LA BELLEZZA:
TRA CARNE E LUCE

Valentino Cottini


Il linguaggio del corpo
Il linguaggio dell'amore
Il linguaggio della bellezza



Nella sua ultima lettera pastorale C. M. Martini scrive che la bellezza «è ciò che l’amore scopre nella persona amata, quella persona che si intuisce come degna del dono di sé, per la quale si è pronti a uscire da noi stessi e giocarsi in scioltezza»1 . Il binomio amore e bellezza accompagna la vita. Il rapporto tra i due termini, come è inteso dal Cardinale, è inscindibile. Anzi, l’amore è bellezza e la bellezza spesso diventa sinonimo di amore. Amore e bellezza ci accompagneranno lungo tutto questo breve intervento.

Un intero libro della Sacra Scrittura è dedicato alla bellezza che nasce dall’amore e vive dell’amore: il Cantico dei Cantici. Si tratta di un libro difficile e intrigante – eppure uno dei più commentati di tutta la Bibbia -, incerto dal punto di vista cronologico, complesso dal punto di vista strutturale2 , faticosamente ricuperato al canone delle Scritture ispirate da parte della tradizione ebraica tra la fine del primo secolo d. C. e l’inizio del secondo. Il Talmud ci conserva l’eco delle dispute rabbiniche sull’argomento3 .
Dalle dispute emergono elementi piuttosto sconcertanti che accompagnano tutta la storia dell’interpretazione di questo libro: il testo parla dell’amore umano, ma entrò a pieno titolo nel canone biblico solo perché tale amore venne interpretato allegoricamente. Benché, per esempio, nel Cantico Dio non venga mai nominato4 , nell’amore appassionato dei due amanti i rabbini prima e i padri della chiesa poi, seguiti da una nutrita schiera di interpreti sia ebrei sia cristiani, videro il dialogo amoroso tra Dio e il suo popolo Israele o tra Dio e la chiesa o tra Dio e l’anima umana o tra Dio e la Vergine Maria. Benché il Cantico non parli mai di matrimonio e di prole, la tradizione interpretativa più comune, a cominciare dalla liturgia cristiana, vide e continua a vedervi il prototipo dell’unione sponsale feconda di figli.
L’esegesi moderna e contemporanea ha ricuperato il valore letterale del linguaggio del Cantico, fino a proporne interpretazioni estreme e francamente sconcertanti5 . Ma ancora tutto uno spettro di interpretazioni mistiche e allegoriche continua a essere rappresentato nella letteratura esegetica6 .
Basterebbe allora una lettura del Cantico solo "umana" ed "erotica" a spiegare la presenza del libro nel canone? Una lettura che si basasse solo sul senso letterale esaurirebbe i molteplici armonici sottesi al linguaggio esaltante e trasfigurante dell’amore? Di che cosa parla il Cantico?
Anzitutto parla il linguaggio del corpo plasmato dallo sguardo dell’amore. Parla delle relazioni tra un uomo e una donna, con tutta la varietà lussureggiante del linguaggio amoroso. Parla il linguaggio della bellezza che attira, seduce e conduce all’estasi dei sensi e del cuore. E si presenta in questo modo come cifra e paradigma di ogni rapporto d’amore umano e divino. Non si tratta quindi di un linguaggio "esclusivo" ma di un linguaggio "simbolico" e inclusivo, che contiene, include e rimanda in continuazione a un "aldilà" del soggetto e della stessa vita terrena, suggerendo che la potenza vitale dell’amore è capace di superare il limite della morte.
Certo, l’esperienza della vita insegna a distinguere amore da amore, bellezza da bellezza. Anche la Scrittura conosce simili distinzioni: ci sono amori che si confondono con il puro desiderio sessuale per trasformarsi subito dopo in odio violento (cf Amnon e Tamar, 2Sam 13,1-20), ci sono bellezze che sono semplicemente vuote (cf Pr 11,22)7 o pericolose, perché trascinano alla morte (cf Pr 6,20-35). Anche il cuore e gli occhi hanno bisogno di ascesi8 . Eppure ogni aspetto fuorviante della bellezza viene superato mediante l’incitamento a sapere scorgere una bellezza ancora più grande là dove un calo della tensione amorosa non sia più in grado di scorgerla (cf Pr 5,15-19; 7). La bellezza viene superata solo dalla bellezza, non dall’ottusità bacchettona del precetto. L’attrazione della bellezza, così umana e così divina, è invincibile «come la morte» (Ct 8,6), fonte di gioia e di tormento, "croce e delizia". E ogni linguaggio che la esprima, verbale o non verbale, passa necessariamente attraverso l’ambivalenza e l’ambiguità di ogni realtà umana, compresi il corpo e la parola.
Il Cantico dei cantici ribadisce che nella rivelazione ebraico-cristiana il corpo è "capace" di Dio, riflesso della sua bellezza; l’amore umano è "degno" di Dio, riflesso del suo amore. L’interpretazione letterale, il sensus litteralis dei medievali, si impone con la sua stessa evidenza. Ma questo non significa avere la presunzione di limitare l’interpretazione a un solo ambito semantico: il testo va lasciato libero di produrre significati sempre diversi, più nuovi e più ricchi9 .


