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CON LO STESSO TIMORE E LA STESSA GIOIA
Beato Angelico Donne al sepolcro (105K)

Beato Angelico Donne al sepolcro

marzo 2016
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CON LO STESSO TIMORE E LA STESSA GIOIA

 

Terribile la risposta del giovane protagonista del  racconto Il tunnel dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt. Il racconto narra la vicenda assurda di un treno, strapieno di viaggiatori diretto a Zurigo. Entrato in un breve tunnel, la cui percorrenza avrebbe dovuto richiedere pochi minuti, esso non ne esce più... Nella cabina di guida non c’è anima viva: il conduttore è saltato giù dalla locomotiva. Ad un certo punto, il capotreno urla: «Che cosa possiamo fare?». Risponde «con spettrale serenità» il giovane protagonista, sillabando: «Nien-te!»

È davvero così la nostra vita? Un viaggio verso le tenebre del nulla? Un essere condannati a morire? Un viaggio tutto «impastato» di dolore?

Non si può sfuggire alla serietà, alla tragicità di queste riflessioni. Perchè la morte e il dolore si insinuano, penetrano nei nostri giorni, nei nostri affetti, nei nostri amori. Perché spesso ci si sente portar via il cuore ... e le parole si tramutano in urlo, in silenzio, in lacrime. Perché davanti al dolore e alla morte ci si ferma ammutoliti come davanti a un enigma irrisolvibile, a un perché senza risposta, a una ingiustizia che brucia come una ferita profonda. E anche la fede più alta barcolla, trema.

Ma nel «buio» si fa strada una luce, apparentemente fioca, un annuncio, una incredibile, indicibile e inaudita speranza: Gesù di Nazareth.

Figlio di una ragazza madre, era nato in un oscuro villaggio.
Crebbe in un altro villaggio, dove lavorò come falegname fino a trent'anni.
Poi, per tre anni, girò la sua terra predicando.
Non scrisse mai un libro.
Non ottenne mai una carica pubblica.
Non ebbe mai né una famiglia né una casa.
Non frequentò l'università.
Non si allontanò più di trecento chilometri da dov'era nato.
Non fece nessuna di quelle cose che di solito si associano al successo.
Aveva solo trentatre anni quando l'opinione pubblica gli si rivoltò contro.
I suoi amici fuggirono.
Fu venduto ai suoi nemici e subì un processo che era una farsa.
Fu inchiodato a una croce, in mezzo a due ladri.
Mentre stava morendo, i suoi carnefici si giocavano a dadi le sue vesti,
che erano l'unica proprietà che avesse in terra.
Quando morì venne deposto in un sepolcro
messo a disposizione da un amico mosso a pietà.
Due giorni dopo, quel sepolcro era vuoto …
(Bruno Ferrero)

A quel sepolcro sono corse di buon mattino, coi loro passi d’amore, alcune donne che si sono sentite pronunciare queste parole:
Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso.
Non è qui. È risorto, come aveva detto.
(Matteo 28,5-6)

La fede dei cristiani sta tutta qui: si concentra, si aggrappa, nasce in quello splendido mattino di Pasqua. Con lo stesso timore e la stessa gioia grande delle donne al sepolcro di Gesù. Con lo stesso stupore, gli stessi dubbi delle donne perché nessuno ha visto risorgere Gesù. La loro inaudita sorpresa è la nostra, i loro dubbi graffianti sono i nostri, la loro emozione incontenibile è la nostra. Hanno creduto e invitano anche noi a credere a quell’uomo che ha camminato, mangiato, parlato con loro.

L'uomo che cammina è quel folle che pensa che si possa assaporare una vita così abbondante da inghiottire perfino la morte. Coloro che ne seguono le orme e credono che si possa restare eternamente vivi ... sono forzatamente considerati matti. Quello che sostengono è inaccettabile. La loro parola è folle e tuttavia cosa valgono altre parole, tutte le altre parole pronunciate dalla notte dei secoli? Cos'è parlare? Cos'è amare? Come credere e come non credere? Forse non abbiamo mai avuto altra scelta che tra una parola folle e una parola vana. (Christian Bobin, L'uomo che cammina)

Forse i cristiani sono proprio dei folli a credere. A credere che si possa risorgere, che la morte possa essere sconfitta, che un giorno ci rivedremo tutti, che il nostro corpo risorgerà, che il nostro destino non è il nulla, la polvere ... Forse siamo dei folli a credere nell’uomo dei Vangeli. Forse ...

Quella croce, quell’uomo crocefisso, quell’uomo che cammina e che le donne e i suoi discepoli dicono di aver visto vivo dopo la morte, non cessano di inquietare ogni uomo. Senza la croce, senza la resurrezione, il cristianesimo sarebbe stato diverso: forse una rispettabile dottrina etica … nulla di più. Con la croce, con la resurrezione è scandalo, sfida, mistero, speranza. Per questo continua a interpellare, a porre interrogativi incalzanti ed essenziali. Sulla morte, sulla vita, sulla speranza, sul senso della morte, della vita, della speranza. Su Dio. Sul come vivere da credenti nella resurrezione. Perché non ci giunga nuovamente un famoso rimprovero:

Per farmi imparare a credere al loro Dio
bisognerebbe che i cristiani cantassero dei canti migliori,
bisognerebbe che avessero un’aria più amabile.
Crederei un po’ di più al vostro Salvatore
se aveste un po’ di più la faccia di persone salvate!
(Friedrich Nietzsche)

Allora “rubo” gli auguri per ciascuno di noi allo scrittore Erri de Luca:

Pasqua è voce del verbo ebraico “pèsah”, che significa “passare” .
Non è festa per residenti,
ma per coloro che sono migratori che si affrettano al viaggio.
Allora sia Pasqua piena per voi
che fabbricate passaggi dove ci sono muri e sbarramenti,
per voi operatori di brecce, saltatori di ostacoli,
corrieri ad ogni costo, atleti della parola pace.
(auguri alla rivista Mosaico di pace)

Già, la Pasqua non è una festa per chi sta fermo, è la festa di chi crede che nulla vada perduto nella nostra vita, nessun frammento di bontà, nessuna lacrima. Pasqua è la festa di chi crede nella forza inaspettata e inesauribile di un seme.

Mi hanno sepolto, ma quello che non sapevano, 
è che io sono un seme.

don Mirko Bellora

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