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ALLA SCUOLA DEL MALATO
In punta di piedi

febbraio 2006 riga

In occasione della

14^ GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
11 febbraio 2006


Alla fine di febbraio del 2005 sono stato invitato dall’associazione Oftal a tenere una riflessione sul perdono. Avrei dovuto parlare prima della signora Bianca Galli, moglie del magistrato Guido Galli giustiziato dal gruppo di fuoco "Prima Linea", il 19 marzo 1980, festa del papà.
E’ stato uno splendido incontro. Ho provato timore e tremore … Mi sentivo tanto piccolo accanto a tanto ingiusto dolore … Mi sono allora avvicinato alla proposta evangelica del perdono in punta di piedi, sottovoce, ricordando un film che avevo appena visto "Mare dentro". Storia vera, storia lacerante e dura di Ramon, un uomo tetraplegico da molti anni che chiede l’eutanasia. Nel film prende parola un sacerdote anche lui tetraplegico che richiama con forza il valore della vita come dono di Dio, che emette giudizi su quest’uomo, sulla sua famiglia. La cognata che amorevolmente si prende cura di Ramon da tantissimi anni, in un dialogo col sacerdote dice così: io non so chi di voi due ha ragione su Dio, sulla vita, sulla morte, ma una cosa so, che lei ha la bocca troppo larga …
E’ il rischio di tanti di noi, di tanti cristiani e non, di tanti preti e non: pretendere di avere la verità in tasca, soprattutto sulle questioni più importanti … come ad esempio di fronte alla malattia, alla sofferenza.
Ha detto il cardinal Veuillot, sul letto d’ospedale durante la malattia che l’ha costretto alla morte:

Sappiamo pronunciare belle frasi sulla malattia.
Io stesso ne ho parlato con calore.
Dite ai preti di non dire niente: noi ignoriamo quello che è.
Ne ho pianto.

Mi permetto tre appunti, in punta di piedi, su come un cristiano, un sacerdote dovrebbe avvicinarsi a un ammalato.

Vivere una presenza

Una bambina torna dalla casa di una vicina alla quale era appena morta in modo tragico una figlioletta di otto anni. "Perchè sei andata?", le domanda il padre. "Per consolare quella mamma".
"E che potevi fare tu, così piccola, per consolarla?".
"Le sono salita in grembo e ho pianto con lei".

Chi accosta un ammalato deve saper vivere una presenza, una compagnia, una condivisione. Una presenza carica di timore e di senso del mistero perché Là dove c’è il dolore, il suolo è sacro. (Oscar Wilde)

Occorre che guardiamo a lungo i nostri malati con gli occhi di Gesù perché la storia di un uomo è scritta nella pupilla del suo occhio.
Di solito davanti ai malati ci chiediamo: "Cosa posso dare o fare?" ma la vera domanda da porsi è: "Chi posso essere per il malato?".
I doni migliori sono quelli con cui esprimiamo la nostra umanità: amicizia, bontà, pazienza, gioia, perdono, gentilezza, amore, speranza, fiducia … silenzio … contatto fisico … carezza, bacio, abbraccio …

Accompagnare una lotta

Anzitutto nessuna apologia della sofferenza: a nessuno piace soffrire; occorre togliere ogni misticismo melenso del dolore, quasi fosse bello soffrire; nessuno vuole soffrire, nessuno dovrebbe soffrire.
Neppure Gesù voleva soffrire: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice" (Lc 22,42). Gesù, piuttosto, ha guarito e può guarire.
Occorre lottare contro la sofferenza, la malattia, occorre cercare di liberarsi dal dolore, occorre lottare per la guarigione, per la vita sempre e per tutti.

Il protagonista che si era fatto visitare dal medico, lo scopre per caso nel momento in cui si sta drogando, praticandosi un’ iniezione di morfina. Il medico si giustifica dicendo: "In fondo io chiedo alla morfina quello che voi chiedete alla preghiera: l’oblio". Il curato rispose: "Scusate, alla preghiera io non domando l’oblio ma la forza". (Bernanos, Diario di un curato di campagna)

Cristo risorto, ci dona il suo Spirito, la sua forza, ci regala addirittura una Sacramento - l’ Olio degli Infermi - perché ciascuno di noi sappia lottare, ricominciare da capo, andare sempre avanti, lottando fino la morte.
Anche il cristiano non conosce alcuna strada che aggiri il dolore ma piuttosto una strada - insieme con Dio - che l’ attraversi.
Occorre pregare tanto … guardare a lungo il Crocefisso … mangiare spesso l’Eucarestia … per non perdere la speranza.
Sapendo che "La preghiera è guarigione: non dal male ma dalla disperazione" (Giuseppe Pontiggia, Nati due volte)
Si prega, si ama, si aspetta, si spera: si vive giorno per giorno nella speranza, nell’attesa della Sua venuta, con lo stile insegnatoci da Martin Lutero che ha detto:

Se anche mi dicessero che domani è la fine del mondo,
io non rinuncerei a piantare un melo.

Imparare e insegnare un abbandono

Il Signore non ci toglie il dolore, non ci libera dalla morte.
Il Signore promette soltanto che Lui è presente anche nella sofferenza e nel dolore e nella morte.
L’ha capito bene una donna:

Nella chiesa vuota, un prete notò una donna che stava seduta con la testa tra le mani.
Trascorse un’ora, poi due, e lei era ancora lì.
Pensando di avere a che fare con un’anima in crisi e desideroso di recarle conforto, egli si avvicinò alla donna e disse: "Posso esserle di aiuto?"
"No, grazie, Padre" rispose, "sto già ricevendo tutto l’aiuto di cui ho bisogno".
(A. De Mello, La preghiera della rana)

Quando non si riesce a guarire, occorre vivere il nostro dolore, la nostra sofferenza con Gesù di Nazareth, il Crocefisso risorto.
Occorre vivere il dolore con Gesù e come Gesù, abbandonandosi al Padre, pregando tutti i giorni:

Resta con noi Signore perché si fa sera

pregando ogni giorno Maria:

Prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

E sapendo che le nostre lacrime non cadono per terra ma in cielo, e vanno a finire nel grembo di Dio.
Resti vero per noi questo incantevole invito:

Sii come un uccello che sente tremare il ramo
ma continua a cantare sapendo di avere le ali

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