Il linguaggio del corpo

Tutte le relazioni di cui parla il Cantico passano attraverso il corpo e il suo linguaggio. Poche parti della superficie corporea, dell’uomo ma soprattutto della donna, sono tralasciate. Vengono nominati10 : il capo (5,11; 7,6); i capelli (4,1; 5,11; 7,6), il viso (2,14), gli occhi (1,15; 4,1.9; 5,12; 6,5; 7,5), le guance (1,10; 4,3; 5,13; 6,7), il naso (7,5), la bocca (4,3), le labbra (4,3.11; 5,13; 7,10), i denti (4,2; 5,12; 6,6; 7,10), il palato (5,16; 7,10), il collo (1,10; 4,4; 7,5), il petto (1,13; 5,14), i seni (4,5; 7,4.8.9; 8,8.10), le mani (5,5.14), i fianchi (7,2), l’ombelico (7,3), il ventre (7,3), le gambe (5,15), i piedi (5,3; 7,2). Soprattutto meritano attenzione le due descrizioni del corpo nudo della donna, la prima volta a partire dal capo (4,1-7), la seconda a partire dai piedi11 (7,2-9), e la descrizione del corpo nudo dell’uomo (5,10-16).
Senza alcun imbarazzo i due amanti si guardano reciprocamente e ammirano la rispettiva bellezza nella beatitudine estasiata dell’amore. Il Cantico è il tripudio del corpo offerto e ricevuto nell’entusiasmo dell’incontro amoroso. Le immagini fantasiose che descrivono le parti del corpo sono parto della fantasia sbrigliata degli amanti. Se la bellezza è negli occhi di chi guarda, è l’amore che presta forma e immagine al corpo della persona amata. Tutto è semplice ed esaltante come una scoperta e tradisce l’entusiasmo erotico tipico dell’età adolescenziale, il primo sbocciare del mistero affascinante dell’amore, la coscienza trepida della differenza sessuale: un mistero arcano e stupendo da vivere in relazione con l’altro. In questo linguaggio non c’è nulla del tavolo anatomico o della perversione del guardone. Tutto parla di vita, di desiderio e di bellezza. Il corpo della persona amata è ricevuto e offerto nella sua disarmante nudità, aperto, accarezzato dallo sguardo dell’amante, alieno da mercificazioni. La distanza è funzionale all’ammirazione; la vicinanza al gusto della dolcezza del corpo dell’altro. Il pudore lascia il posto all’intimità dell’amore; la paura alla fiducia di non essere espropriati dalla violenza e dal possesso. I due amanti si cercano e si rincorrono, animati in misura uguale dal desiderio dell’unione. Se c’è preminenza, questa è della donna, prima nel desiderio di donarsi al suo amore. È l’antitesi della violazione e dello stupro.
Nella descrizione delle parti corpo dell’amato e dell’amata prevale la descrizione del volto. È questo infatti il vero centro propulsore dell’incontro amoroso. Non sarebbe esatto affermare che il volto è la parte più esposta del corpo, dal momento che i corpi dei due amanti si offrono spesso nella loro trionfante nudità. Di fatto l’attrazione sessuale e amorosa è provocata soprattutto dal volto12 . È dal volto che partono due dei più potenti e irresistibili richiami interpersonali: lo sguardo13 e la voce.

Tu mi hai rapito il cuore,
sorella mia, sposa,
tu mi hai rapito il cuore14
con un solo tuo sguardo,
con una perla sola della tua collana. (4,9)
 
Una voce! Il mio diletto!
Eccolo, viene
Saltando per i monti,
balzando per le colline…
Ora parla il mio diletto e mi dice… (2,8.10)

In questo senso parlano i gesti tipici dell’amore: le carezze (1,2.4; 4,10; 7,13), gli abbracci (2,6; 3,4; 8,3), i baci (1,2; 4,11; 8,1), l’amplesso, alluso con immagini delicate e altamente simboliche (2,6-7; 3,4-5; 4,16-5,1; 6,2-3; 7,14)15 . La progressione dell’avvicinamento reciproco, dello smantellamento delle difese dell’altro, del reciproco aprirsi al contatto è sviluppata in tutta la sua gamma espressiva. Resta l’ebbrezza e lo straniamento del culmine dell’atto d’amore, paragonato agli effetti del vino o al languore causato da una malattia:

Mi ha introdotto nella cella del vino
E il suo vessillo su di me è amore.
Sostenetemi con focacce d’uva passa,
rinfrancatemi con pomi,
perché io sono malata d’amore (2,4-5).

La "carne" del corpo brilla quando è illuminata dal fuoco dell’amore. La sua pesantezza e la sua oscurità spariscono. Rimangono la leggerezza, che conduce a fluttuare nel mondo del sogno, e lo splendore della gioia, che si diffonde e illumina di luce nuova tutto il creato circostante. Il linguaggio del corpo è linguaggio di bellezza; la percezione che gli amanti ne hanno è squisitamente estetica. Ma riesce difficile immaginare l’ideale del corpo presupposto dal Cantico. Le immagini fantastiche che evoca non aiutano molto. Ma non è qui l’interesse principale. Il Cantico non vuole descrivere un corpo ideale o l’ideale del corpo, come nella letteratura o nella scultura greca. L’unico corpo che interessa è quello della persona amata16 .

«"Come son belli i tuoi piedi
nei sandali, figlia di principe!
Le curve dei tuoi fianchi sono come monili,
opera di mani d’artista.
Il tuo ombelico è una coppa rotonda
che non manca mai di vino drogato.
Il tuo ventre è un mucchio di grano,
circondato da gigli.
I tuoi seni come due cerbiatti,
gemelli di gazzella.
Il tuo collo come una torre d’avorio;
i tuoi occhi sono come i laghetti di Chesbon,
presso la porta di Bat-Rabbim;
il tuo naso come la torre del Libano
che fa la guardia verso Damasco.
Il tuo capo si erge su di te come il Carmelo
E la chioma del tuo capo è come la porpora;
un re è stato preso dalle tue trecce."
Quanto sei bella e quanto sei graziosa,
o amore, figlia di delizie!
La tua statura rassomiglia a una palma
E i tuoi seni ai grappoli.
Ho detto: "Salirò sulla palma,
coglierò i grappoli di datteri,
mi siano i tuoi seni come grappoli d’uva
e il profumo del tuo respiro come di pomi."» (7,2-9)

