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TE HOMINEM LAUDAMUS

Chagall_ Il_tempo

Chagall - Il tempo è un fiume senza sponde (1933-39) gennaio 2021
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TE HOMINEM LAUDAMUS

Nel gennaio 2010, quando ero a Vimercate solo da qualche mese, scrivevo così sull’informatore parrocchiale:

La scrittrice francese Marie Noël in un suo racconto immagina che la sera di S. Silvestro, durante l’ultima grande guerra, i cristiani di un piccolo paese si radunino in chiesa, ciascuno portando il peso di una sofferenza non lieve. Eppure tutti insieme sentono il bisogno di lodare Dio e cantare il “Te Deum laudamus” (lodiamo Te o Dio) per tutte le grazie e i benefici ricevuti durante l’anno. Dio li vede dall’alto e, commosso, chiama a raccolta gli angeli e i santi invitandoli a cantare insieme:   “Te hominem laudamus”  (lodiamo te, o uomo).
Mi sono commosso alla lettura di questo brano … Anch’io immagino il nostro Dio così … un Dio che ci guarda, piange, sorride e spera con noi, ci fa i complimenti, ci accarezza, ci consola, ci sostiene, ci rinfranca e insieme ci sospinge più avanti. Sogna per noi, su di noi, con noi.

Prepotentemente mi sono tornate alla mente e al cuore queste parole, ancora più vere in questo anno veramente terribile e per tantissimi una prova durissima con tutto il suo carico di morte, di dolore, di paura, di incertezza, di impotenza, ma anche straricco di generosità e dedizione nel prendersi cura di tante persone. Le ho volute ripetere, con la stessa commozione, nella S. Messa dell’ultimo giorno del 2020, certo che il nostro Dio canti il suo “Te hominem laudamus”!

Nell’anno della pandemia ci siamo scoperti tutti più fragili e la sicurezza o la presunzione di poter dominare la nostra vita è fuggita via dalle nostre mani … Ci siamo come sentiti rapinati delle persone che abbiamo perduto, del lavoro, degli abbracci, dei rapporti di amicizia, della vita sociale, della vita parrocchiale, della festa … senza dimenticare che purtroppo in larga parte del mondo spesso è così sempre.  Spero che tutto questo ci possa spingere a nuove riflessioni, a nuovi sguardi, a nuovi punti di vista e alla capacità di trasformarci e di inventare e di costruire nuove vie del bene .
Abbiamo spesso pensato che abbiamo o non abbiamo tempo, ma forse il cammino interiore che ognuno di noi è chiamato a compiere è rendersi conto che il tempo non è nostro e che noi “siamo tempo”: il tempo che dedichiamo alle persone, al bene, dice chi siamo, chi vogliamo e desideriamo essere, dice ciò che crediamo. Il tempo è lo splendido regalo fatto alla nostra libertà, nel tempo decliniamo e “giochiamo” la nostra libertà.

Non dire che non hai abbastanza tempo.
Hai esattamente lo stesso numero di ore al giorno che hanno avuto
Pasteur, Michelangelo, Madre Teresa, Leonardo da Vinci e Albert Einstein.

Per riflettere sul tempo ho scelto un pittore e un poeta.
Il pittore è Marc Chagall con il suo quadro Il tempo è un fiume senza sponde (1933-39) che ho sceltocome immagine di copertina. Così lo descrive e spiega suor Gloria Riva:

«Immerso nel blu del mistero campeggia un pendolo, segno dello scorrere del tempo; nelle acque del fiume una barca a remi è condotta da un uomo solitario e, dall’altra parte, una coppia amoreggia sulle rive: siamo noi, tutti noi con i nostri affanni e i nostri amori, quasi incuranti degli incendi di persecuzione che rinfocolano qua e là. Ad avvertirci del fuoco che divampa è il grosso pesce sopra il pendolo, Cristo stesso, le cui pinne sono ali infuocate e dal quale, curiosamente, sbuca un braccio che regge un violino. Chagall intuiva che Cristo trionfa, che Egli sta sopra, sopra i gorghi del male, sopra l’inarrestabile corsa del tempo. Cristo si mostra all’uomo credente con la sua insopprimibile vitalità, con le sue ali di fuoco puntate verso l’eternità. Cristo mostra la via d’uscita: quella simboleggiata dal violino, il cui arco, dopo il quadrante dell’orologio, è l’unico punto lucente del quadro. Sì, la via d’uscita è quella della bellezza, che come ebbe a dire Baudelaire, fa intravedere all’anima gli splendori attraverso la tomba».

