Giovanni Barbareschi

IL RACCONTO DI UNA PRIMAVERA


Il Concilio Vaticano II è iniziato l’11 ottobre 1962.
Avevo allora 42 anni. Vivevo a Milano, insegnavo religione al liceo classico Manzoni, ed ero assistente degli universitari di Azione Cattolica, della F.U.C.I.
La primavera della quale devo parlare è stata preceduta da un lungo e freddo inverno :

  • per ricevere l’Eucarestia bisognava essere digiuni dalla mezzanotte precedente e non era sempre una cosa facile, particolarmente per i sacerdoti che celebravano la Messa di mezzogiorno. Si ricorreva allora alla trovata gesuitica del caffé con l’uovo sbattuto, perché il Diritto Canonico affermava: "liquida ieiunium non frangunt..." i liquidi non interrompono il digiuno.
  • nel 1948 nasce il Concilio ecumenico delle Chiese che raggruppa tutte le Chiese protestanti e ortodosse. Il Vaticano si rifiuta di entrare e pretende la ricomposizione dell’unità cristiana solo alla condizione di un " ritorno all’ovile".
  • 30 giugno 1949: scomunica dei comunisti.
  • 1954: l’autorità vaticana pone termine, in modo drastico e autoritativo, all’esperienza profetica dei preti operai in Francia.
  • nel testo liturgico della Settimana Santa io dovevo pregare che Dio ci salvasse dai "perfidi giudei". Così era scritto. Adesso sono fratelli maggiori, ma non sono cambiati loro, è cambiata la Chiesa.
  • anche allora si alzavano nella Chiesa voci profetiche: don Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo (Cremona) morto nel 1959; don Lorenzo Milani, che aveva allora 43 anni e viveva la sua esperienza della scuola di Barbiana.

Il Concilio Vaticano II inizia nell’ottobre 1962: 2811 Vescovi presenti e sui quotidiani leggevamo le loro interviste, i loro racconti, e alla TV ascoltavamo la loro voce :

  • Botero Salazar, Vescovo di Medellin, capitale della droga e della violenza, aveva avuto in dono dalla sua famiglia un palazzo principesco, lo aveva venduto e distribuito il ricavato ai poveri, andando ad abitare in un piccolo appartamento.
  • Helder Camara, Vescovo brasiliano, la cui casa era stata più volte mitragliata dagli squadroni della morte, prendeva i suoi pasti in un’osteria del paese, dove chiunque poteva sedere con lui.
  • Alfredo Ancel, Vescovo francese, faceva l’operaio alla periferia di Lione.
  • George Mercier, Vescovo nel Sahara, per capire fino in fondo che cosa voleva dire essere povero, aveva voluto arrivare al Concilio percorrendo a piedi la strada da Napoli a Roma, mendicando un rifugio per la notte presso le case dei religiosi.

17 marzo 1963: la figlia di Kruscev è ricevuta in visita privata da Giovanni XXIII. Ai monsignori e cardinali della Curia che fanno presente l’inopportunità di tale incontro, circolava allora la voce che Giovanni XXIII avrebbe risposto con la famosa battuta: "la figlia di un contadino cosacco non può mettere in difficoltà il figlio di un contadino bergamasco".

11 aprile 1963: Giovanni XXIII, appena due mesi prima di morire, pubblica l’enciclica "Pacem in terris" indirizzata a "tutti gli uomini di buona volontà" e non solo ai fedeli cattolici. In quella enciclica il Papa afferma esplicitamente: "in questa nostra età, che si gloria della forza atomica, è alieno dalla ragione - alienum est a ratione - pensare che la guerra sia strumento adatto a riparare i diritti violati". Con queste parole Giovanni XXIII toglie ogni possibilità di legittimare una guerra definendola giusta. E il teologo francese Yves Congar può affermare: "Con questa enciclica, nella teologia cattolica è terminata la stagione della guerra giusta". E’ opportuno ricordare che Pio XI aveva legittimato, dichiarandola giusta, la guerra dell’Italia fascista contro l’Etiopia e la guerra civile franchista in Spagna. Quale contrasto con l’affermazione di Giovanni Paolo II: "Anche le Crociate medioevali per la difesa dei Luoghi Santi sono dissonanti dal Vangelo!".. Purtroppo, riguardo alla "Pacem in terris" l’Osservatore Romano si premurò di offrire una traduzione ufficiale addomesticata scrivendo: "riesce quasi impossibile pensare" mentre il Papa aveva scritto: "alienum est a ratione", è contro la ragione.

28 agosto 1963: Martin Luter King, Pastore Battista, sui gradini del memoriale a Washington, pronuncia il suo discorso per ottenere l’approvazione del Congresso al progetto di legge presentato da Kennedy sulla parità dei diritti civili: "Ho ancora un sogno ... I have a dream ... ho il sogno che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli degli antichi schiavi e i figli degli antichi schiavisti saranno capaci di sedere insieme alla tavola della fraternità ... ho il sogno che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per il contenuto del loro carattere ...".