Questo corpo non è che l’epifania della persona amata, manifestata e celata dalle forme corporee17 . Il corpo è icona, trasparenza e velo, espressione dell’inesprimibile, parola che nasce dal silenzio, comunicazione dell’incomunicabile, visibilità dell’invisibile. La carne brilla di una doppia luminosità: la luce dello sguardo d’amore che ammira e la luce interiore che per mezzo della carne vuole donarsi amando e, amata, lasciarsi ammirare. Il corpo è simbolo che contiene e rimanda, che crea rapporti ma non li esaurisce. Bellezza esposta che rinvia a bellezze intuite e mai totalmente esperite ed esperibili. La nostalgia della bellezza e dell’amore sono nostalgia di eternità, di prolungamento indefinito, perché la donazione reciproca ha in sé i caratteri della totalità. Per questo ogni incontro d’amore provoca una sazietà momentanea, che rimanda in continuazione a un ulteriore incontro. Nella vicinanza della presenza è avvertita la lontananza dell’assenza.
Eppure la carne resta l’unico modo di comunicare dato agli uomini, il "luogo" per eccellenza della comunicazione umana18 . La nudità nella sua debolezza, senza i limiti e la distanza creati dal pudore, è la manifestazione del desiderio estremo di attingere il centro reciproco della persona mediante i gesti intimi della carezza, dell’abbraccio, del bacio e del rapporto sessuale.
Tutti i cinque sensi del corpo sono all’erta, tesi allo spasimo per captare i segni della presenza della persona amata: la vista 1,15; 2,14; 4,1.9; 5,12; 6,5;19 l’udito 2,8.10.14; 5,2; l’olfatto 1,3. 12-14; 4,10.11.13-14.16; 5,1.5.13; 6,2; 7,14; il gusto 2,3; 4,11.13.16; 5,1.13; 7,8-9.10.14; 8,2; il tatto 1,4; 4,10; 7,8-9. I sensi del corpo diventano i canali nella carne per superarne la residua opacità e pesantezza e avvicinarsi così al centro inafferrabile della persona. Nello spasimo del desiderio amoroso è presente, insieme alla gioia, anche una forma di sofferenza. Il bello sfiora il tragico, quando non rischia di confondersi con esso. In questo senso la carne è barriera all’unione. Ma rimane anche l’unico mezzo per cercare di raggiungerla.
 

Il linguaggio dell’amore

Al di là delle ricorrenze dei termini che indicano la voce e l’udito che la riceve, una delle caratteristiche più salienti del Cantico è il dialogo d’amore che si instaura tra l’uomo e la donna. Tutto il poema è in realtà costituito da una serie di dialoghi. I due amanti si parlano continuamente, nella realtà o nel sogno, chiamandosi con gli appellativi tipici del linguaggio "erotico"20 .
I due termini21 più importanti per dire l’amore nel cantico sono: dôd (pl. dôdîm), dove il singolare è riferito quasi sempre all’uomo e il plurale alle sue tenerezze nei confronti della donna o alle tenerezze della donna nei confronti dell’uomo; ahabah, riferito ad ambedue e spesso munito del pronome che personalizza il termine, inteso più spesso della donna, ma talora, in alcuni testi dove non è chiaro chi sia a parlare, anche dell’uomo. Ambedue i termini significano "amore". Il fatto che quasi sempre siano personalizzati mediante il pronome possessivo, indica che non si tratta di una riflessione sull’amore in generale, quanto che il soggetto e il termine dell’amore sono l’uomo e la donna protagonisti del Cantico22 .
A questa terminologia classica e reciproca si possono aggiungere altri appellativi che qualificano la donna e che stanno quasi sempre sulla bocca dell’uomo: "sorella", "sposa", "amica". Questi appellativi, caratteristici della poesia amorosa sia egiziana che mesopotamica23 , non indicano una confusione di ruoli, ma l’ampiezza del registro dell’amore, che abbraccia la sfumatura di intimità e libertà della fraternità (cf 8,1), la sfumatura sia di durata sia di apertura al futuro della sponsalità e la sfumatura di tenerezza e di fedeltà dell’amicizia24 .
In modo corrispondente al linguaggio del corpo, il linguaggio erotico ha dunque una funzione importantissima nel Cantico. La manifestazione del rapporto tra le due persone si colora delle sfumature di tenerezza e di totalità che passano attraverso la potenza e la povertà della "parola".
La potenza della parola dice la capacità e la possibilità di apertura reciproca nella rivelazione dei sentimenti, quando urgono nel cuore e hanno bisogno di uscire per trovare un "corpo" che li oggettivi. La parola in questo caso assume le vere caratteristiche del simbolo e dell’alleanza, come ciò che sta "in mezzo" e che permette il dialogo, il rapporto tra il soggetto e l’altro. La parola dell’amore è ciò che permette ai due amanti di esprimersi e di comprendersi mutuamente, di sintonizzarsi sulla medesima lunghezza d’onda. La parola dell’amore dunque non è che il prolungamento del corpo, anzi, in certo qual modo il corpo stesso è "parola"25 , simbolo che rende possibile l’incontro interpersonale, linguaggio che permette di esprimersi e di accogliersi reciprocamente. Come la luce permette di vedere e di riconoscere le cose, così la parola permette ai due amanti di identificarsi e di riconoscersi: ciascuno dei due prende forma dallo sguardo e dalla parola dell’altro. La parola erotica in questo caso condivide dunque la luminosità della leggerezza della carne.
La parola penetra attraverso i sensi dell’altro ed è capace di coinvolgere tutta la persona. Vero strumento di seduzione e di richiamo alla bellezza e alla gioia dell’autodonazione, il linguaggio erotico ha una potenza sconvolgente. Il primato della parola, nell’amore, spetta alla donna. È lei che chiama per prima, che lancia per prima il suo messaggio erotico. L’uomo risponde: "secondo" anche nell’amore26 . Questa è un’altra caratteristica del Cantico: nella Bibbia si ritrova ancora soprattutto nei libri sapienziali - in modo particolare nel libro dei Proverbi - ma non è assente da un altro "luogo" biblico estremamente importante per la comprensione del Cantico: i racconti della creazione. La prima esclamazione dell’uomo dopo la creazione della donna è in realtà una risposta al messaggio della bellezza erotica lanciato dalla donna: è la donna infatti che lo spinge a lasciare suo padre e sua madre e a unirsi a lei per formare una sola carne (cf Gen 2,23-24). La caduta dell’uomo nell’Eden è ancora una risposta alla parola seduttrice della sua compagna, a sua volta sedotta dalla parola del serpente e dalla bellezza del "frutto"(Gen 3,1-7).
La debolezza della parola emerge dalla stessa varietà dei termini con cui i due amanti si chiamano reciprocamente. La parola condivide non solo la potenza, la luminosità e la leggerezza ma anche la debolezza, l’oscurità e la pesantezza della carne. La parola rimanda al silenzio del mistero della persona dell’altro, mai completamente posseduta, mai definibile nei suoi contorni precisi. Ma proprio per questo la parola rimanda a esperienze nuove, a nuovi incontri. Essa è aperta a conoscenze sempre nuove, inesauribili del mistero della persona dell’altro27 . Grazie alla sua debolezza la parola permette, come il corpo e la carne, la libertà dell’altro. La parola può chiamare ma non può possedere. Dice qualche cosa, non può mai dire tutto. Evoca e richiama a nostalgie struggenti, a desideri infiniti, ma non può pretendere di valicare il silenzio, che è il nucleo della libertà dell’altro. La parola non può manifestare il tutto del soggetto parlante e non può svelare e definire il tutto del soggetto al quale si rivolge. Per questo il linguaggio dialogico del Cantico naviga tra realtà e sogno, tanto che spesso non è facile distinguere tra i due ambiti.
Il linguaggio dell’amore rimane sempre allusivo28 ed elusivo, eppure il più coinvolgente e il più espressivo che sia dato all’uomo. Se l’uomo è corpo e carne nella sua relazione con il mondo e con gli altri, l’uomo è eminentemente "parola" nella sua capacità di creare legami. E in questo senso egli diventa eminentemente "parola erotica", nella vastità semantica che il termine racchiude.
La dualità di luce e tenebra, di leggerezza e di pesantezza, di presenza e assenza nello spasimo tra spirito e carne, tra infinità del desiderio e limitatezza della sua espressione trova un altro "luogo" nella coppia di termini "cercare" e "trovare". Essi ricorrono in due passi importanti29 del poema, che alludono a esperienze oniriche: 3,1-4; 5,2-8.

Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato
l’amato del mio cuore;
l’ho cercato, ma non l’ho trovato.
"Mi alzerò e farò il giro della città;
per le strade e per le piazze;
voglio cercare l’amato del mio cuore".
L’ho cercato, ma non l’ho trovato.
Mi hanno incontrato le guardie che fanno la ronda:
"Avete visto l’amato del mio cuore?"
Da poco le avevo oltrepassate,
quando trovai l’amato del mio cuore.
Lo strinsi fortemente e non lo lascerò
Finché non l’abbia condotto in casa di mia madre,
nella stanza della mia genitrice. (3,1-4)
 
Io dormo, ma il mio cuore veglia.
Un rumore! È il mio diletto che bussa:
"Aprimi, sorella mia,
mia amica, mia colomba, perfetta mia;
perché il mio capo è bagnato di rugiada,
i miei riccioli di gocce notturne."
"Mi sono tolta la veste;
come indossarla ancora?
Mi sono lavata i piedi;
come ancora sporcarli?"
Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio
e un fremito mi ha sconvolta.
Mi sono alzata per aprire al mio diletto
e le mie mani stillavano mirra,
fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia del chiavistello.
Ho aperto allora al mio diletto,
ma il mio diletto già se n’era andato, era scomparso.
Io venni meno, per la sua scomparsa.
L’ho cercato, ma non l’ho trovato,
l’ho chiamato, ma non m’ha risposto.
Mi han trovato le guardie che perlustrano la città;
mi han percosso, mi hanno ferito,
mi han tolto il mantello
le guardie delle mura.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
se trovate il mio diletto,
che cosa gli racconterete?
Che sono malata d’amore! (5,2-8)

È significativo che in ambedue i passi il soggetto parlante e agente sia sempre la donna. La dinamica della presenza e dell’assenza, che sta nel cuore di ogni esperienza umana autentica, il Cantico la esprime in maniera plastica nella perdita e nel ritrovamento fisici della persona amata. Tale dinamica sembra stare alla base di tutta la struttura del poema, che alterna momenti di distanza a momenti di vicinanza, momenti di perdita a momenti di ritrovamento30 . Infine, la conclusione di tutto il poema si presenta come una "fine aperta", che rinvia incessantemente ad altre ricerche e ad altri ritrovamenti.

Tu che abiti nei giardini
- i compagni stanno in ascolto –
fammi sentire la tua voce.
«Fuggi, mio diletto,
simile a gazzella
o a un cerbiatto,
sopra i monti degli aromi!» (8,13-14)

La dinamica dell’amore è come un moto perpetuo. La bellezza dell’altro, sempre intuita e mai completamente posseduta, rimanda all’infinito e alla sua insondabile bellezza.
 

Il linguaggio della bellezza

La bellezza trionfa nel Cantico. Bellezza fisica, ma non solo. Essa viene espressa nel testo ebraico soprattutto dall’aggettivo yafeh (o dal verbo che ne deriva), declinato nella maggior parte dei casi al femminile. Non appare mai il sostantivo yofî, bellezza: ulteriore testimonianza che il Cantico non parla mai in astratto ma sempre in concreto, in riferimento alla persona dei due protagonisti. La radice del vocabolo riveste quattro diverse sfumature.
a) Vi sono espressioni quasi stereotipate, che diventano un epiteto della donna amata in bocca al coro («bella tra le donne», 1,8; 5,9; 6,1).
b) L’epiteto ricorre inoltre sulle labbra dell’amante in situazioni che sembrano riferirsi ad ambiti diversi: in 1,15; 4,1.7; 7,7 la bellezza è indubbiamente riferita all’aspetto esterno dell’amata ed è come il riassunto di tutta la bellezza sprigionata dalle singole membra del suo corpo. Ma non è tuttavia il risultato della somma delle singole membra, come potrebbe essere nella contemplazione di una statua: la bellezza riguarda la persona viva nella sua totalità. Non è un caso che in 1,15 e in 4,1 la bellezza sia legata in primo luogo agli "occhi", che in questo caso sarebbe meglio tradurre con "sguardi", in quanto stabiliscono una relazione (cf soprattutto 4,9 e 6,5)31 .
c) Altri versetti parlano il linguaggio metaforico, cercando di stabilire una relazione tra la bellezza della donna e la bellezza dell’aurora, della luna e del sole (6,10) o la bellezza di città desiderabili come Tirza e Gerusalemme (6,4).
d) Altri passi infine (2,10.13) mettono l’accento sulla bellezza dell’amata in quanto è bello il rapporto esistente tra lei e il suo amato: yafeh infatti è posto in parallelo con "amica".
La bellezza della donna amata dunque abbraccia l’ambito del corpo, della natura e delle relazioni. Si tratta certamente della trasfigurazione operata dall’amore. Meglio, si tratta dell’intuizione dell’amore, che sa scorgere la bellezza nella persona amata e la riverbera su tutto il mondo circostante.
Allo stesso modo la donna fa eco all’ammirazione del suo amato esclamando:

