GLI SI GETTO’ AL COLLO

Voglio bene al prodigo … E’ la nostra
storia, quella di ogni allontanamento, di ogni esilio, di ogni
ritorno.
(don Primo Mazzolari)
Il più giovane disse ...
La parabola del Padre misericordioso narrata da Luca
al cap. 15 ci accompagnerà anche questo mese: a ottobre vi
ho raccontato del Padre prodigo di misericordia, oggi guardiamo
insieme al figlio più giovane della parabola. Quello che
con perentorietà dice al padre: «
Dammi la parte di beni che mi spetta».
Quello che parte, che fugge via, lontano dal
Padre, dall’appartenenza a lui, forse perché lo
sente come un nemico, come un padrone. Quello che se ne va per
cercare libertà, autonomia, felicità. Come diceva
qualche decennio fa Simone de Beauvoir: «
Ho lasciato Dio perché mi rubava la
terra» …
In questa meditazione ad alta voce mi farò
aiutare da H.J.M. Nouwen, come nel mese scorso, e da p. Marko I.
Rupnik, che abbiamo conosciuto nel nostro quaresimale di
marzo.
Sono il figlio prodigo ogni volta che
cerco l’amore incondizionato dove non può essere
trovato. Perché continuo a ignorare il luogo del vero
amore e persisto nel cercarlo altrove? Perché continuo ad
andarmene da casa dove sono chiamato figlio di Dio, il prediletto
di mio Padre? … E’ quasi come se volessi dimostrare
a me stesso e al mio mondo che non ho bisogno dell’amore di
Dio, che posso costruirmi una vita tutta mia, che voglio essere
del tutto indipendente. Sotto tutto questo c’è la
grande ribellione, il «no» radicale all’amore
del Padre.
(Nouwen, L’abbraccio benedicente,
ed. Queriniana)
Qui comincia la grande avventura del figlio. Ma
quale ironia ci consegna la parabola! Il figlio se ne è
andato perché sentiva il padre come padrone, voleva essere
lui il «padrone» della sua vita, delle sue sostanze,
voleva una nuova identità. Ma tutto questo si conclude con
la perdita di quei beni tanto desiderati. A casa, dal padre, si
sentiva schiavo, adesso lo è veramente.
Allora rientrò in se stesso
Il figlio ha perduto tutto, tutto si è
«sbriciolato» fra le sue mani. E allora:
Adesso comincia a
sentire la nostalgia del donatore. Se prima ha fissato lo sguardo
sulle cose dimenticando il donatore, adesso inizia a provare la
nostalgia proprio di qualcuno che gli dia le cose.
(Rupnik, Gli si gettò al collo, ed.
Lipa)
Allora rientrò in se stesso …
Quella della coscienza è un’avventura
difficile, inquietante, ma esaltante. Senza questa vicenda non si
cresce, non si diventa uomini liberi. E spesso l’esperienza
di Dio, della sua paternità, passa
«fatalmente» attraverso la sua negazione …
E’ proprio questo il cammino del figlio: rientra nel suo
cuore, riconosce il proprio fallimento e, nel cuore, si ritrova
di fronte al padre. E’ il primo passo della salvezza.
Entrare realmente in se stessi vuol
dire entrare nell’amore, trovarsi di fronte all’Altro
che ti ama.
Entrare in se stessi significa entrare nel cuore, anzi scoprire
il cuore e trovarsi di fronte a un Padre misericordioso che non
tradisce, ma che ti guarda con un amore perenne.
(Rupnik)
L’abbraccio
Il figlio ritorna così sui suoi passi,
ritorna dal Padre.
E il Padre, vedendolo arrivare quando era ancora lontano, gli
corre incontro, gli si getta al collo, lo bacia. Commosso.
Non dà al figlio neppure il tempo di scusarsi, di
pronunciare qualche timida parola … Perché
l’amore attende sempre, non conosce la lontananza e lo
sguardo dell’amore sa vedere lontano e in
profondità, anche nella notte, nella notte del cuore.
Perché l’amore sa perdonare.
Dio non ha mai ritirato le sue braccia, non ha
mai rifiutato la sua benedizione, non ha mai smesso di
considerare suo figlio come il prediletto.
Ma il padre non poteva costringere il figlio a rimanere a casa.
Non poteva imporre con la forza il suo amore al prediletto.
Doveva lasciarlo andare in libertà, anche se sapeva il
dolore che ciò avrebbe causato sia al figlio che a se
stesso.
E’ stato l’amore a impedirgli di trattenere il
figlio a casa a tutti i costi. E’ stato l’amore a
consentirgli di lasciare che il figlio vivesse la sua vita, anche
a rischio di perderlo.
Qui si svela il mistero della mia esistenza. Sono amato a tal
punto che mi lascia libero di andarmene da casa.
La benedizione c’è fin dall’inizio. Il Padre
continua a cercarmi con le braccia tese per accogliermi di nuovo
e sussurrarmi ancora all’orecchio:
‘Tu sei il mio figlio prediletto.
(Nouwen)
Siamo soliti pensare che sia
l’uomo a cercare Dio: questa meravigliosa parabola rovescia
i nostri pensieri.
E’ il Padre che corre incontro, che getta le sue braccia
al collo del figlio, che «dimentica» il passato, che
spalanca a un nuovo futuro il figlio.
Perché l’amore compie il miracolo del radicale
cambiamento.
In questo ‘gli si gettò al collo’ del Padre si consumano
la storia di Dio e la storia dell’uomo. (Rupnik)
*****
Mentre leggo la parabola mi ritrovo
anch’io, quasi senza accorgermene, nelle braccia del
Padre.
dall'Informatore Parrocchiale - novembre 1998
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