomo di buon umore. Quando obbedivamo ai suoi comandamenti, gli
eravamo simpatici. Gli eravamo così simpatici che uccideva chiunque non
ci amasse. Ma quando non obbedivamo ai suoi comandamenti, non gli
eravamo simpatici. Ci odiava. Certi giorni ci odiava tanto da ucciderci;
altri giorni lasciava che ci uccidessero gli altri. Noi chiamiamo questi
giorni "giorni di festa". Purim è quando cercarono di ucciderci i
persiani. Pesah è quando cercarono di ucciderci gli egiziani. Chanukah
è quando cercarono di ucciderci i greci. … Forse non mi libererò mai di
questo Dio vendicativo che si è avvinghiato ai miei anni formativi, ma
posso portare mio figlio a una Terra Promessa dove non c’è alcun Dio.
E’ sicuramente una descrizione a dir poco
"irriverente" … ma nasconde quello che tanti pensano di Dio. Del resto pochi
giorni fa su un paio di autobus di Genova avrebbero voluto scrivere così:
La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona, è che non ne hai bisogno.
volendo comunicare con chiarezza l’idea che Dio non
solo non ci sia, ma che sia inutile. In fondo un Dio guastafeste, che "rema
contro" la felicità dell’uomo. Un’idea così lontana da Cana … dove Gesù era seduto
a un banchetto di nozze, ne condivideva la letizia, ne ha voluto moltiplicare la
gioia con quel vino eccellente e sorprendente.
Il segno, il simbolo delle nozze – spesso usato
nella Bibbia – racconta la relazione amorosa che Dio propone all’uomo, una
relazione gioiosa, per sempre. Il segno, il simbolo del vino, come per tutte le
feste umane, dice il desiderio di felicità, di allegrezza … è il vino della
gioia.
Questo miracolo-segno ci dice allora attraverso
questi due simboli splendidi – quello del banchetto e quello del vino – che Dio
è innamorato di noi; ci dice che Dio ha cura, ha premura per ciascuno di noi,
che Dio è per noi, che ci vuole vedere felici quaggiù; ci dice che Dio in
ogni Eucaristia vuole rendere bella e felice la nostra vita, belle e felici le
nostre famiglie, bello e felice il nostro mondo.
Il miracolo di Cana ci dice che Dio è felice quando
noi siamo felici. E ci vuole felici, liberi, già quaggiù, su questa terra. Come il profumo che Maria a Betania ha versato sul
capo di Gesù, così il vino di Cana sembra sprecato, in realtà è quel "di più"
che rende bella e straordinaria la vita, non è altro che la "sovrabbondanza
della gratuità". E’ questa la misura che il nostro Dio usa con noi, la
sovrabbondanza, l’eccedenza. Perché il nostro Dio dialoga con l’uomo nei larghi
spazi della bellezza e dell’amore, non dell’angustia dei soli diritti e doveri. Quello di Cana è un Dio che piacerebbe anche al
filosofo Nietzsche, che una volta ha espresso così il suo sogno:
Potrei credere solo in un Dio che sappia danzare!
E quale migliore danza di un banchetto di nozze?
E’ l’intuizione di Nikos Kazantzakis, ne
"L’ultima tentazione", che volendo esprimere tutta la passione per la vita
che Gesù portava dentro di sé, gli fa dire:
Farisei, fratelli, non sono un profeta, sono un fidanzato
Quello di Cana non è un Dio guastafeste, non è un
Dio concorrente dell’uomo. Tutt’ altro. Come si dice in questo racconto:
Francesco d’Assisi, piangendo, disse un giorno a Gesù:
Amo il sole, amo le stelle,
amo Chiara e le sorelle;
amo il cuore degli uomini,
amo tutte le cose belle …
O Signore, mi devi perdonare,
perché te solo vorrei amare.
Sorridendo Gesù gli rispose:
Amo il sole, amo le stelle,
amo Chiara e le sorelle;
amo il cuore degli uomini,
amo tutte le cose belle …
O Francesco, non devi piangere più,
perché io amo ciò che ami tu.
A Cana i discepoli di Gesù gli credettero. E lo
seguirono.Oggi, Gesù chiede anche a noi di riempire d’acqua fino all’orlo le
nostre giare, ci chiede di fidarci di Lui, ci chiede di diventare a nostra volta
non guastafeste ma "porta-feste"
Antipatici e musi lunghi, non bussate alla porta del paradiso lì non ci
entrate! (Josè Maria Escrivà)
Oggi Gesù chiede anche a noi di essere cercatori
instancabili, testardi, mai rassegnati, di felicità per tutti.

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