          «Come sei bello, mio diletto, quanto sei grazioso!» (1,16)

In questo modo la bellezza dell’uno si riflette nella bellezza dell’altro e diventa il motivo dominante di tutto il dialogo d’amore del Cantico.
Ma la proclamazione ammirata della bellezza reciproca non si limita al cerchio della coppia. Coinvolge anche i rispettivi amici, che fanno corona ai due amanti partecipando del loro amore e della loro gioia32 . L’amore non porta alla chiusura ma all’apertura. L’amore coinvolge nel fascino della bellezza, contagia come per osmosi, si riflette e si allarga. L’amore è il contrario dell’egoismo che cerca di trattenere per sé l’altro come in un’ossessione di possesso idolatrico. L’amore è gratuità. I due amanti del Cantico sono ansiosi di donarsi solo per il piacere di donarsi alla persona amata. Nascono di qui l’aspetto "ludico" - dove per "ludico" intendo principalmente la connotazione della gratuità, la mancanza di "interesse personale" che abbraccia anche il gioco - e l’aspetto "gioioso" dell’amore33 . Ambedue gli aspetti possono essere gratificati dall’appellativo "bello", sia in senso estetico che etico.
«Nessuno può pretendere di autodefinirsi, ma deve lasciarsi aiutare dalla percezione di sé che l’altro o l’altra ha », scrive il Cardinale Martini34 . La percezione dell’amore scorge la bellezza nascosta della persona amata e, mettendola in risalto, l’aiuta a valorizzarsi, sicché ciascuno dei due vede se stesso con gli occhi del suo amante:

«Bruna sono ma bella,
o figlie di Gerusalemme,
come le tende di Kedar,
come i padiglioni di Salma.» (1,5)
«Io sono un narciso di Saron,
un giglio delle valli.» (2,1)

Così la donna è agli occhi del suo amato come «colei che ha trovato pace» (8,10) dopo la lunga e affannosa corsa del desiderio e può riposare appagata e felice sul petto del suo amore (8,5), poiché, dopo averlo perduto, lo stringe a sé per non lasciarlo mai più (3,4).
La bellezza si diffonde attorno ai due amanti e costituisce la cornice ideale del loro amore. In questo senso vanno le immagini e i paragoni della bellezza. Mi limito a citare solo qualche passo: la donna è paragonata alla cavalla del cocchio del faraone (1,9), a un giglio tra i cardi (2,2), a una colomba (2,14; 5,2; 6,9), alla luna e al sole (6,2), a un giardino chiuso e a una fonte sigillata ed esclusiva per il suo amato (4,12). L’uomo a sua volta è come un sacchetto di mirra profumata tra i suoi seni (1,13) o un grappolo di cipro tra le vigne di Engaddi; un capriolo o un cerbiatto (2,9); un cedro del Libano (5,15).
La natura e la campagna nel Cantico sono l’ambiente ideale della nascita e della consumazione dell’amore. I due amanti fuggono il rumore e la curiosità della città per rifugiarsi appena possibile nella cornice agreste, soprattutto in un giardino o in un frutteto. La natura, con la sua bellezza prorompente a primavera, diventa complice serena e ammiccante. Credo che l’intuizione stia soprattutto nella promessa di vita che nasce e che cresce, comune alla natura creata e all’amore. In questo il Cantico non fa che ripetere lo stereotipo di ogni poesia d’amore di tutti i tempi: non mancano esempi paralleli sia nelle letterature antiche, come l’egiziana e la mesopotamica, sia nelle canzoni d’amore odierne35 .
Ma ciò che è caratteristico del Cantico e che lo situa nel cuore della rivelazione ebraico-cristiana è il contesto sapienziale. Per questa corrente del pensiero dell’Antico Testamento il Creatore si manifesta sia nel mondo creato esterno all’uomo sia soprattutto in ogni autentica esperienza umana. L’una e l’altra sono tracce della presenza divina nel mondo, riflesso della sua bellezza (cf Gb 31,26-27). Credo che in questa ottica il Cantico esprima la sua natura più autentica di libro ispirato. La bellezza e l’amore, l’amore della bellezza o la bellezza dell’amore sono un "parola" di Dio nel mondo dell’uomo, un riflesso della bellezza e dell’amore divini. E in questa linea si può collocare anche l’intuizione che "la bellezza salverà il mondo".
Il cuore del Cantico, il passo dove esso si riassume, trova la sua più alta espressione e del quale il poema non è che l’illustrazione, è 8,6-736 :

«Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l’amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio.»

Questo passo ha la forma di un’istruzione sapienziale. L’esortazione sottolinea il desiderio dei due amanti di donarsi reciprocamente senza finzioni37 , mentre la motivazione constata l’ineluttabilità dell’amore, la sua forza capace di contrastare la morte. Questo è l’unico passo in tutto il Cantico in cui il termine "amore" ha significato generale, non è cioè riferito direttamente a uno dei due amanti. L’amore è forza vitale che si apre all’eternità, perché comprende in qualche modo la totalità della persona che si dona, ma anche perché è una delle "regole" poste a fondamento della creazione e che vengono semplicemente "trovate". L’attrazione della bellezza, come l’attrazione dell’amore, sono irresistibili: è un dato di esperienza. È dunque necessario fare i conti con essi, perché non è possibile sfuggirli. E sono cose belle e buone che il Creatore ha inserito nella sua creazione e fonte di perenne ottimismo. I due racconti della creazione nel libro della Genesi diventano ancora assai significativi. Essi terminano con una esclamazione di ammirazione: in Gen 1,31 è Dio che ammira la sua opera dopo aver creato l’uomo e la donna "a sua immagine e somiglianza" e prorompe in un’espressione di soddisfazione: «era cosa molto buona (o molto bella: tôh)». In Gen 2,23 è l’uomo che di fronte alla donna, dal Signore stesso presentatagli, prorompe nel suo primo grido di gioia, che, secondo la Scrittura, è anche in assoluto la prima parola esplicita che pronuncia.