Il poeta è Davide Rondoni con il suo splendido testo La danza del tempo al ritmo della vita

«Il tempo è un movimento. Lo provi a bloccare, come entità, come concetto. E non ci riesci. È un movimento. Non si tratta di andare d'accordo con il tempo. Non accetta nessuna trattativa. Chi prova a fregarlo, si riduce il più delle volte a una macchietta, non importa se truccandosi il volto, mascherandosi o scrivendo libri alti così.
Accordarsi è impossibile. Il suo è un movimento di danza. E di una danza che sembra destinata a finir male. In un gran silenzio. In un precipizio. Del tempo si è in balia. Del tempo fitto e del tempo vuoto. Del tempo che ci stipiamo di impegni appuntamenti lavori, e del tempo vuoto che ogni tanto ci sorprende, ci tedia.
E allora si cerca di ucciderlo. Si dice: ammazzare il tempo. Prima che ci ammazzi lui.
Il tempo ha una velocità variabile. E un movimento strano. L'accordo anteriore con un avvenimento esteriore può modificare la percezione del movimento del tempo. Il ragazzino che attende la partita da giocare "non vede l'ora". Anche l'amante che attende l’amata "non vede l'ora". Ogni minuto che li separa da quell'ora è lunghissimo. È gravissimo. Poi quando l'ora arriva sembra un lampo, passa via rapida. Un treno, un eurostar. Quasi un sogno.
Nulla di quanto attendiamo sembra compiere il tempo. Ne cambia il ritmo, sì. Ne pare interrompere per un poco il solito ritmo. Poi però lui riprende il suo corso. Il suo movimento. Quella danza. Che sembra andare alla balaustra, e oltre. Nella notte.
Il tempo è uno strano galantuomo. Dicono che aggiusta le cose. Non sempre, anzi quasi mai. La sua strada è disseminata di rovine, di anticipi di morte. È una pioggia il tempo, che lava via i volti dei giusti e degli ingiusti.
Per vincere il movimento del tempo ci vuole un contrattempo.
Un contrattempo forte come il suo movimento. Un corso d'acqua che entri nel fiume e mescolandone i flutti cambi direzione dell'onda.
Per cambiare la direzione della danza serve un cambio di musica, un ballerino che entri in pista e presa lei, la vita ballerina, tra le braccia, la porti dentro la sala, al centro della festa.
Gesù, risorgendo, è entrato in ballo».

Davanti al nuovo anno - quest'anno più che mai - la prima cosa che chiedo a Dio per me e per voi è la speranza. Spesso si raffigura la speranza come un'ancora, ma forse il simbolo più giusto è quello della "vela": l'ancora tiene ferma la barca, la vela la fa correre sul mare o verso la terra ferma. Forse la speranza è questo muoversi, questo darsi da fare concreto, nella storia per portare pace, giustizia, uguaglianza. In questo momento storico che vive un’eclisse di speranza e di bontà, occorre tornare a credere nei sogni, negli ideali, sapendo che gli ideali sono come le stelle: non li raggiungeremo mai, ma come i naviganti in mare ce ne serviamo per tracciare la nostra rotta. Una grande nave ormeggiata nel porto è indubbiamente al sicuro. Ma non è per questo che le grandi navi sono state costruite. Così noi.
Scrive suor Alessandra Smerilli che è importante guardare avanti e sognare l’anno che verrà, come nel film La vita è bella in cui il bambino è riuscito a resistere nel campo di concentramento grazie al desiderio di un carro armato, trasformato da Roberto Benigni nel premio finale di un gioco di resilienza. “Basta un sogno, a volte, per risvegliare la voglia di restare in gioco anche quando giocare non è scontato”…
L’anno appena iniziato ci si ripropone con tutte le sue sfide, con tutti i suoi inviti: è come gemma su un ramo, è come un neonato … Nei nuovi giorni che ci aspettano, auguro a ciascuno di sentire tutta la presenza e la forza di Dio, nel qui, nell’ora.
Quel Dio che ci ripete “Non temere! Io sono con te tutti i giorni della vita”.
Quel Dio che vorrei pregare per ognuno di noi con la certezza di una bambina …

«Don Tonino Bello raccontò che mons. Mariano Magrassi, un tempo arcivescovo di Bari, agli inizi dell’attività pastorale, si trovava in Francia e stava dettando la preghiera del “Padre nostro” a bambine di una scuola elementare. Aveva già dettato, naturalmente in francese, la frase “sia fatta la tua volontà” e, passando fra i banchi, notò che una ragazzina non aveva scritto “que ta volonté soit faite”, come avrebbe dovuto, ma piuttosto “que ta volonté soit fête”, che in francese suona nello stesso modo. La frase allora prendeva questo significato: “che la tua volontà sia festa”. Al primo impulso di far notare l’errore seguì, come ispirazione, un moto di gioia ... »

don Mirko Bellora

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