UN CREDENTE “ATEO”![]() A volte ho percepito che i non credenti sono
più esigenti di molti credenti, e il loro essere senza Dio
manifesta una passione per Dio, una concezione più alta e
più intensa di quella di molti cristiani che non cercano
veramente Dio e pensano di averlo trovato per sempre. Ignazio
Silone, a chi gli chiedeva perché avesse abbandonato la
chiesa, rispondeva che «si era stancato di stare con
cristiani che dicevano di attendere Gesù Cristo e la
resurrezione ma poi l’aspettavano con la stessa
indifferenza con cui si aspetta un tram» ... Parole sferzanti, infastidenti ... le ho scelte per
riannodare i fili della parabola del «figliol
prodigo» raccontata da Luca al cap. 15. Vi ho già
parlato del Padre e del figlio minore, adesso è la volta
del figlio maggiore che un po’ tutti descrivono come un
rimando al cristiano «praticante». Quella di Luca è «La parabola dei figli
perduti». Non si è perduto soltanto il figlio
più giovane, che se n’è andato da casa per
cercare libertà e felicità in un paese lontano, ma
anche quello che è rimasto. Esteriormente faceva tutte le
cose che si suppone faccia un bravo figlio, ma, interiormente, si
era allontanato da suo padre. Il figlio maggiore è un’immagine
sorprendentemente contraddittoria: è infatti un
«credente» ateo. Sembra un uomo religioso, ma in
effetti non crede. ... Ha vissuto a casa come un servo, estraneo
ai sentimenti del padre. (Marko I. Rupnik, Gli si gettò al
collo, Lipa) Si convive con Dio come uno dei tanti feticci
dell’esistenza, senza lasciarsi in nulla segnare o
trasformare da Lui: è la condizione che la parabola della
misericordia del Padre esprime attraverso la figura del figlio
maggiore, quello restato a casa che, dopo tanti anni di
convivenza col padre, è incapace di comprenderne la logica
di amore e di perdono. Prigioniero della sua solitudine e schiavo
dei suoi interessi («non mi hai dato mai un capretto!), il
figlio maggiore non è meno lontano dal padre del figlio
andato via di casa: la vicinanza fisica non è vicinanza
del cuore. Si può ritornare a parlare di Dio, ma non
incontrarLo e non farne alcuna esperienza profonda e
vivificante. Centro Ambrosiano) Insomma, una fede, una religione, senza passione,
senza amore, senza gioia, senza fiducia. A differenza delle fiabe, la parabola non si chiude
con una pagina a lieto fine. Ci lascia invece faccia a faccia con
una delle scelte spirituali più difficili della vita:
fidarsi o non fidarsi dell’amore di Dio che tutto perdona.
Soltanto io posso fare questa scelta. Ciò che ci deve rimanere impresso nel cuore
è il gesto splendido, tenero, commovente del padre della
parabola: anche questa volta è lui ad uscire di casa e a
pregare dolcemente il figlio maggiore di entrare alla festa, di
entrare nell’amore, nel Suo amore. Don Mirko |
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