«Questa volta essa
è carne della mia carne
e osso delle mie ossa.
La si chiamerà donna
perché dall’uomo è stata tolta.»

La sua prima parola è un grido di ammirazione della bellezza per la sua donna.
C’è dunque una sapienza profonda nell’istruzione di Cantico 8,6-7, che allude al mistero e all’enigma dell’esistenza: l’amore è una delle realtà che risultano incomprensibili nel meccanismo che le fa nascere, ma che sono inserite dal Creatore nel tessuto profondo della vita, riflesso della sua presenza nel mondo.

Tre cose mi sono difficili,
anzi quattro, che io non comprendo:
il sentiero dell’aquila nell’aria,
il sentiero del serpente sulla roccia,
il sentiero della nave in alto mare,
il sentiero dell’uomo in una giovane. (Pr 30,18-19)

L’enigma rimane irrisolto: l’incontro dell’amore non può essere programmato, non obbedisce a nessun canone prefabbricato. Arriva e basta. Lo si incontra. È dono. Nessuno potrà mai sapere perché, a un certo momento della vita, due persone estranee si diventano reciprocamente indispensabili, talmente preziose l’una per l’altra da stimare nulla tutti i beni materiali. La ricerca dell’amore è una potenza vitale inserita in ogni persona: nessuno riesce a sottrarvisi. Ma l’incontro rimane esclusivamente dono. E sembra di averlo cercato da sempre.

La casa e il patrimonio si ereditano dai padri,
ma una moglie assennata è dono del Signore. (Pr 19,14)

Per questo i saggi del Primo Testamento non esitano a paragonare la ricerca della donna alla ricerca della Sapienza e la esprimono normalmente con linguaggio erotico: esso rimane il più comprensibile, il più immediato, il più significativo e il più espressivo (cf Sir 14,20-27). E, come nella dinamica dell’amore, chi cerca scopre di essere cercato, chi sceglie scopre di essere già stato scelto (Pr 4,5-9; 1,20-33; 8,32-36). È la Sapienza come donna, infatti, che chiama e invita a conoscerla e a intrattenersi con lei (Pr 9,1-6), che gioca davanti al suo Creatore e costituisce la sua gioia (Pr 8,30-31). Il rapporto tra il linguaggio usato dalla Sapienza "donna" personificata e il Cantico è molto stretto. Basti un passo per tutti:

«Questa [la Sapienza] ho amato e ricercato fin dalla mia giovinezza,
ho cercato di prendermela come sposa,
mi sono innamorato della sua bellezza.» (Sap 8,2)

Linguaggio del corpo, linguaggio erotico, linguaggio della bellezza, molla irresistibile che spinge la vita a superare la barriera della morte. Il Cantico parla questo tipo di linguaggio. Qualche anno fa un autore scriveva: «La bellezza è una categoria fondamentale biblica e teologica. Il compito del Cantico è di rifare vivo il meraviglioso del mondo, dove tutte le cose sono viste nella loro segreta bellezza. Il bello è ciò che è sano, che è puro, che è normale»38 . Il linguaggio del Cantico ravviva il senso della gioia dell’ordine del mondo come è uscito dalle mani di Dio e respira a pieni polmoni l’aria pura della bellezza dell’amore umano in tutta la sua gamma di espressioni fisiche e spirituali. Canta la bellezza di un corpo non insozzato dalla brama del possesso, non profanato dalla noia dell’abitudine, non mercificato dalla sete idolatrica del guadagno.
La carne risplenderà sempre di luce finché troverà due occhi che la sappiano guardare con amore e sarà luogo dell’espressione dell’amore. Forse la bellezza non si trova "tra carne e luce" ma è "la luce della carne", riflesso nell’uomo della luce e della bellezza del Creatore e Salvatore. Non è forse questo il senso della "gloria" che ammiriamo nel Verbo Incarnato, l’uomo Cristo Gesù, e della luce esplosa dalla sua "carne" data per amore?
Per questo il linguaggio erotico del Cantico può supportare simbolicamente il rapporto di amore che corre tra il Signore e gli uomini39 e manifestare la "bellezza che salverà il mondo".


NOTE:

1 C.M.Martini, Quale bellezza salverà il mondo? Lettera Pastorale 1999-2000, Centro Ambrosiano, ITL, Milano1999, 12.

2 Le opinioni sulla composizione del Cantico variano molto: si va dall'opinione di chi vi vede una raccolta slegata e quasi raffazzonata di canti d'amore a chi vi scorge una notevole unità interna. Per una panoramica, cfr. G. Ravasi, Il Cantico dei Cantici, EDB, Bologna 1992, 79‑95.

3 «Tutte le Sacre Scritture rendono impure le mani. Rabbi Giuda dice: " Il Cantico dei Cantici rende impure le mani ma c'è discussione riguardo all'Ecclesiaste". Rabbi Jose dice: "L'Ecclesiaste non rende impure le mani ma c'è discussione riguardo al Cantico dei Cantici". Rabbi Simone dice: " [L’opinione] riguardante l'Ecclesiaste è una delle indulgenze della scuola di Shammai e una delle severità della scuola di Hillel". Rabbi Simeone ben Azzai dice: "Ricevetti una tradizione dai settantadue anziani, nel giorno in cui essi elessero Rabbi Eleazaro ben Azaria capo dell'accademia, che il Cantico dei Cantici e l'Ecclesiaste rendono impure le mani". Rabbi Akiba disse: "Non sia mai! Nessuno in Israele ha mai discusso sul Cantico dei Cantici che esso non rende impure le mani. Infatti tutto il mondo non è degno quanto il giorno in cui il Cantico dei Cantici fu dato a Israele. Poiché tutte le Scritture sono sante ma il Cantico dei Cantici è il Santo dei Santi! Perciò se ci fu discussione, ci fu solo riguardo all'Ecclesiaste". Rabbi Johanan ben Joshua figlio del suocero di Rabbi Akiba disse: "In accordo con le parole di Ben Azzai essi discussero e così raggiunsero la decisione [che sono ambedue ispirati]" (Talmud, Yadaim, Mishnah 5. Cit. in A. NICCACCI, La casa della sapienza. Voci e volti della sapienza biblica, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, 121).