13 novembre 1963: Paolo VI depone la sua tiara sull’altare di San Pietro e pone così termine a una tradizione secolare.

Leggevamo sui quotidiani queste interviste, questi racconti, questi episodi, e il nostro cuore si riempiva di gioia ... Ci sembrava di vivere una nuova primavera..

Papa Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio afferma esplicitamente: "Ci feriscono talora l’orecchio suggestioni di persone, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni essi non vedono che prevaricazione e rovina, vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando ... come se al tempo dei Concili ecumenici precedenti tutto procedesse in pienezza di trionfo dell’idea e della vita cristiana ... A noi sembra di dover dissentire da cotesti profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo". Parole stupende!

Paolo VI, il 12 gennaio 1966, afferma :
"Il Concilio è come una sorgente dalla quale scaturisce un fiume: la sorgente può anche essere lontana, ma la corrente del fiume ci trasporta. Si può dire che il Concilio lascia alla Chiesa che lo ha celebrato, se stesso. Il Concilio non ci obbliga tanto a guardare indietro, all’atto della sua celebrazione, ma ci obbliga a guardare l’eredità che ci ha lasciato, che è presente e durerà per l’avvenire".

Esplicite anche le affermazioni di Paolo VI nel discorso di apertura del secondo periodo del Concilio - 29 settembre 1963: "Il Concilio cercherà di lanciare un ponte verso il mondo contemporaneo .... Lo sappia il mondo contemporaneo: la Chiesa guarda ad esso con profonda comprensione, con sincera ammirazione e con lo schietto proposito non di conquistarlo ma di valorizzarlo ...."..

Monsignor Luigi Bettazzi, Vescovo emerito di Ivrea, è uno degli ultimi Vescovi italiani ad aver partecipato al Concilio quale stretto collaboratore del Cardinale Giacomo Lercaro. Dice esplicitamente: "I vescovi furono i primi convertiti al Concilio. Su questo non c’è alcun dubbio. Le Commissioni preparatorie avevano raccolto il meglio del passato, ma poi quegli schemi non furono accettati e i Padri conciliari accolsero i suggerimenti di chi portava avanti il discorso sulla Bibbia, Parola di Dio, sulla collegialità dei Vescovi, sulla liturgia, sull’ecumenismo, sull’incontro con le altre religioni, sulla pace ....".

Il Cardinal Lercaro interviene in assemblea conciliare, durante la discussione dello schema 13 da cui deriverà la Gaudium et spes dicendo: "La Chiesa di oggi non deve solo pregare per la pace, parlare di pace, scongiurare gli uomini perché facciano la pace ... ma deve farsi essa stessa operatrice di pace. ... La Chiesa deve portare il suo giudizio su alcuni punti cruciali della presente dialettica della guerra ...." Lercaro pagherà questa sua audacia con la destituzione da Arcivescovo di Bologna nel 1968 in seguito a un suo giudizio netto e profetico contro la guerra degli U.S.A. in Vietnam.

E sull’incontro con le altre religioni vorrei sottolineare che la frase liturgica usata nella imposizione delle ceneri all’inizio della Quaresima "ricorda uomo che sei cenere e in cenere ritornerai ...", risale a un’altra religione persiana 500 anni prima di Cristo ....
Ricordo lo scorso anno quando in Persia ho ammirato l’imponente e austero monumento funebre dell’imperatore Ciro. All’interno della camera sepolcrale una scritta esprime la grandezza di quella millenaria civiltà e la sua profonda anima religiosa. Dice la scritta: "O uomo, chiunque tu sia e da qualunque luogo tu venga, io sono Ciro, signore di molti re e di molti regni. Non invidiare il mio potere terreno poiché polvere ero e polvere sono tornato ...".
Un testo della saggezza indiana, tradotto dal Mahabharata, del V secolo prima di Cristo dice: "Non dire parole che fanno male all’altro, anche se lui ti provoca ... Se un nemico ti chiede ospitalità, non la negare ... questo hai imparato dalla natura, dagli alberi, che offrono la loro ombra anche a coloro che vengono con un’accetta per tagliarli ....".

Il 21 novembre 1964 per la chiusura del terzo periodo del Concilio ecumenico, Paolo VI afferma: "La realtà della Chiesa non si esaurisce nella sua struttura gerarchica, nella sua liturgia, nei suoi sacramenti, nei suoi ordinamenti giuridici".. La realtà della Chiesa non si esaurisce nella sua struttura gerarchica, nella sua liturgia, nei suoi sacramenti, nei suoi ordinamenti giuridici. E’ stata questa la mia emozione più profonda: vivere il passaggio da una Chiesa, vista come gerarchica, come società perfetta, a una Chiesa vista come comunione di fratelli. Da una Chiesa sempre tesa a difendere i suoi spazi e i suoi diritti, a una Chiesa che vuole essere solo lievito nella pasta. Lievito all’interno delle sue strutture, lievito all’interno delle altre religioni. Da una Chiesa chiusa in se stessa, preoccupata della sua conservazione a una Chiesa comunità aperta al mondo, popolo di Dio in cammino.

