UN CREDENTE “ATEO”

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A volte ho percepito che i non credenti sono più esigenti di molti credenti, e il loro essere senza Dio manifesta una passione per Dio, una concezione più alta e più intensa di quella di molti cristiani che non cercano veramente Dio e pensano di averlo trovato per sempre. Ignazio Silone, a chi gli chiedeva perché avesse abbandonato la chiesa, rispondeva che «si era stancato di stare con cristiani che dicevano di attendere Gesù Cristo e la resurrezione ma poi l’aspettavano con la stessa indifferenza con cui si aspetta un tram» ...

(Enzo Bianchi, Da forestiero, Piemme)

Parole sferzanti, infastidenti ... le ho scelte per riannodare i fili della parabola del «figliol prodigo» raccontata da Luca al cap. 15. Vi ho già parlato del Padre e del figlio minore, adesso è la volta del figlio maggiore che un po’ tutti descrivono come un rimando al cristiano «praticante».
E’ con lui, col figlio maggiore che «abita» in noi, che una volta o l’altra dovremo «fare i conti». Magari in questa Quaresima. Sapendo che la conversione più difficile da attuare, come ci comunica la parabola, è la conversione di colui che «sta a casa».
Sentite come viene descritto il figlio maggiore da alcuni «maestri»:

Quella di Luca è «La parabola dei figli perduti». Non si è perduto soltanto il figlio più giovane, che se n’è andato da casa per cercare libertà e felicità in un paese lontano, ma anche quello che è rimasto. Esteriormente faceva tutte le cose che si suppone faccia un bravo figlio, ma, interiormente, si era allontanato da suo padre.
Faceva il proprio dovere, lavorava sodo ogni giorno e adempiva tutti i suoi obblighi, ma era diventato sempre più infelice e meno libero.
L’obbedienza e il dovere sono diventati un peso e il servizio è una schiavitù.
Il figlio maggiore è diventato un forestiero in casa sua. Non c’è più autentica comunione.

(Henri J.M. Nouwen, L’abbraccio benedicente, Queriniana)

Il figlio maggiore è un’immagine sorprendentemente contraddittoria: è infatti un «credente» ateo. Sembra un uomo religioso, ma in effetti non crede. ... Ha vissuto a casa come un servo, estraneo ai sentimenti del padre. (Marko I. Rupnik, Gli si gettò al collo, Lipa)

Si convive con Dio come uno dei tanti feticci dell’esistenza, senza lasciarsi in nulla segnare o trasformare da Lui: è la condizione che la parabola della misericordia del Padre esprime attraverso la figura del figlio maggiore, quello restato a casa che, dopo tanti anni di convivenza col padre, è incapace di comprenderne la logica di amore e di perdono. Prigioniero della sua solitudine e schiavo dei suoi interessi («non mi hai dato mai un capretto!), il figlio maggiore non è meno lontano dal padre del figlio andato via di casa: la vicinanza fisica non è vicinanza del cuore. Si può ritornare a parlare di Dio, ma non incontrarLo e non farne alcuna esperienza profonda e vivificante.

(Carlo M. Martini, Ritorno al Padre di tutti,
Centro Ambrosiano)

Insomma, una fede, una religione, senza passione, senza amore, senza gioia, senza fiducia.
Una fede, una religione di chi si sente a posto, di chi si sente un arrivato, di chi non si sente più di cercare. Nei rapporti con Dio e con il prossimo.
Una fede, una religione del sì ma non troppo, dei corti desideri, delle speranze dal fiato corto, della carità misurata ...
Una fede, una religione che «tingono» solo un po’ la nostra vita quotidiana.

A differenza delle fiabe, la parabola non si chiude con una pagina a lieto fine. Ci lascia invece faccia a faccia con una delle scelte spirituali più difficili della vita: fidarsi o non fidarsi dell’amore di Dio che tutto perdona. Soltanto io posso fare questa scelta.

(Nouwen)

Ciò che ci deve rimanere impresso nel cuore è il gesto splendido, tenero, commovente del padre della parabola: anche questa volta è lui ad uscire di casa e a pregare dolcemente il figlio maggiore di entrare alla festa, di entrare nell’amore, nel Suo amore.
E’ questo invito forte e dolce che il Signore rivolge a noi in questa Quaresima.
La parabola di Luca ci chiama - quasi ci «costringe» - a verificare, a riscoprire, a lasciarsi «sorprendere» dal vero volto di Dio, Padre di tutti e per tutti, un Dio dalle «viscere materne».
Il figlio maggiore è chiamato a misurarsi con questo volto nel momento della «lotta» col fratello: è lì che sono uscite allo scoperto la sua indifferenza verso il Padre, la sua invidia verso il fratello.
Sono queste le due grandi e inscindibili conversioni che devono compiersi nel cuore del figlio maggiore: quella a Dio e quella ai fratelli.
Se riuscirà in questo cammino non si sentirà più «servo» ma figlio amato, atteso, cercato, perdonato. Le sue scelte, i suoi gesti non saranno più obblighi soffocanti o tristi abitudini ma saranno scelte e gesti pieni di libertà e di amore.
E non si sentirà più «rancoroso», incapace di rapporto col fratello:

La verifica sicura dell’adesione al padre rimane la scoperta dei fratelli. Le religioni cercano di scolpire nel mondo il volto del loro dio; la parabola ci dice che è credibile il volto dei figli che riconoscono i fratelli. (Rupnik)

Così per il figlio maggiore della parabola, così per il figlio maggiore nascosto in ognuno di noi.
Buona Quaresima!

Don Mirko
dall'Informatore Parrocchiale - marzo 1999
 

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