4 Il nome del Dio d'Israele è presente solo nella forma abbreviata Yah come suffisso di un termine: shalhebetyah. Di per sé il composto può essere tradotto «fiamma altissima».

5 Su questa linea cammina il commentario di G. GARBINI, Cantico dei Cantici, Paideia, Brescia 1992. Buona l'analisi filologica, benché dettata, mi sembra, da un pregiudizio cronologico; pessima, unilaterale e presuntuosa l'interpretazione generale.

6 Cfr. Ravasi, Cantico, cit., 115‑142.

7 «Un anello d'oro al naso d'un porco / tale è la donna bella ma priva di senno».

8 «Nell'ottica del cristiano, la bellezza e l'armonia della sessualità sono un'arte da apprendere, come la poesia, la pittura, la musica. Il sapersi relazionare permette ai nostri impulsi di non uscire alla cieca e a caso, o con imperizia, ma di essere diretti con libertà, secondo l'ispirazione del Signore» (C.M. Martini, Sul corpo, Centro Ambrosiano, Milano 2000, 55).

9 A. Chouraqui (Il Cantico dei Cantici e introduzione ai Salmi, Città Nuova, Roma 1980, 23‑47 ), per esempio, individua nel Cantico tre temi fondamentali che ne costituiscono la trama: la genesi dell'amore, l'esilio dell’amore e l’incontro dell'amore. Essi costituiscono l'ossatura sia dell'amore umano tra due persone che l'ossatura della vicenda di Israele. Per  questo il Cantico, si collocherebbe al centro sia di ogni vicenda amorosa sia della vicenda d’ Israele. Il primo ambito supporta simbolicamente il secondo.

10 Per comodità di consultazione da parte dell'ascoltatore o lettore, cito secondo la traduzione della Bibbia CEI. A volte la traduzione non collima con i termini ebraici. Non ne terrò conto se non in circostanze specifiche, per sottolineare significati particolari.

11 L’angolatura della descrizione è data dall'osservazione dei movimen­ti di una danzatrice (cfr. 7.1).

12 Secondo F. Raurell (Lineamenti di antropologia biblica, Piemme, Casale Monferrato 1986, 215, n. 61) si manifesterebbe qui una differenza dalla concezione greca del corpo: «Presso i greci, il corpo è visto nella sua autonomia come espressione di una vita che si diffonde a partire dal centro. Il nudo altro non fa che riflettere la forza armonica. Diversamente dalla concezione biblica, si tratta più dell'armonia dell'aspetto esterno che dell'armonia personale. Di fatto, il volto ellenico è poco espressivo e spesso manca nelle statue. In se stessa la nudità non ha un senso erotico: è erotico il gesto di scoprire il corpo come invito a un rapporto d'amore». Cfr. X. Lacroix, Il corpo e lo spirito. Sessualità e vita cristiana, Qiqajon, Magnano (BI) 1996, 16‑21.

13 Lacroix, Il corpo, cit., 27‑30

14 Viene usato due volte un verbo curioso, libbabtînî, che, in questa accezione è un hapax nella Bibbia ebraica. E’ un verbo denominativo che contiene la radice ebraica di «cuore» (lebab). Potrebbe essere tradotto anche con «mi hai fatto perdere la testa», «mi hai fatto impazzire», «mi hai trafitto il cuore».

15 Cfr. le belle pagine di Lacroix, Il Corpo, cit., 66‑75.

16 «Il corpo provoca amore perché è un corpo personale, il corpo della persona amata» (Raurell, Lineamenti, cit., 215).

17 «Il soggetto è spirituale, non è cioè dell’ordine delle cose e non esiste se non incarnato, anzi di più, originariamente carnale, vivente della vita del corpo, indissociabile da esso, dal suo volto, dalla sua respirazione e dalle sue sensazioni. Ecco perché il disprezzo del corpo è anche disprezzo dell'altro (o di sé), ecco perché schernire il corpo significa colpire la persona nella sua dignità» (Lacroix, Il corpo, cit., 84).

18 Raurell, Lineamenti, cit., 212-213

19 Ho indicato anche le ricorrenze di «occhio». Non è sempre facile infatti distinguere quando si parla dell'organo corporeo o della sua funzione, cfr. n. 31

20 Chiarisco subito il senso dell'aggettivo «erotico», che in italiano può suonare negativo, e la relazione tra eros e agapê, termini che vengono spesso contrapposti come due tipi di amore: Il termine eros indica il complesso della passione umana di andare al di là di se stessi. Esso non indica solamente l'aspetto sessuale del desiderio umano di vivere pienamente ma anche la sete di conoscenza, la curiosità scientifica, lo sforzo estetico, l'impulso religioso e un'oscura brama di vita oltre la morte. E' a partire da questa prospettiva che si può includere la sessualità in tutto l'ambito dell'eros... Il termine agapê non designa l'allargamento del soggetto ma è interessato al benessere «dell'altro». Come molti scrittori sottolineano, esso designa il movimento altruistico della psychê, un amore che può giungere fino al sacrificio di sé. Non pochi teologi hanno reso di moda questo contrasto tra eros e agapê. Né l'uso dei due termini nel greco classico né la psicologia moderna giustificano tale contrasto. Un reticolato di emozioni e di motivazioni ‑ piacere donato e piacere ricevuto ‑ è la caratteristica dell'essere umano. In realtà, la Bibbia sa che il vero eros è agapê.» (S. Terrien, Till the Heart Sings. A Biblical Theology of Manhood and Womanhood, Philadelphia 1985, 29).Direi meglio che eros e agapê sono come i due fuochi di un'ellisse, che si rimandano e si rispondono a vicenda. Di fatto l'agapê viene espressa in termini erotici.