A quel "no" detto nel 1948 dalla Chiesa gerarchica invitata a partecipare al Concilio ecumenico delle Chiese, risponde Giovanni Paolo II con l’enciclica "Ut unum sint" nella quale invita Protestanti e Ortodossi a collaborare con lui per modificare il dogma del primato pontificio alla base del quale sta un importante nocciolo della divisione tra cristiani.

Questo, a mio giudizio, il valore e il significato di quello che non esiterei a definire un miracolo: il Concilio Vaticano II. La primavera sta continuando e noi ne dobbiamo fare una memoria fondatrice. La memoria è diversa dalle tradizioni. Le tradizioni tendono all’inerzia, tendono a perpetuarsi senza fantasia, per loro natura le tradizioni non cercano il rinnovamento. Dobbiamo sapere distinguere profondamente tra fedeltà alla memoria e ossequio alle tradizioni. Nelle nostre liturgie siamo compunti, siamo seri, siamo raccolti e silenziosi, ma non trasudiamo gioia ... Aveva ragione quel filosofo ateo di dire: "Crederei un po’ di più al vostro Salvatore se voi cristiani aveste un po’ di più la faccia di persone salvate".

I valori del Concilio devono diventare per noi una memoria fondatrice, memoria che ci renda capaci di leggere il momento presente. E’ questo il valore profondo del rito che io, sacerdote, compio ogni giorno ... Fate questo in memoria di me significa: leggete in memoria di me, guardate, interpretate in memoria di me. Questa è una memoria fondatrice e io auguro a tutti voi che i valori del Concilio, le speranze, le profezie siano da ciascuno di voi vissute come una memoria fondatrice.

Lasciatemi terminare con le parole di Giovanni Papini nella sua poesia "Il lupo di Gubbio":

S’Egli mi fece simile alla fiera
che rugghia e morde contro i falsi dei,
non voglio il ferro barattare in cera
per compiacer gli scribi e i farisei.

E se di Cristo il gregge sonnolento
indugia nel cammino lento e cupo
necesse che talvolta sia strumento
d’Iddio, la forza del dente di un lupo.

Nell’invito che avete ricevuto sta scritto: don Giovanni Barbareschi, ribelle per amore..
Nella preghiera del Ribelle, scritta da un giovane nella primavera del 1944, pregavamo così: "Signore, facci limpidi e diritti .... dona a noi la forza della ribellione ...."..
Aggiungerei: forza della ribellione nei nostri piccoli gesti quotidiani. Non lasciatevi condizionare dalla mentalità oggi comune e abituale: "il mio piccolo gesto non serve a nulla ... si devono cambiare le strutture ...". Il piccolo gesto con il quale concretizzi la tua ribellione certamente oggi non riesce a cambiare le strutture, ma cambia te: sei tu, persona singola, che con quel gesto maturi e cresci. Cresci nella tua libertà ...

Come quel piccolo gesto, quel giorno per me indimenticabile, nel carcere di San Vittore.
Noi del raggio V° ci eravamo accordati: quando uno torna da un interrogatorio, se non ha parlato, se non ha rivelato nomi di compagni e amici, deve alzare il braccio destro ... Ma quel giorno l’interrogatorio era stato troppo duro e non riuscivo ad alzare il braccio .... Sono riuscito solo a muovere un poco la mano destra. Allora tutti i detenuti hanno preso le loro gavette e hanno battuto fortemente il cucchiaio contro la gavetta : un concerto meraviglioso in tutto il raggio V° ... Con quel gesto volevano dirmi che avevano capito: anche quel giorno, io non avevo parlato. Quel piccolo gesto non ha cambiato la struttura del carcere, ma è stato un segno di libertà, una ribellione di uomini. Per quel gesto tutto il raggio V° ha pagato duramente: quella sera ci hanno tolto anche quel po’ di cibo che chiamavano cena ...

Valore e significato di un piccolo gesto. Proprio come noi scrivevamo sul nostro giornale: "Non ci sono liberatori, ma solo uomini che si liberano ....".
In questa luce vedo continuare la primavera della Chiesa, e chiedo a tutti voi di non aspettare il suggerimento dei Vescovi, ma di avere il coraggio di muovervi, di farvi sentire nel popolo di Dio, come laici, come portatori di una primavera perenne ... ogni giorno capaci di una parola, di un gesto libero.
Vi chiedo di non pianificare la speranza, di non tagliare le ali alla fantasia, di non abolire il rischio, di non scomunicare il dubbio, di non ingabbiare lo Spirito e la libertà ...
Vi chiedo di essere, oggi e sempre, ribelli per amore..

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