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TRA CAREZZE E GRAFFI

Arcobaleno (29K)

Nelle mani l'arcobaleno  marzo 2023
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TRA CAREZZE E GRAFFI

Un giovane monaco chiese a un padre del deserto: “Abba, dimmi qual è l’opera più difficile del monaco” e l’altro rispose: “Dimmi tu quale pensi che sia”. Il giovane monaco disse: “Forse la vita comune”, ma l’abba rispose: “No, no, figliolo prima o poi gli uomini, per cattivi che siano, a forza di stare insieme, si vogliono bene”. Il giovane monaco riprese: “Forse la castità?” “No, figliolo, tu senti la castità come un problema grosso perché hai vent’anni, ma aspetta ancora qualche anno e tutto declinerà, tutto si acquieterà”. “Forse la teologia, studiare Dio, parlare di Dio?”. “No, figliolo, guardati intorno: quanti ecclesiastici parlano di Dio dalla mattina alla sera! È tanto facile parlare di Dio!”. “A questo punto dimmelo tu, abba, qual è l’opera più difficile del monaco!”. Gli rispose: “È pregare, pregare dando del tu a Dio, dirgli Padre”.

Forse anche per ciascuno di noi che non siamo monaci è così: pregare è difficile.
Perché la preghiera è molto più che parole.
È lacrime. E canto.
È paura. E speranza.
È chiedere. E sognare.
È il silenzio di Dio. E il nostro.
È estasi. E tormento.
È certezza di essere amati. E dubbio.
È lotta con Dio. E abbandono confidente.
È desiderio di vita. E forza di cambiamento.
È carezza. E scalpello che dà forma al volto e al cuore.
È passione per il cielo. E attaccamento alla terra.
È dare del Tu a Dio.

Così papa Giovanni XXIII raccontava:
Quando avevo sette anni, mio padre, dal paese di Sotto il Monte, mi volle portare a un paese vicino, dove si celebrava una festa dell’Azione Cattolica. Per strada mi stancai … E mio padre mi mise sulle sue spalle. Giunti alla festa, essendo piccolo e la folla grande, non riuscivo a vedere un bel niente. Che feci? Tirai il papà per la giacca … E mio padre mi mise nuovamente sulle sue spalle. Ero veramente felice: dall’alto potevo vedere tutto!
Sono passati settant’anni e quel gesto di mio padre me lo ricordo ancora. Anzi, per me è diventato un simbolo meraviglioso. Faccio ancora così, quando sono stanco e ci vedo poco: mi faccio portare dal padre Celeste!

Pregando, lasciamoci portare dal nostro Dio che ha braccia di Padre e carezze di madre. E soffio di vita che fa fiorire e rifiorire. Nascere e rinascere.

Spesso però per noi pregare equivale quasi unicamente a chiedere …

Per Gesù no: pregare equivale a evocare dei volti: quello del Padre e quello di un amico. Nella preghiera di Gesù l’uomo si interessa della causa di Dio (il nome, il regno, la volontà) e Dio si interessa della causa dell’uomo (il pane, il perdono, il male), ognuno è per l’altro. E imparo a pregare senza mai dire io, senza mai dire mio, ma sempre Tu e nostro: il tuo Nome, il nostro pane, Tu dona, Tu perdona. Il Padre Nostro mi vieta di chiedere solo per me: il pane per me è un fatto materiale, il pane per mio fratello è un fatto spirituale (Berdiaev)
Pregare cambia la storia.
Il Padre Nostro non va solo recitato, va sillabato ogni giorno di nuovo, sulle ginocchia della vita: nelle carezze della gioia, nel graffio delle spine, nella fame dei fratelli. Bisogna avere molta fame di vita per pregare bene. Fame di Dio, perché nella preghiera non ottengo delle cose, ottengo Dio stesso. Un Dio che intreccia il suo respiro con il mio, che mescola le sue lacrime con le mie, che chiede solo di lasciarlo essere amico. (Ermes Ronchi)

Vivere è amare. E amare è già pregare.
Non si finisce mai di imparare ad amare.
Non si finisce mai di imparare a pregare.

don Mirko Bellora

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