21 Per tutta l'analisi terminologica che segue, cfr. V. Cottini, «Il linguaggio erotico nel Cantico dei Cantici e in Proverbi», LA 40 (1990) 25‑33.

22 Sul termine ahabah in stato assoluto in 8,6‑7 ritornerò più avanti.

23 Il termine «sorella» (ahôt) ricorre sette volte, «sposa» (kallah) quattro volte, «amica» (ra’yah) nove volte. Quest'ultimo termine, il più frequente, potrebbe essere considerato come il corrispondente femminile di dôd. Sui rapporti tra il Cantico e la poesia d'amore egiziana, cfr. M.V. Fox, The Song of Songs and the Ancient Egyptians Love Songs, Wisconsin, 1985; A. Niccacci, «Cantico dei Cantici e canti d'amore egiziani», LA 41 (1991) 61‑85. Sui rapporti con i canti d'amore mesopotamici, cfr. 0. Keel, Das Hohelied, Zurich 1986, 135.152.

24 Diverso è il caso di Genesi 12,10‑20; 20; 26,1‑14, dove i termini «moglie» e «sorella» sono intesi in senso giuridico e comportano dunque confusione di ruoli e di identità.

25 25 «Cercheremo di ascoltare quello che il corpo dice, la parola che il corpo è. L’uomo, infatti, diventa l'interpretazione che dà del suo corpo». (Martini, Sul corpo, cit., 45)

26 Cantico dei Cantici 2, 10, tradotto: «Ora parla il mio diletto», in ebraico letteralmente dice: «Ora risponde il mio diletto».

27 «Il mio corpo ha una parola precisa iscritta in sé: questa parola è l'altro, è richiamo dell'altro, il corpo diviene se stesso davanti all'altro, mettendosi in relazione. L'altro però è il mistero che sfugge a ogni analogia e riduzione di similitudine; se voglio possederlo non è più «altro», e io resto solo, senza nessun altro.» (Martini, Sul corpo, cit., 51)

28 Cfr. le immagini che tentano di descrivere le parti del corpo o la persona stessa della persona amata. Il corpo di lei: Il capo è paragonato all'altezza del Carmelo (7,7); i capelli a un gregge di capre (4, l); gli occhi a colombe (1, 15) o a laghetti di Chesbon (7,5); le guance a uno spicchio di melograno (4,6; 6,6); il naso alla torre del Libano (7,5); la bocca è graziosa (4,3); le labbra sono come un nastro di porpora (4,3); i denti sono paragonati a un gregge di pecore tosate che salgono dal bagno (4,2; 6,6); la lingua stilla latte e miele (4, 11); il collo è come la torre di Davide (4,4) o come una torre d'avorio (7,5); i seni sono due cerbiatte o come gemelle di gazzella (4,5) o grappoli di palme (7,8) o d'uva (7,9); le mani sono impregnate di mirra (5,5); le dita stillano mirra liquida (5,5); l'ombelico somiglia a un mucchio di grano circondato da gigli (7,3); i fianchi sono come monili artistici (7,2); i piedi sono belli nei sandali (7,2); infine la statura della donna amata è come quella di una palma (7,8); essa è tutta bella e senza difetti (4,7). Il corpo di lui: il capo è prezioso come l'oro puro (5, 11); i capelli sono riccioluti come grappoli di palma (5, 11); gli occhi somigliano a colombe su ruscelli (5,12) ; le guance ad aiuole di balsamo (5,13); le labbra a gigli che stillano mirra liquida (5,13); i denti sono lavati nel latte (5,12); il volto è come il Libano e maestoso come i cedri (5,15); le mani sono cilindri d'oro (5,14); il petto è un blocco d'avorio tempestato di zaffiri (5,14); le gambe colonne di alabastro (5,15); egli è tutto una delizia (5,16).

29 Il motivo è più ampio, M.T. Elliot, The Literary Unìty of the Canticle , Frankfurt am Main 1989, 51, riconosce il medesimo motivo anche in 2,9.14; 4,8; 8,12.13. C.V. Camp , Wisdom and tbe Feminine in the Book of Proverbs, Shefield 1985, 99 lo riconosce anche in 1, 7‑8; 2,8‑9; 3,1‑4; 4,16‑5,1; 5,2‑8; 6,1‑3; 8,1.5‑6.

30 Elliot (Literary Unity, cit., 40‑41) vede una divisione del poema in sei parti, ognuna delle quali «inizia con una situazione in cui gli amanti sono in qualche maniera separati; ognuna di esse termina con una rinnovata unione».

31 Cfr. 0. Keel, Deine Blicke sind Tauben. Zur Metaphorik des Hohen Liedes, Stuttgart 1984.

32 Cfr,. Niccacci, La casa, cit., 129‑130.

33 «Condividere il dono della bellezza significa vivere la gratuità dell'amore: la carità è la bellezza che si irradia e trasforma chi raggiunge. Nella carità non c'è rapporto di dipendenza fra chi dà e chi riceve» (Martini, Quale bellezza, cit., 45).

34 Martini, Sul Corpo, cit., 57. «Amare qualcuno significa rivelargli la sua bellezza» (cfr. Lacroix, Il corpo, cit., 16).

35 Cfr. Niccacci, La casa, cit., 127-131

36 N. J. Tromp, Wisdom and tbe Canticle. Cantico dei Cantici 8,6c‑7b: Text, Message and Import, in M. Gilbert (ed.), La Sagesse de l'Ancien Testament, Louvain 1979, 88‑95.

37 Si implora che il «sigillo» venga messo sia all'interno (cuore) sia all'esterno (braccio): un modo per suggerire la totalità della persona.

38 Raurell, Lineamenti, cit., 223, n. 76.

39 «Perché il linguaggio dell'amore spirituale, al culmine di se stesso, ha bisogno delle immagini dell'amore carnale? Dalla contraddizione soltanto si può uscire rispondendo alla domanda sulle condizioni di possibilità dell'allegoria: in definitiva l'eros dell'uomo non potrebbe parlarci dell'amore divino, se già non lo portasse inscritto nella propria intimità. Ogni allegoria presuppone un'analogia e ogni analogia implica una, sia pur relativa, identità» (Raurell, Lineamenti, cit., 189).

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